lovemovies
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venerdì 31 marzo 2023
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il cappottino rosso
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Un film importante, una dedica amorevole a tutte le persone che forse nella loro esistenza non compiranno mai singoli gesti eroici, ma che eroine ed eroi lo sono per la sopportazione e la resilienza alla tribolazione quotidiana. Sono tanti i passaggi che di questo film mi resteranno nella mente ma, principalmente, mi rimarrà impressa una immagine: la ragazza col cappottino rosso, una cappuccetto rosso dei nostri tempi, sfiancata non per sfuggire alle grinfie del lupo, ma per sopravvivere alla fatica di vivere. il paesaggio urbano nasconde storie dolorose ad ogni angolo delle strade. Nessuno dovrebbe chiudere gli occhi. L'interpretazione della Ragonese è sublime.
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Un film importante, una dedica amorevole a tutte le persone che forse nella loro esistenza non compiranno mai singoli gesti eroici, ma che eroine ed eroi lo sono per la sopportazione e la resilienza alla tribolazione quotidiana. Sono tanti i passaggi che di questo film mi resteranno nella mente ma, principalmente, mi rimarrà impressa una immagine: la ragazza col cappottino rosso, una cappuccetto rosso dei nostri tempi, sfiancata non per sfuggire alle grinfie del lupo, ma per sopravvivere alla fatica di vivere. il paesaggio urbano nasconde storie dolorose ad ogni angolo delle strade. Nessuno dovrebbe chiudere gli occhi. L'interpretazione della Ragonese è sublime. La si sente addosso.
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martedì 22 settembre 2020
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la vita reale
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Ho visto il film sole cuore amore diversi anni fa e ho trovato la sua recensione molto appropriata. Basterebbe leggerla per capire che è un film che vale la pena di vedere. Complimenti.
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no_data
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lunedì 10 agosto 2020
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occasione mancata
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Film mancato: la protagonista è magnetica e riesce ad agganciare lo spettatore attraverso la sua spontaneità e vivacità, ma per il resto il film non si lega, l'intreccio tra le due protagoniste tende a dissipare la tensione della storia che a mio avviso andava tutta incentrata solo sul personaggio della madre barista. Alcune scene "sgraziate" tipo quella del cliché della donna borghese tutta carriera che inveisce contro gli immigrati e una povera relazione tra la protagonista e il marito (con la recitazione di quest'ultimo che abbassa notevolmente l'intensità e le potenzialità della loro relazione e dei conflitti) non fanno che dare l'impressione di un film che, non capisco per quale ragione, ha scelto di doversi riempire comprendo invece le sue risorse più grandi: uno sguardo attento e coinvolgente riguardo alla precarietà del lavoro e alla condizione femminile e un ottima caratterizzazione del personaggio principale.
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francesco2
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domenica 1 settembre 2019
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vicari con l'onore delle armi
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Sole, cuore, amore è il titolo scelto da Vicari, regista che sconoscevo, per il suo nuovo film. Ritornello di una canzone ormai un poco vecchiotta, che intona una bambina a narrazione ormai avanzata.
Forse potrebbe racchiudere la semplicita della protagonista principale e del suo mondo, che si contrappone alle atmosfere cupe che caratterizzano il mondo professionale dell’amica, rimandandoci a titoli come “Neon Demon” ed” Il cigno nero”. Ma sembra trapelare, da parte di Vicari, una perplessita che non sfocia mai nel manicheismo ma che, nella(s) cena con l’amica della madre, potrebbe rimandare all’ormai datato “Cuore in inverno” (92), ed ai suoi strali senza spocchia contro la “borghesi a bene”.
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Sole, cuore, amore è il titolo scelto da Vicari, regista che sconoscevo, per il suo nuovo film. Ritornello di una canzone ormai un poco vecchiotta, che intona una bambina a narrazione ormai avanzata.
Forse potrebbe racchiudere la semplicita della protagonista principale e del suo mondo, che si contrappone alle atmosfere cupe che caratterizzano il mondo professionale dell’amica, rimandandoci a titoli come “Neon Demon” ed” Il cigno nero”. Ma sembra trapelare, da parte di Vicari, una perplessita che non sfocia mai nel manicheismo ma che, nella(s) cena con l’amica della madre, potrebbe rimandare all’ormai datato “Cuore in inverno” (92), ed ai suoi strali senza spocchia contro la “borghesi a bene”. Un’atmosfera falsa e/o criptica, il cui destino finale, tuttavia, non appare analogo a quellodella protgonista.
