loland10
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lunedì 25 novembre 2019
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verità e falsità
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“L’ufficiale e la spia” (J’accuse, 2019) è il ventitreesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore polacco (naturalizzato francese) Roman Polanski.
Al ventitreesimo film arriva Il summa polanskiano: inchiesta, processo, falsità, verità, potere e corruzione. In poco più di due ore sono concentrate molte cose che aspetti e oltre delle cose che non aspetti perché non finisca l’atmosfera magica di un cinema che si usa poco o forse mai più.
Il cineasta imposta il tutto in modo classicheggiante, con forme e corpi che hanno movenze minimi. Il movimento è dentro lo schermo e la ripresa che combaciano in modo sincronistico e perfetto.
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“L’ufficiale e la spia” (J’accuse, 2019) è il ventitreesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore polacco (naturalizzato francese) Roman Polanski.
Al ventitreesimo film arriva Il summa polanskiano: inchiesta, processo, falsità, verità, potere e corruzione. In poco più di due ore sono concentrate molte cose che aspetti e oltre delle cose che non aspetti perché non finisca l’atmosfera magica di un cinema che si usa poco o forse mai più.
Il cineasta imposta il tutto in modo classicheggiante, con forme e corpi che hanno movenze minimi. Il movimento è dentro lo schermo e la ripresa che combaciano in modo sincronistico e perfetto. Polanski trae una filmografia totale in un unicum tutto suo, come sempre. Nella pochezza dei personaggi (carnale e venere in pelliccia) o nella totalità di comparse non inquadrate si trova a proprio agio: il sunto è ciò che di c’è. L’interno è importante ma quasi superfluo. Verrebbe da dire che il muto cinema di ieri è complementare al mutismo scenografico del nostro Roman: parole tante, conflitti veri, falsità perenni ma soprattutto spazi raccontati come nessuno. Quelli minimi tra porte, maniglie, valigie, tavoli, carte e foto più o meno sporche, vie piatte e scalinate dove le ringhiere hanno un significato, persino gli occhialini spostati come i cappelli hanno una posizione a tutto tondo. In questo film i particolari contano e parecchio, le visuali anche, il silenzio fondamentale e le scrivanie sono lì a impreziosire il potere francese di fine ottocento.
Siamo nel 1894 in una Francia da ‘belle epoque’, il potere e la politica fanno passi che anticipano molto il futuro è quasi una cartina di tornasole dell’oggi. Il capitano Alfred Dreyfus viene accusato di essere un traditore e una spia per aver dato informazioni segrete ai ‘tedeschi’: viene degradato dal punto di vista militare di tutto e condannato all’esilio-carcerario nell’isola del diavolo. Ebreo e per di più colpevole. Quale buona notizia e miglior capro espiatorio per esercitare con forza la legge (manipolata) sui deboli. Antisemitismo e pregiudizio si incontrano bene per far fuori chi capita e chi conviene.
L’ufficiale colonnello Marie-Georges Picquart (non certo amico degli ebrei ma amante della verità, come lui dice) indaga sul caso e si convince dell’innocenza di Dreyfus e della manipolazione delle prove. Scritti e lettere che lo studio grafologico indicano come non prove contro Dreyfus: ma non sue le parole indicate. La non colpevolezza porterebbe ad uno scandalo che gli alti poteri non accettano. L’ufficiale deve tirarsi indietro ma i tempi e il’J’accuse’ di Emile Zola danno la strada per riaprire il tutto. I tempi cambiano come cambiano i venti. L’antisemitismo non scompare certamente. Il capitano e il colonnello si incontreranno. Una volta e mai più La riabilitazione completa di Dreyfus non avviene. Siamo arrivati al 1907.
Un film di suggestione interiore dove ogni dibattito a due è scadenza di prefinale e dove ogni ripresa di spalle corre sul binario di un carteggio ingiallito. Puzzle di carte, foglietti, parole troncate, nemesi del potere, letture e foto adesive. Le mani sui fascicoli miseri, pochi e ingranditi dalle miserie dei sotterfugi aprono il non visto o accantonato.
