fabio
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lunedì 21 gennaio 2019
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il tao di van gogh
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Bella questa riflessione sull'artista. Da tenere distinto dal pur valido "Loving Vincent", dal taglio documentaristico. Qui si percepisce il dramma umano, esistenziale, ma soprattutto l'assoluta necessità della pittura. Van Gogh dipinge per "spegnere il cervello" ed entrare in un mondo di immagini che lo guidano e lo trasformano per sempre nel genio che conosciamo. Il rapporto ormai è con l'assoluto.
Ottimo Da Foe, una recitazione pacata ma forte.
Anche se può risultare "lento" il film si gusta senza fatica.
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raffaela
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lunedì 21 gennaio 2019
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mi ha un po' delusa
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Non mi è piaciuto il modo di raccontare Van Gogh, il film è incentrato più che altro sui disturbi psichici del protagonista. Le riprese spesso si focalizzano solo sul particolare, non dando la possibilità di apprezzare l'intera scena. Il movimento della camera è troppo esagitato e lo apprezzo solo nel momento in cui si focalizza sulla sua corsa nel campo di grano, perché dimostra cosa lui dipingeva e il motivo delle sue pennellate frettolose. La musica di sottofondo è prepotente, a tratti fastidiosa. Sono presenti intere scene dove l'unico suono proviene da un pianoforte e il protagonista non parla. Bella l'idea di raccontare la vita di un pittore geniale, ma il modo di narrare non rende il film piacevole.
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cinefoglio
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domenica 20 gennaio 2019
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istantanea di van gogh - sulla soglia dell'eternit
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La realizzazione di una pellicola che cerca di raccontare la vita ed i pensieri di uno degli artisti più travagliati, complessi ed affascinanti della storia è un’opera ardua, ma Schnabel raccoglie numerose idee e le condensa in uno scritto quantomeno affascinante.
La narrazione di per sé è semplice: coglie l’importanza cruciale dei dialoghi tra l’artista olandese e le persone care incontrate nei suoi ultimi due anni di vita.
Marca le tappe della sua crescita come artista, della sua filosofia, religiosa di formazione, e della sua visione del mondo ed il rapporto costante della sua arte con il creato, presente e futuro, dell’immancabile ricerca di un contatto profondo con la Natura veicolato dal gesto rapido sulla tela, dall’estasi nel perdersi nei campi, dall’amore atteso dal fratello, dall’umiltà della propria condizione.
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La realizzazione di una pellicola che cerca di raccontare la vita ed i pensieri di uno degli artisti più travagliati, complessi ed affascinanti della storia è un’opera ardua, ma Schnabel raccoglie numerose idee e le condensa in uno scritto quantomeno affascinante.
La narrazione di per sé è semplice: coglie l’importanza cruciale dei dialoghi tra l’artista olandese e le persone care incontrate nei suoi ultimi due anni di vita.
Marca le tappe della sua crescita come artista, della sua filosofia, religiosa di formazione, e della sua visione del mondo ed il rapporto costante della sua arte con il creato, presente e futuro, dell’immancabile ricerca di un contatto profondo con la Natura veicolato dal gesto rapido sulla tela, dall’estasi nel perdersi nei campi, dall’amore atteso dal fratello, dall’umiltà della propria condizione.
Il sostrato della pellicola è sopportato da una musica per piano solista, concedendosi qualcosa di più nel tema principale, pungente, battente e sospeso dove la mancanza armonica genera spazio ad uno sviluppo melodico che da voce ai pensieri di Vincent.
Lo stesso spazio che l’autore riesce a donare alla realizzazione del film si concretizza nella sinergia tra l’uso della luce, una fotografia sperimentata letteralmente in tutte le forme possibili e realizzabili col solo fine di esprimere il punto di vista del pittore, ed l’interpretazione sublime di Willem Defoe, che riesce ad esprimere pienamente l’interiorità di un soggetto come Van Gogh, rende la visione una vera esperienza audio-visiva trascinante, coinvolgente, amaramente triste nel suo epilogo quanto esaltante nella descrizione del Bello.
L’approccio al film sicuramente non è dei più agevoli ma con un piccolo sforzo, aiutato da un doppiaggio in italiano veramente ben fatto, con la storica voce profonda ed intima di Defoe, da un cast sempre azzeccato con recitazioni coerenti e suggestive, ed un Van Gogh reale e fragile tanto idealizzato nelle sue opere ma umanizzato nella sua pazzia, la visione non potrà essere che positiva.