Notturno, nel senso positivo del termine, riesce spesso ad essere questo piccolo film, dove la Ragonese spicca –spiace dirlo –in un cast non sempre cosi benea ssortito. Con uno stile per cui alcuni hanno parlato del pedinamento zavattiniano, Vicari (in) segue nella nottedi Roma, avvalendosi delle musiche di Fresu.Questa notte ben punteggiata è una co-protagonista in un atmosfera tristemente solare che ritrae questo neo-sottoproletariato, ormai immerso nella realta multiculturale e multietnica di oggi. Ma in questo caso la protagonista rifiuta il razzismo aprioristico come reazione ai traumi –per esempio- dell 11 Settembre-, come si evince nella scena, quest si approssimativ e forse politicamente corretta, in cui parlando delle differenze tra Cristiani e Musulmani, dice : Questi sono problemi troppo difficili”. Nella sua realta di giovane di borgata, si limita _SIC- a scontrarsi col padrone di turno, che come qualcuno ha osservato- è un personaggio insopportabile ma che è anche impossibile odiare, carnefice con atteggiamenti razzistoidi -ad esempio, ribattezza Einstein la giovane xtracomunitaria-, man forse vittima anche lui delle lnuove leggi capestro. Ma il sogno di è venire in aiuto alla colleg ache, per inseguire una laurea, dovrebbe rinunciare a quel lavoro. Sogno e sonno, del resto, nel film sono destinati ad intrecciarsi profondamente, e chi abbia visto il film capisce cosa intendo. Il sogno è legato prevalentemente, guarda caso, all’attivita notturna.
IL tristissimo finale non cede alla retorica; viene anzi gradualmente suggerito”, e gli ufficiali che soprggiungono sembrano anch’essi usciti da un sogno, in quell stessa atmosfera lunare che Vicari riesce a fare respirare, nonostante il contesto descritto.
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salvatorescaglia
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sabato 30 dicembre 2017
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eccessivo per essere realistico
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Il film è un'efficace rappresentazione della vita del travet, che con grande sacrificio, quotidianamente, deve spostarsi dall'estrema periferia nell'Urbe.
La protagonista è una donna, Eli, disposta, per la famiglia numerosa con marito disoccupato, a lavorare, sfruttata, sette giorni su sette. Ma non solo: incline all'amicizia, ricambiata, nei confronti di Vale, al consiglio e alla difesa del debole di turno, fino alle estreme conseguenze.
Valida è la raffigurazione cinematografica dell'ambiente umano e materiale; dei reiterati percorsi con bus, metro e a piedi (quasi metafora di un'esistenza che si consuma febbrilmente e monotonamente); delle atmosfere della mattina presto e della sera.
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Il film è un'efficace rappresentazione della vita del travet, che con grande sacrificio, quotidianamente, deve spostarsi dall'estrema periferia nell'Urbe.
La protagonista è una donna, Eli, disposta, per la famiglia numerosa con marito disoccupato, a lavorare, sfruttata, sette giorni su sette. Ma non solo: incline all'amicizia, ricambiata, nei confronti di Vale, al consiglio e alla difesa del debole di turno, fino alle estreme conseguenze.
Valida è la raffigurazione cinematografica dell'ambiente umano e materiale; dei reiterati percorsi con bus, metro e a piedi (quasi metafora di un'esistenza che si consuma febbrilmente e monotonamente); delle atmosfere della mattina presto e della sera. A questo proposito è ben utilizzato il gioco delle luci, dei colori e delle inquadrature, tra sfumature e riprese attraverso altri corpi (come la metro che passa, carrozza dopo carrozza).
La pellicola è tecnicamente ben confezionata e recitata, ma rimane viziata, a mio giudizio, da un'impostazione manicheistica: le donne da una parte e gli uomini dall'altra: le prime tutte ammirevoli (a parte due personaggi marginali: l'avventrice del bar e la moglie-cassiera per poche ore al posto del marito) e i secondi tutti criticabili: il titolare del bar esercente senza scrupoli nei confronti delle dipendenti; l'uomo di borgata che maltratta e forse violenta la donna con cui convive ...
Del resto si sa - codifica il principio, sia pure scherzando, la protagonista - che "gli uomini non ci capiscono un cazzo". Nella migliore delle ipotesi, invero, si limitano all'ordinaria amministrazione: come il marito di Eli, come il medico del pronto soccorso, come i vigilantes della metropolitana nella scena finale.
Comprendo l'intento: gli spunti di denuncia sociale nella pellicola non mancano certamente.
Ma l'opera, che poteva risultare migliore, sembra un'occasione perduta: eccessiva e iperbolica per essere realistica.