‘Il caso Dreyfus’ non c’è, lasci stare colonnello. Mi dia quello che ha’: la Francia militare e politica vuole nascondere tutto. La verità al di sopra delle parti, il potere insinuante in ogni riga e lo studio delle scritture pare un giallo alla Agatha Christie. Polanski ci dà dentro senza problemi raccontando quello che è stato e quello che oggi accade. I suoi fatti come un ‘ebreo in fuga’. La ricostruzione temporale, i carteggi, le lettere, il processo e gli incontri danno smalto scarno ad un film molto secco dove il sonoro non è effetto cine ma pause tra silenzi e parole. La musica scopre arriva quasi alla fine dove la via del colonnello fa da apripista a tutto il finale e all’incontro con il ‘nemico-amico’.
La finestra de ‘Il Pianista’ (2002) è chiusa per osservare la strada, qui (scena delle tante ma efficace) la finestra si chiude quando il colonnello scende in strada per aprire la via della ‘verità’.
Il buio dello schermo tra pezzi di spade e le onorificenze ancora per terra, la croce di un processo sfinito. Un finale di indagine umana sfinente e angosciante. L’antisemitismo a diverso livello, uomo contro uomo per il potere non certo per nessuna gloria.
Originale: scrittura e lettera, emme e millimetri; come dire non scrivete mai come vi pare, se stessi per non essere riconosciuti;
Copia: mancavano cartucce e stampanti ma chi sa quanti marchingegni veritieri e subdoli nel mondo che disconosce la verità, è arguzia sulla copia di essa;
Falso: scrivete per voi e per gli amici, la grafologia è arte pura o scienza delle parole intransigenti, fatevi vedere senza pennino di piuma e con un moderno vuoto di penne annerite;
Vero: la verità prima cosa da inseguire per l’ufficiale. Il resto non conta, anche se per lui il conto è andare oltre al suo comando dell’oggi. L’uso di qualcosa per fini personali.
Jean Dujardin(M.G. Picquart) e Luois Garrel (A. Dreyfus) sono veramente esemplari nelle parti, nelle movenze, nei corpi, nei tragitti, negli sguardi vitrei e nelle storie interiori. Prove glaciali e piene di ardore. Il primo tiene il campo con vera saggezza antica e prova attoriale senza sbavature; il secondo inchioda il nostro sguardo quando teso e nervoso si rimette gli occhialini al posto giusto mentre una vittoria pare avvicinarsi. L’incipit è di rara forza registica come l’incontro finale tra i due: asciutto ed essenziale, asonoro e asciutto.
Tutto il cast ha importanza rilevante: nessun sovrappiù e ridondanze generiche; la messa in scena resta scolpita e ferma, mai una ripresa di spettacolarizzazione intensa; solo la musica (di Alexandre Desplat) dilata il pensiero dell’inquadratura e dei personaggi (nella parte finale); la fotografia di Pawel Edelman (già più volte collaboratore del regista) restituisce vigore e lineamenti, oscurità e movimenti ad un’epoca che non pare così ‘belle’.
Regia di Roman Polanski a tutto tondo, immediata e fortemente incisiva. L’esempio di un cinema dove ogni immagine è un ‘romanzo’ e dove ogni luogo è una storia a se. Cinema fermo e in grande movimento (e qui sarebbe lungo l’attacco a diversi modi di ‘ripresa’ oltre al suo mondo).
Voto: 10/10 (*****) -cinema intenso- (capolavoro).
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lunedì 25 novembre 2019
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sono daccordo
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Salve, ho visto il film è superbo e sono d'accordo con la sua critica: aggiungerei una sensazione che mi ha pervaso per tutto il film: sembrava di essere immersi in quella atmosfera, sentire quella puzza di fogna, quell'ottocentesco modo di vivere, fumare, agire nei confronti degli ebrei e omosessuali di quell'epoca. Il regista ci porta ad essere testimoni diretti di quella ingiustizia messa in atto contro un ufficiale ebreo e la sua razza.