05/01/2019
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pippo
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domenica 20 gennaio 2019
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il trionfo della banalità
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Film assolutamente non capace di trasmettere emozioni. In un tentativo,miseramente fallito,di introspezione dell’animo del pittore, il regista si limita a riprodurre con i volti dei protagonisti le scene dei più famosi quadri avvolgendosi in una spirale che fa perdere ritmo al film che si snoda in un lento, lentissimo moto perpetuo sacrificando al dogma del politicamente corretto il vero, e molto più tormentato e violento, rapporto con gaugin e lasciando in un remoto sfondo il molto più intenso rapporto col fratello. Discutibile l’espediente di Sfocare le immagini che rappresentavano ciò che vedeva direttamente il pittore, cosa non capita da tutti e che porterà verosimilmente nei giorni seguenti ad un incremento deve prestazioni degli oculisti.
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Film assolutamente non capace di trasmettere emozioni. In un tentativo,miseramente fallito,di introspezione dell’animo del pittore, il regista si limita a riprodurre con i volti dei protagonisti le scene dei più famosi quadri avvolgendosi in una spirale che fa perdere ritmo al film che si snoda in un lento, lentissimo moto perpetuo sacrificando al dogma del politicamente corretto il vero, e molto più tormentato e violento, rapporto con gaugin e lasciando in un remoto sfondo il molto più intenso rapporto col fratello. Discutibile l’espediente di Sfocare le immagini che rappresentavano ciò che vedeva direttamente il pittore, cosa non capita da tutti e che porterà verosimilmente nei giorni seguenti ad un incremento deve prestazioni degli oculisti. Pippo
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domenica 20 gennaio 2019
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perché
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babalerio
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venerdì 18 gennaio 2019
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le intenzioni non fanno l'opera
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"Mamma, oggi voglio fare l'artista".
Questo sembra aver detto Shnabel, regista di "At Eternity's Gate" (in italiano: "Van Gogh - Sulla Soglia dell'Eternità"). E in questo slancio creativo di dubbio gusto ha dimenticato l'oggetto primo della sua comunicazione: il pubblico. Perché, che si tratti di tensione emotiva, che si tratti di vera ispirazione, che si tratti della più pratica realizzazione dell'opera, un dipinto è un dipinto e un film è un film. Due cose diverse, che il regista ha provato ad unire senza alcun successo a discapito di una visione, tranquilla o tormentata che si desiderasse, ma comunque godibile.
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"Mamma, oggi voglio fare l'artista".
Questo sembra aver detto Shnabel, regista di "At Eternity's Gate" (in italiano: "Van Gogh - Sulla Soglia dell'Eternità"). E in questo slancio creativo di dubbio gusto ha dimenticato l'oggetto primo della sua comunicazione: il pubblico. Perché, che si tratti di tensione emotiva, che si tratti di vera ispirazione, che si tratti della più pratica realizzazione dell'opera, un dipinto è un dipinto e un film è un film. Due cose diverse, che il regista ha provato ad unire senza alcun successo a discapito di una visione, tranquilla o tormentata che si desiderasse, ma comunque godibile.
C'è da lodarne la coerenza, o quantomeno la sfumatura di autoconferita epicità dietro quel climax ascendente di veloci e fastidiosi movimenti della telecamera che verso la fine della proiezione ti fanno ringraziare che il tempo scorra, i minuti passino e anche tu sfuggirai da quella sala senza praticare la ineducata ma onesta arte dell'uscire prima che il film finisca.
L'intento è chiaro: le pennellate veloci, i pensieri che si accavallano, una nevrosi violenta; il tutto tramutato in scelte registiche che vogliono apparire ben studiate ma che in fondo lasciano semplicemente trasparire un "voglio ma non posso" a caratteri cubitali.
Il problema è che lo slancio artistico del regista finisce per mettere in ombra persino l'interpretazione di un bravissimo Dafoe che con sguardi intensi, mentre la telecamera cambia angolazione trentasette volte in un secondo, ti tengono ben stretto a lui (unico reale motivo per andare a vedere il film). Cieli bruciati, messe a fuoco inesistenti in numerosissime inquadrature, uno strano e fastidioso filtro che dovrebbe caratterizzare il punto di vista di Van Gogh ma che appare semplicemente come una telecamera con una lente bifocale davanti e che ti lascia sorpreso i primi minuti e semplicemente infastidito per tutto il resto del tempo. Persino i dialoghi finiscono per essere assolutamente inesistenti quando la narrazione li richiederebbe a gran voce ed inutilmente predominanti quando poco sarebbero necessari, per completare un quadro di confusione e snervamento generale.