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uppercut
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mercoledì 6 dicembre 2017
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disastro
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ndimenticabile quanto fondamentale la scena coi delfini per non parlare poi dello spessore psicologico e narrativo di un personaggione come Robertone o della sapiente gestione dei dialoghi con la sapida storiella del cavallo dello zio o del raffinato uso della fotografia stile bona la prima o della solida struttura narrativa evidentemente mediatata per interminabili mesi di fatica... Aiutooooo!
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no_data
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giovedì 19 ottobre 2017
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un personaggio dei nostri tempi
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E’ uno di quei film italiani coraggiosi (un altro “Cuori puri”), che ogni tanto accade di vedere, che non vuole gratificarti, ma farti “partecipare” ad una mutazione sociologica che attraversa l’Italia: da un (relativo) benessere milioni di italiani sono o stanno progressivamente piombando in una crescente povertà. Come ormai sappiamo tutti, senza che chi ci ha governato ne abbia preso le adeguate misure.
Daniele Vicari rappresenta questa situazione d’impoverimento con un taglio cinematografico documentaristico e insieme narrativo sottile e dialettico, fino a farti sentire la poesia attraverso due storie parallele di donne, Eli e Vale, che hanno in comune, oltre l’amicizia, la volontà di non soccombere contro un orizzonte tanto difficile da diventare, per una di esse, inesorabilmente chiuso.
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E’ uno di quei film italiani coraggiosi (un altro “Cuori puri”), che ogni tanto accade di vedere, che non vuole gratificarti, ma farti “partecipare” ad una mutazione sociologica che attraversa l’Italia: da un (relativo) benessere milioni di italiani sono o stanno progressivamente piombando in una crescente povertà. Come ormai sappiamo tutti, senza che chi ci ha governato ne abbia preso le adeguate misure.
Daniele Vicari rappresenta questa situazione d’impoverimento con un taglio cinematografico documentaristico e insieme narrativo sottile e dialettico, fino a farti sentire la poesia attraverso due storie parallele di donne, Eli e Vale, che hanno in comune, oltre l’amicizia, la volontà di non soccombere contro un orizzonte tanto difficile da diventare, per una di esse, inesorabilmente chiuso.
La sottigliezza dialettica, ed anche forse l’originalità del film è, soprattutto, nel personaggio principale del film, Eli, e nel modo con cui Isabella Ragonese lo ha fatto vivere.
Eli, infatti, ogni mattina e sera deve attraversare Roma, due ore a bordo di pullman, metropolitane e autobus, per raggiungere il lavoro come barista malpagata e al nero, con in più avendo sulle spalle quattro figli e un marito, che cerca disperatamente lavoro, senza riuscirci.
Di fronte a questo gravame esistenziale ( se ne aggiungono, nel corso della storia, altri) la grandezza di Daniele Vicari, regista e sceneggiatore, con la bravura interpretativa dell’attrice, consiste nell’avere creato un personaggio, che si contrappone a questa condizione. Eli, infatti, è, pur in assenza di un progetto politico, percettiva e vitale, creativa e sensuale, ironica e, quando occorre, anche determinata, infine irriducibile fino alla irrazionalità. In particolar modo interpreta il suo lavoro di barista con efficienza professionale e anche con una sorta di teatralità affettuosa e divertita.
Il finale, difficile a farsi, diventa un montaggio alternato sulle due protagoniste, diversamente rappresentate nella forma, ugualmente simili nella sostanza. Eli, seduta su una panchina immobile, con i metro che arrivano e partono, è vista con uno sguardo filtrato e gelido come corpo anonimo nell’anonimato asettico e artificiale della metropolitana. Vale è colta, ferita nei sentimenti, con il vestito rosso sangue, nel vortice febbrile di una performance danzante nelle luci intermittenti e convulse di una discoteca.
Due vite senza scampo, metafore di un’italietta spietatamente chiusa, nella quale Daniele Vicari non vede, né intravede alcuna luce dentro il tunnel.
Convincente la prova di tutti gli attori. La fotografia di Gherardo Gossi è molto curata e la colonna sonora originale di Stefano De Battista nel suo timbro jazzistico fa felicemente da contrappunto alla solitudine della protagonista.
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martinside
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giovedì 31 agosto 2017
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fa vivere la fatica di vivere,
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Trasmettere la sensazione fisica che la protagonista vive, mettere lo spettatore nelle condizioni di provare lui stesso il logoramento che il corpo di questa donna lavoratrice semplice onesta e grintosa giorno dopo giorno subisce lavorando e facendo la mamma. Il corpo, lo subisce, e anche l'animo perché é dentro che avviene il processo più silenziosamente distruttivo. Vita di tutti, vita di molti che si possono incrociare in strada, magari é quella davanti a noi in coda al supermercato o addirittura la nostra collega d'ufficio o la nostra barista, appunto, che sa pure scherzare ogni mattina porgendoci il caffè e una di quelle crostatine "che vanno a ruba".