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lbavassano
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domenica 24 novembre 2019
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lunga vita al cinema
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Era da tempo che non mi capitava di assistere ad un tutto esaurito, e mi fa particolarmente piacere che, ad ottenere un così lusinghiero riscontro, sia un film formalmente impeccabile, narrativamente appassionante (anche se forse, a tratti, il regista si fa prendere un po' troppo la mano), e soprattutto inquietantemente attuale. Tale da farci riflettere. Se, con strumenti artigianali, si è stati in grado di raggiungere simili storture ed aberrazioni, manipolazioni dell'opinione pubblica, incitamenti all'odio, non possiamo non temere ciò che può accadere oggi, avendo a disposizione mezzi tanto più potenti e raffinati. Lunga vita al cinema dunque, al cinema di qualità che ci dà da pensare.
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Era da tempo che non mi capitava di assistere ad un tutto esaurito, e mi fa particolarmente piacere che, ad ottenere un così lusinghiero riscontro, sia un film formalmente impeccabile, narrativamente appassionante (anche se forse, a tratti, il regista si fa prendere un po' troppo la mano), e soprattutto inquietantemente attuale. Tale da farci riflettere. Se, con strumenti artigianali, si è stati in grado di raggiungere simili storture ed aberrazioni, manipolazioni dell'opinione pubblica, incitamenti all'odio, non possiamo non temere ciò che può accadere oggi, avendo a disposizione mezzi tanto più potenti e raffinati. Lunga vita al cinema dunque, al cinema di qualità che ci dà da pensare. Lunga vita al cinema in sala, che ci permette di condividere queste emozioni.
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carlosantoni
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domenica 24 novembre 2019
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una delle solite storie di spionaggio
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Il titolo a commento su Mymovies dice che si tratta di un film “dall’impianto classico”, io forse preferirei definirlo un film di genere. Solido, ben recitato (ma Polanski non può proprio farne a meno di rifilarci sempre e comunque Emmanuelle Seigner, nei suoi film?) ben fotografato, ben congegnato attraverso i continui flash back, ma a dire il vero non “buca”. Troppa patina Fin de Siècle, troppe atmosfere interne polverose, le carrozze, il can-can, quasi un continuo (e un po’ fastidioso) volerci ricordare che il fattaccio si svolge ai tempi della Belle Epoque. In compenso, se si riflette che si trattò di un “affaire” di clamorosa eco nazionale e internazionale, nel film si parla poco, decisamente poco o niente del contesto sociale e politico, della lotta sociale che animava allora la Francia, e non solo la Francia: da lì a qualche anno in Russia sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1905… Certo, il film mette bene in luce il razzismo antiebraico dell’élites militari francesi, della simpatia che molta parte della Francia di allora tributava alle teorie antisemite, un po’ come da noi accade oggi contro gli arabi, con i tre quarti del parlamento decisamente spinti su posizioni razziste o comunque reazionarie, ma non mette per niente il luce la controparte, cioè il crescendo delle lotte del movimento socialista, anarchico, radicale contro la deriva razzista francese: c’è un per niente combattivo Zola, si direbbe uomo da salotto, c’è un baffuto Clemenceau che compare per una manciata di secondi… e in questo caso direi meglio così: poi finirà per mostrarsi al mondo come uno dei più sporchi guerrafondai di ogni tempo.