Infine la narrazione incompleta, dove un secondo prima Vincent e Paul parlano tranquillamente ed il secondo dopo il protagonista si taglia un orecchio, senza aver costruito mattone dopo mattone la solidità della loro amicizia, senza aver fatto percepire la crudele realtà di due caratteri così contrastanti tra due persone che nutrono l'uno nei confronti dell'altro un sincero affetto.
Nota di merito alla capacità di far ammirare i paesaggi, di evidenziare l'importanza del silenzio e dell'osservazione, forse un po' romanzata, ma comunque gradevole, vista nell'ottica del far trasparire le sfumature artistiche dell'anima dell'artista.
A voler tirare le conclusioni si potrebbe tranquillamente dire che le buone intenzioni si sono anche viste, ma non bastano. Del resto, se ci fossero solo quelle, il cinema non esisterebbe così come lo conosciamo.
Un pregio, quello di un regista-pittore? Non saprei, forse solo uno svantaggio dovuto alla convinzione di poter offrire un punto di vista alternativo e visionario che si scontra con il grande, imponente, solido muro della teoria di base per realizzare un film gradevole.
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donato
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martedì 15 gennaio 2019
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assolutamente.... inguardabile
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Ho visto ieri questo "film" e non ho potuto fare a meno di voler esprimere un mio commento....
In realtà non mi è possibile dare un giudizio sugli intenti narrativi del film perché lo stesso è "inguardabile" e per vedere e capire bisogna prima riuscire a guardare.
Purtroppo però, per guardarlo sarebbe necessaria una massiccia dose di Xamamina, per ovviare alll'effetto Mal di Mare indotto dagli assurdi, ondeggianti e casuali movimenti di camera "coadiuvati" da un'altrettanto assurda e random sfocatura parziale nella parte inferiore dello schermo. Una cifra stilistica che non può certamente essere spacciata per arte, e tantomeno come come il tentativo di esprimere una vsione soggettiva da parte di van Gogh stesso.
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Ho visto ieri questo "film" e non ho potuto fare a meno di voler esprimere un mio commento....
In realtà non mi è possibile dare un giudizio sugli intenti narrativi del film perché lo stesso è "inguardabile" e per vedere e capire bisogna prima riuscire a guardare.
Purtroppo però, per guardarlo sarebbe necessaria una massiccia dose di Xamamina, per ovviare alll'effetto Mal di Mare indotto dagli assurdi, ondeggianti e casuali movimenti di camera "coadiuvati" da un'altrettanto assurda e random sfocatura parziale nella parte inferiore dello schermo. Una cifra stilistica che non può certamente essere spacciata per arte, e tantomeno come come il tentativo di esprimere una vsione soggettiva da parte di van Gogh stesso. In realtà è solo una combinazione di effettacci dozzinali e mal riusciti. La fotografia slavata poi, fa il resto e conclude il.... capolavoro.
Quanto all'interpretazione, tra un rollio ed un beccheggio degni di una tempesta a Capo Horn, si intuisce una grande prova di Dafoe, purtroppo...sprecata.
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lunedì 14 gennaio 2019
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noioso
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fabiofeli
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lunedì 14 gennaio 2019
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sedie in attesa di visitatori e cieli stellati
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La storia degli ultimi tormentati anni di vita di Vincent Van Gogh (impersonato da un straordinario Willem Dafoe, miglior protagonista maschile al Festival di Venezia) è piuttosto nota. Gli anni che vanno dal 1886 al 1890 costituiscono per il pittore una rinascita artistica, il fiorire di un nuovo linguaggio pittorico: l’influenza della corrente degli Impressionisti e le luci della Provenza, luogo nel quale Vincent si è trasferito, rendono i suoi quadri ricchi di colore e di materia. I soggetti sono soprattutto paesaggi di placide e fresche vedute mattutine o i notturni con le calde luci amiche di una locanda e i toni freddi di un cielo incredibilmente stellato.
