Quanti sono i fili che si intrecciano nel film "Il sol dell'avvenire"? Mi piace chiamarli fili e non temi, ma neppure piani (comunque più dei tre dell'altro film) perché questo lavoro è come un tessuto. Prendete dei fili di diversi colori, intrecciateli secondo estro. Più sarete abili e fantasiosi, più vi sentirete liberi negli accostamenti, migliore sarà il risultato. Questo mi sembra abbia fatto Moretti.
Nel Sol dell'avvenire si respira una forte libertà espressiva e creativa, presente nella sua opera già a partire da quel primo "Io sono un autarchico". Qui sembra diventare metodo di una sceneggiatura nata da una sorta di stream of consciousness poi organizzato in un'abile "tessitura" che non è il risultato di un noioso incrociarsi di ordito e trama come nella geometria del cardo e del decumano. Un tessuto di rara e preziosa fattura artigianale.
C'è il cinema dentro il film ma non è "Effetto notte", c'è un circo ma non è Fellini, piuttosto è Chaplin, ma non per rimandi visivi, semmai per il gusto del gioco, dell'ironia e dell'autoironia, quel gusto di fare il monellaccio. E c'è Buster Keaton in quegli occhi sbarrati tra sorpresa e stupore, in uno sguardo che dice: "ohibò".
C'è l'impegno politico, che si intreccia con la vita privata, le relazioni, l'amore, nella vita di Giovanni e della moglie, in quella dei personaggi protagonisti del suo film e degli attori che lo interpretano nella finzione filmica. Amore come "terra promessa" dove l'incontro con l'altro può farci perdere e scoprirci diversi da quel che credevamo di essere.
Storia d'amore conflittuale è anche quella che si consuma dentro il PCI nel '56 anno in cui si ambienta il film "in corso d'opera" e che si riflette nel dilaniante dibattito interno all' Unità. Giovanni (Moretti) la sua scelta la dichiara fin dall'inizio con quel gesto deciso con cui strappa il manifesto con il ritratto di Stalin.
-La Storia non si fa con i se- si dice. E la storia personale di una coppia da quarant'anni insieme? Quel tempo lungo diventa la garanzia di un "per sempre"? Non abbandona il pensiero di quell'amore in bilico e nella piazza che si è svuotata l'ex ragazzo fa quattro palleggi mentre joe Dassin canta "E si tu n'existais pas".
Il futuro-presente appare incerto ed estraneo anche quando Giovanni guarda al cinema. Impone ai giovani una lezione sui maestri che possono indicare una strada contro le derive di film che devono corrispondere alle esigenze distributive delle piattaforme. Come in tutto il film, la sequenza è attraversata dal sorriso e dall'ironia che non manca di essere rivolta anche a se stesso. A quel Giovanni che è proprio Nanni se mai qualcuno avesse dei dubbi. Così alla fine di un corteo, allegro nonostante tutto, che attraversa i Fori imperiali in una bella mattinata di sole (quel dell'avvenire?), è il regista a salutarci con un gesto della mano e un sorriso.
Tra quel che si è fatto e quel che poteva essere resta l'orgoglio di una vita che non è stata sprecata.
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