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Il titolo a commento su Mymovies dice che si tratta di un film “dall’impianto classico”, io forse preferirei definirlo un film di genere. Solido, ben recitato (ma Polanski non può proprio farne a meno di rifilarci sempre e comunque Emmanuelle Seigner, nei suoi film?) ben fotografato, ben congegnato attraverso i continui flash back, ma a dire il vero non “buca”. Troppa patina Fin de Siècle, troppe atmosfere interne polverose, le carrozze, il can-can, quasi un continuo (e un po’ fastidioso) volerci ricordare che il fattaccio si svolge ai tempi della Belle Epoque. In compenso, se si riflette che si trattò di un “affaire” di clamorosa eco nazionale e internazionale, nel film si parla poco, decisamente poco o niente del contesto sociale e politico, della lotta sociale che animava allora la Francia, e non solo la Francia: da lì a qualche anno in Russia sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1905… Certo, il film mette bene in luce il razzismo antiebraico dell’élites militari francesi, della simpatia che molta parte della Francia di allora tributava alle teorie antisemite, un po’ come da noi accade oggi contro gli arabi, con i tre quarti del parlamento decisamente spinti su posizioni razziste o comunque reazionarie, ma non mette per niente il luce la controparte, cioè il crescendo delle lotte del movimento socialista, anarchico, radicale contro la deriva razzista francese: c’è un per niente combattivo Zola, si direbbe uomo da salotto, c’è un baffuto Clemenceau che compare per una manciata di secondi… e in questo caso direi meglio così: poi finirà per mostrarsi al mondo come uno dei più sporchi guerrafondai di ogni tempo. Per questo sembra di vivere un po’ nel mondo delle favole: Dreyfuss è innocente, e si sa che è innocente, ma viene giudicato colpevole perché ebreo: ed è contro gli ebrei che gli alti ranghi militari, reazionari e razzisti, vogliono una condanna: una condanna politica. Un po’ come ai tempi della strage di Piazza Fontana: il colpevole doveva essere necessariamente un anarchico, e Valpreda fu costruito a tavolino proprio come Dreyfuss, e non come invece lo furono realmente, manovali delle varie organizzazioni fasciste al servizio della reazione nazionale e internazionale marcata CIA. Dunque Dreyfuss colpevole, poi di nuovo colpevole in appello con penna mitigata… però poi tutto ad un tratto in cassazione viene riconosciuto innocente! Chissà perché! E chissà come e perché, il tenente colonnello Dujardin, “colpevole” di aver sollevato il vespaio della congiura antisemita ordita dai suoi superiori, dopo essere finito in galera come Dreyfuss, alla fine della favola si ritrova prima promosso generale, poi addirittura ministro della guerra in un successivo governo! Succedono forse miracoli in Francia? O non è per caso tutto quanto il frutto di lotte sociali che modificarono almeno in parte il panorama politico francese? Polanski si guarda bene da mettere il suo lungo naso in questa materia, e il film finisce come un classico romanzo d’amore.
Io gli do la sufficienza, abbondante, non di più.
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vincenzo ambriola
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domenica 24 novembre 2019
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un'altra tessera nel mosaico della verità
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Siamo nel 1894, in Francia. L'ufficiale di artiglieria Alfred Dreyfus viene degradato e mandato alla Guyana francese, nella colonia dell'Isola del Diavolo, a scontare la deportazione perpetua per alto tradimento. Ne uscirà dopo cinque anni per essere processato e condannato di nuovo, questa volta a dieci anni di carcere. Finalmente, nel 1906, sarà riabilitato e reintegrato nell'esercito. La Francia si dividerà e i suoi più grandi protagonisti, tra cui Zola, scenderanno in campo per difendere un innocente ma, soprattutto, ristabilire la verità. Dreyfus era ebreo, in un periodo della storia in cui la loro presenza nell'esercito e nell'amministrazione pubblica era percepita come insopportabile dagli ambienti di destra.
