Drive My Car

C' era una volta un attore e regista teatrale con una moglie bellissima. Dopo l' amore, lei raccontava storia magnifiche. Al mattino, le aveva dimenticate e toccava a lui ricordargliele ( da sceneggiatrice, potevano tornare utili). I registi - parliamo sempre del personaggio - vengono invitati ai festival, gli aerei non partono per il gelo, i rientri improvvisi a casa possono riservare amare sorprese. Finché non ne arriva un' altra, peggiore. "Drive My Car" - il film giapponese che ha vinto il premio per la sceneggiatura al Festival di Cannes - funziona come una favola, puntando tutte le sue carte sulla parola e l' arte del racconto. Oltre alle storie narrate con le teste sul cuscino, ci sono le nostalgie, le ripicche, i rancori di Cechov in "Zio Vanja", la pièce che il regista deve mettere in scena a Hiroshima ( un' altra storia ancora, questa la sapete). Da attore, imparava le parti provandole assieme alla moglie, registrandole su cassette e ascoltandole in macchina, una Saab Turbo rosso lacca, assai vistosa tra le auto made in Japan. Passa qualche anno. La moglie non c' è più, la gelosia per un giovanotto ancora morde, lui riascolta le cassette assieme alla giovane autista che la produzione di "Zio Vanja" gli ha imposto ( questioni assicurative). Il film ha un suo fascino, se vi piacciono le storie raccontate con immagini ricorrenti e tante parole - in tante lingue, fino al linguaggio dei gesti coreano. Colpi di scena sufficienti per un binge watching di tre ore.
Da Il Foglio, 25 settembre 2021