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La storia degli ultimi tormentati anni di vita di Vincent Van Gogh (impersonato da un straordinario Willem Dafoe, miglior protagonista maschile al Festival di Venezia) è piuttosto nota. Gli anni che vanno dal 1886 al 1890 costituiscono per il pittore una rinascita artistica, il fiorire di un nuovo linguaggio pittorico: l’influenza della corrente degli Impressionisti e le luci della Provenza, luogo nel quale Vincent si è trasferito, rendono i suoi quadri ricchi di colore e di materia. I soggetti sono soprattutto paesaggi di placide e fresche vedute mattutine o i notturni con le calde luci amiche di una locanda e i toni freddi di un cielo incredibilmente stellato. Ma ci sono anche ritratti o semplici oggetti, come le sue scarpe o vasi di fiori; la sua camera da letto è una specie di inventario di una vita in povertà: una finestra, un tavolo, una candela, una sedia, un letto. Spesso nei suoi quadri ci sono sedie vuote: il pittore sembra in attesa di una visita che non arriva, del suo amico Gauguin o del proprio adorato fratello Theo, che cerca di vendere i suoi quadri e gli manda soldi per mantenerlo. Il desiderio di ritrarre le persone, ad esempio una ragazza che conduce animali al pascolo, rende il pittore duro e persino violento, una persona disturbata che quasi nessuno vuole vicina a sé …
Julian Schnabel sa di cosa si parla, perché è un pittore e un letterato: ha già girato un film su Basquiat e ha scelto Dafoe per impersonare Pasolini. La somiglianza di Dafoe con gli autoritratti di Van Gogh è sorprendente, ed anche la sua mobilità facciale, i suoi repentini mutamenti di umore che ben raccontano la personalità del pittore come doveva apparire nella provincia di Arles dell’epoca. Schnabel sottolinea l’urgenza, l’ansia che afferra Van Gogh nel desiderio di avvicinare i dettagli di un paesaggio, un colore, una luce. Un cambio improvviso di luce modifica irrimediabilmente l’immagine di un paesaggio, bisogna fare presto, fissare l’immagine il prima possibile: la macchina da presa deve seguire questa corsa sfrenata o il febbrile pennello che traccia sconcertanti radici di un albero in azzurro, i riccioli selvaggi e spropositati di cipressi dipinti in verde scuro nero e blu, oppure il fogliame argenteo degli ulivi riprodotto con accostamenti di grigio e celeste a contrasto dell’arancione del terreno e del cielo al tramonto; la luce del caratteristico giallo carico viene resa più vivida dal contrasto con le “sottolineature” blu. Nel film Turner di Mike Leigh (2014) il protagonista (Timothy Spall) viene preso da una analoga improvvisa frenesia: vuole ritrarre in uno schizzo il cadavere di una prostituta affogata portato dal mare su un freddo molo; incurante della sua malattia scende dalla sua locanda scalzo ed in camicia da notte. La pittura di Van Gogh, con colori grezzi e materici anche nei ritratti, non veniva compresa alla fine ‘800. L’aggressività del pittore nel difendere le sue scelte artistiche dalle critiche attiravano su di lui il sospetto di follia, come le voci che immaginava di sentire. Vincent confessa al suo amico dottore mentre lo ritrae e al prete che indaga su di lui così: Dio gli dice che è nato in un’epoca sbagliata, troppo presto. Ed è innegabilmente vero. E troppo presto, a soli 37 anni, è morto. Da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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laura
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domenica 13 gennaio 2019
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nessuna emozione
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Non mi ha emozionata .
Il regista Schanabel, forse essendo anche lui un pittore, ha dato una visione molto molto personale degli ultimi 4 anni di vita di Vincent. Chi sta seduto in poltrona segue davvero male dal punto di vista visivo il film. Inquadrature mosse e sghembe , fuori fuoco, ostentati controluce .
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Non mi ha emozionata .
Il regista Schanabel, forse essendo anche lui un pittore, ha dato una visione molto molto personale degli ultimi 4 anni di vita di Vincent. Chi sta seduto in poltrona segue davvero male dal punto di vista visivo il film. Inquadrature mosse e sghembe , fuori fuoco, ostentati controluce . Gli occhi di Vincent vedono così la realtà ? La sua “pazzia “ ci viene oggettivamente trasmessa così ? Tutto questo personalmente l ho trovato solo “fastidioso “ .. a discapito dell’ immagine e della sua interiore forza .
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