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Siamo nel 1894, in Francia. L'ufficiale di artiglieria Alfred Dreyfus viene degradato e mandato alla Guyana francese, nella colonia dell'Isola del Diavolo, a scontare la deportazione perpetua per alto tradimento. Ne uscirà dopo cinque anni per essere processato e condannato di nuovo, questa volta a dieci anni di carcere. Finalmente, nel 1906, sarà riabilitato e reintegrato nell'esercito. La Francia si dividerà e i suoi più grandi protagonisti, tra cui Zola, scenderanno in campo per difendere un innocente ma, soprattutto, ristabilire la verità. Dreyfus era ebreo, in un periodo della storia in cui la loro presenza nell'esercito e nell'amministrazione pubblica era percepita come insopportabile dagli ambienti di destra. Dreyfus era un militare che voleva riconquistare la sua terra natale, l'Alsazia, ceduta vent'anni prima ai tedeschi. Si sentiva francese a pieno titolo e credeva nei valori della patria e dell'onore. Era anche innocente, come i fatti hanno poi dimostrato, con le confessioni di chi aveva costruito le prove false alla base della sua condanna. Tuttavia il film non è sulla vittima ma sul colonnello Georges Picquart che scopre, quasi per caso, che Dreyfus era innocente e che si ostina a far emergere la verità, per ridare onore a quelle forze armate che l'avevano perso in un complotto antisemitico. Polanski racconta una battaglia dura, combattuta tra i vertici più alti dell'Esercito, del Ministero della Guerra, dei Servizi segreti, a colpi di frammenti di lettere intercettate e ricostruite con pazienza certosina, di accordi segreti, di menzogne e sopraffazione. Lo fa con precisione millimetrica, nella ricostruzione degli uffici, delle case, delle strade della fine del diciannovesimo secolo. Anche i dialoghi sono perfettamente ricostruiti, nel tono pomposo e ufficiale dei generali e in quello deferente dei sottoposti. Le facce, i volti, le espressioni ci riportano indietro di cent'anni. Attualissimo è, invece, il tema della discriminazione razziale, della mistificazione della verità, del complotto, della cieca violenza e del vile abuso di potere da parte di chi il potere dovrebbe usarlo per il bene della società. Temi che non passano mai di moda, che le tragedie greche avevano già da tempo narrato e che si ripropongono ineluttabilmente. Grazie quindi al grande Polanski, per aver aggiunto un'altra tessera al mosaico della verità.
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vespareal
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sabato 23 novembre 2019
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straordinario polanski
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Dopo essere stato presentato alla 76esima mostra d’arte cinematografica a Venezia, L’ufficiale e la spia di Roman Polanski è finalmente uscito anche nelle sale italiane.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, il film racconta le indagini dell’ufficiale Georges Picquart (Jean Dujardin) circa l’affare Dreyfus: Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un’eccezione in quanto uno dei pochi ebrei nell’esercito francese, viene accusato di alto tradimento, spogliato dei gradi di ufficiale e recluso in una prigione sull’Isola del Diavolo.
Il lungometraggio è un ottimo prodotto cinematografico – dopotutto è del Maestro Polanski che si tratta – pulito, lineare.
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Dopo essere stato presentato alla 76esima mostra d’arte cinematografica a Venezia, L’ufficiale e la spia di Roman Polanski è finalmente uscito anche nelle sale italiane.
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, il film racconta le indagini dell’ufficiale Georges Picquart (Jean Dujardin) circa l’affare Dreyfus: Alfred Dreyfus (Louis Garrel), un’eccezione in quanto uno dei pochi ebrei nell’esercito francese, viene accusato di alto tradimento, spogliato dei gradi di ufficiale e recluso in una prigione sull’Isola del Diavolo.
Il lungometraggio è un ottimo prodotto cinematografico – dopotutto è del Maestro Polanski che si tratta – pulito, lineare.
Ritrae in maniera più che fedele tutta la questione sull’affare Dreyfus, dal primo all’ultimo istante, forse anche troppo fedelmente, ma è di certo questo tipo di fedeltà che permette di seguire il film da capo a coda senza la minima distrazione o sentore di noia.
Il regista si permette giusto qualche flashback estemporaneo, in modo che l’indagine di Picquart segua un filo logico, e non tanto per l’affaire – alla fine quella è storia e la si conosce – quanto per chi guarda, per permettergli di non perdersi, nonostante di primo impatto il flashback a quello potrebbe sembrare occorrere.
E in merito a ciò è interessante questa scelta, ovvero di sviluppare il film dal punto di vista di Picquart – associabile tranquillamente allo Stato - e non di Dreyfus - il popolo -, che sarebbe stato certamente più scontato e molto semplicistico; e in questo modo, in effetti, Polanski mette in risalto una verità molto attuale.
Ed è particolarmente intrigante che a sottolineare l’enorme divario che intercorre tra le ragioni di agire dello Stato e la lotta per la Verità – per la quale Picquart mette a rischio una vita interamente dedicata all’esercito – sia proprio lui, Polanski, egli stesso oggetto di gravi accuse; ma ancora più interessante è un’esistenza persistente, già all’epoca, di quelle che attualmente si definiscono fake news e che sembrano diventate imperanti in un sistema altresì autoconservatore, guardingo dall’ammettere i propri errori in modo schietto e piuttosto alla ricerca continua di giustificazioni, come ad esempio la cieca obbedienza dovuta, decantata nel film dal maggiore Henry.
Un modus operandi oggi quindi ancora così, solamente più raffinato.
L’ufficiale e la spia - J’accuse nel suo titolo originale - è a tutti gli effetti un film che dà vita ai fatti, senza dare adito a virtuosismi o reinterpretazioni registiche della vicenda ed è proprio per questo che, seppur fatti realmente accaduti alla fine dell’Ottocento, è un film più attuale di quando fu effettivamente attuale.
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sabato 23 novembre 2019
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mai più indifferenti, dreyfus insegna
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Condivido appieno l’analisi stilistica filmica storica. Mai più indifferenti.
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deadman
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venerdì 22 novembre 2019
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soporifero
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non sono un grande fan di Polanski, troppo cerebrale mi annoia, però quando si cimenta in ricostruzioni storiche vedi il pianista o oliver twist riconosco che sa fare anche dei capolavori quindi mi fiondo al cinema appena uscito l'ufficiale e laspia, che delusione totale, un film privo di struttura, senza mordente con un montaggio studiato apposta per sfiancare un toro, praticamente senza ritmo, in pratica una noia mortale, ammetto di essere uscito alla fine del primo tempo quindi il mio giudizio non può essere definitivo, ma per quella metà che ho visto lo sconsiglio assolutamente a meno che vi piaciano i drammoni in costumi stile sceneggiati RAI degli anni 70, allora troverete pane per i vostri denti
[+] nickname perfettamente centrato
(di giuliog02)
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frascop
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venerdì 22 novembre 2019
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polanski come emile zola
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Il caso Dreyfus del 1895 con l'ufficiale dell'esercito francese Jacques Piquart che scopre per caso come sia falsa l'accusa di tradimento, a favore dei tedeschi, dell'ufficiale ebreo Alfred Dreyfus. Un film senza luce e sole, di attori (Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner) diretti da un grande maestro. Polanski è sempre secco, senza fronzoli, essenziale. Tanti registi che amano volteggiare con le carrellate e i droni e le macchine a spalla per far vedere che ci sono e sono Autori, dovrebbero ricordarsi talvolta di lui. La maledizione dell'antisemitismo, e le due cose più difficili per gli uomini di tutti i tempi, saper ammettere gli errori e il senso del dovere.
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Il caso Dreyfus del 1895 con l'ufficiale dell'esercito francese Jacques Piquart che scopre per caso come sia falsa l'accusa di tradimento, a favore dei tedeschi, dell'ufficiale ebreo Alfred Dreyfus. Un film senza luce e sole, di attori (Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner) diretti da un grande maestro. Polanski è sempre secco, senza fronzoli, essenziale. Tanti registi che amano volteggiare con le carrellate e i droni e le macchine a spalla per far vedere che ci sono e sono Autori, dovrebbero ricordarsi talvolta di lui. La maledizione dell'antisemitismo, e le due cose più difficili per gli uomini di tutti i tempi, saper ammettere gli errori e il senso del dovere. Storie vecchie? No, attualissime, basti pensare in Italia al caso Cucchi e al caso della povera Serena Mollicone. "Questo è l'esercito" gli dice un ufficiale e Piquart risponde "No, questo è il suo esercito, non il mio". Polanski è come l' Emile Zola raffigurato nel film. Dice una sola battuta e assiste impassibile alle menzogne
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adriana moltedo
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venerdì 22 novembre 2019
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polaski è un conte di montecristo è un jeanvaljean
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La persecuzione, la degradazione, l’obbedienza, la ricerca della verità, sono i temi portanti del film J’accuse di Roman Polaski.
La vittima Defrejfus, era innocente ma per dimostrarlo ci vollero 12 anni , incastrato in un gioco più grande di lui.
Torna l’incubo, l’horror che abbiamo già visto nei film precedenti, e ora si ripresenta nella storia giudiziaria de L’ufficiale e la spia.
Il peso della vecchiaia, del vissuto tragico di persecuzione di Roman Polaski, si sente tutto, da come gira, dalla musica e silenzi, dai discorsi brevi,dal grigiore della natura, dagli interni ed esterni, dai capelli bianchi di Defreyfus, di Luis Garrel, di Emmanuel Seigner.
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La persecuzione, la degradazione, l’obbedienza, la ricerca della verità, sono i temi portanti del film J’accuse di Roman Polaski.
La vittima Defrejfus, era innocente ma per dimostrarlo ci vollero 12 anni , incastrato in un gioco più grande di lui.
Torna l’incubo, l’horror che abbiamo già visto nei film precedenti, e ora si ripresenta nella storia giudiziaria de L’ufficiale e la spia.
Il peso della vecchiaia, del vissuto tragico di persecuzione di Roman Polaski, si sente tutto, da come gira, dalla musica e silenzi, dai discorsi brevi,dal grigiore della natura, dagli interni ed esterni, dai capelli bianchi di Defreyfus, di Luis Garrel, di Emmanuel Seigner.
L’isola del Diavolo in bianco e nero, i titoli dei giornali in sovraimpressione sulle scene chiave.
Il Male qui è idiozia.
Il peso della vecchiaia interrotto qua e là dal rosso dei pantaloni, dal vestito rosso di Emmanuel, dal sangue dei morti uccisi sulle mani di Piscard, funzionario che non accetta il principio dell’obbedienza se gli ordini sono sbagliati. Rosso acceso che si va coagulando a marroncino.
Ormai, come lui stesso ha dichiarato parlando del suo J’accuse,è molto maturo nell’arte di girare film. Ho voluto farne uno su chi sacrifica ogni cosa in nome della verità.
A 22 anni debuttò in Polonia con Rower, un cortometraggio semi-autobiografico, e da Il coltello nell’acqua del 1962, a L’ufficiale e la spia di oggi, i suoi film sono opera d’arte.
Grande regista, Polaski è anche innovatore di tecnologie.
Emmanuel Seigner dolcemente lo accompagna da 30 anni nella vita e nell’arte.
Dalle profonde tragedie da lui vissute ne è uscito vivo con l’arte. È riuscito anche a riderci su e a farci ridere, a farci morire di paura, a farci rivivere le sue storie come fossero nostre, a farci piangere.
Qui indica il pericolo del razzismo.
L’ufficiale e la spia è tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, coautore alla sceneggiatura con Polaski.
Il film racconta delle indagini fatte dal tenente Georges Picquart, interpretato da Jean Dujardin, che scopre delle prove falsificate per condannare Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo nell’esercito francese, accusato di passare segreti militari all’impero tedesco.
Georges Picquart rischierà la sua carriera e la sua vita per dimostrare la verità e liberare Dreyfus erroneamente condannato nell’isola del Diavolo.
L’humor nero che caratterizza il Maestro, lo cogliamo anche qui, nei confronti della tecnica di investigazione e della burocrazia, metodi che ancora esistono.
Nei palazzi sembrano succedere le stesse cose.
L’ingiustizia è feroce ma anche ridicola.
All’inzio del film leggiamo:”Tutti i fatti e le persone sono vere”.
J’accuse ha vinto il Gran premio della giuria alla76ma Mostra di Venezia.
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