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Trasmettere la sensazione fisica che la protagonista vive, mettere lo spettatore nelle condizioni di provare lui stesso il logoramento che il corpo di questa donna lavoratrice semplice onesta e grintosa giorno dopo giorno subisce lavorando e facendo la mamma. Il corpo, lo subisce, e anche l'animo perché é dentro che avviene il processo più silenziosamente distruttivo. Vita di tutti, vita di molti che si possono incrociare in strada, magari é quella davanti a noi in coda al supermercato o addirittura la nostra collega d'ufficio o la nostra barista, appunto, che sa pure scherzare ogni mattina porgendoci il caffè e una di quelle crostatine "che vanno a ruba". Vicari mette in scena proprio queste vite, non calca la mano per drammatizzarle, sono già dolorose solo ritratte nella loro interezza perché forse noi ne vediamo spesso solo una parte che non rende l'idea dell'insostenibile leggerezza del vivere cosí 24 ore su 24.
Ciò che aumenta il dolore e l'angoscia di chi guarda, mentre le scene sono scandite dal battito del cuore affaticato, è che non si può rimproverare nulla a questi protagonisti. Sono persone che cercano di cavarsela, onestamente, con grandi sforzi, nemmeno rinunciando a gesti di solidarietà e generosità. Inspiegabilmente reale, dolorosamente vicina
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paolp78
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domenica 30 luglio 2017
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monotono, privo di spunti
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Pellicola di impegno sociale, che denuncia le difficoltà e i sacrifici di molti italiani (benchè la situazione della protagonista è certamente più esasperata rispetto alla media).
Seppure non si resti indifferenti alla tematica trattata ed al tentativo di denuncia, non si può non rimarcare l'assoluta pochezza di incisività della pellicola.
La messa in scena della routine quotidiana, senza mai accadimenti realmente rilevanti, risulta inadatta alla rappresentazione cinematografica: il film ne esce irrimediabilmente barboso e poco interessante.
Il cinema dovrebbe emozionare attraverso la narrazione di una storia che valga la pena mettere in scena.
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Pellicola di impegno sociale, che denuncia le difficoltà e i sacrifici di molti italiani (benchè la situazione della protagonista è certamente più esasperata rispetto alla media).
Seppure non si resti indifferenti alla tematica trattata ed al tentativo di denuncia, non si può non rimarcare l'assoluta pochezza di incisività della pellicola.
La messa in scena della routine quotidiana, senza mai accadimenti realmente rilevanti, risulta inadatta alla rappresentazione cinematografica: il film ne esce irrimediabilmente barboso e poco interessante.
Il cinema dovrebbe emozionare attraverso la narrazione di una storia che valga la pena mettere in scena.
In questo film si è scelto di fare esattamente l'opposto, col risultato di proporre uno spettacolo che non avvince, non diverte, non intrattiene, non cattura l'attenzione.
A parer mio questo non è cinema vero e proprio.
Si sarebbe potuto raggiungere lo stesso scopo con una buona inchiesta giornalistica; viceversa, se si decide di fare un film non si può trascurare completamente l'aspetto narrativo e di intrattenimento.
Le prove degli attori sono certamente buone, benchè lo sforzo recitativo che viene richiesto è molto spesso minimo. In ogni caso merita di essere sottolineata la prova della Ragonese (che interpreta la protagonista), davvero molto brava.
Tra gli altri ruoli mi è piaciuto, in quanto ben delineato, quello del padrone del bar (molto ben interpretato anch'esso), mentre non mi ha convinto a pieno la figura del marito disoccupato e mortificato, che mi è parsa troppo mielosa e "politically correct". La storia parallela della vicina/amica con tendenze omosessuali, pare scollegata al resto della pellicola e poteva tranquillamente essere omessa.
In definitiva, un film che non osa e non racconta nulla: vorrebbe riscattarasi con un finale capace di dare nuovo significato a tutto il film ... ma ormai è troppo tardi.
Non funziona.
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fabiofeli
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mercoledì 14 giugno 2017
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il lavoro delle donne è più pesante
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Alle 4 e 30 suona la radiosveglia di Eli (Isabella Ragonese), una giovane donna con un bambino piccolo ed un marito, Mario (Francesco Montanari), disoccupato ed in eterna ricerca di un lavoro. Eli affronta la sua traversata verso il lavoro in un bar, da Torvaianica alla via Tuscolana, affrontando il mare impazzito del traffico e degli ineluttabili guasti dei mezzi pubblici; è l’unico sostegno economico della famiglia e non può eludere l’impegno preso alla assunzione di essere sempre presente - sempre e per l’intera settimana - con il proprietario del bar, Nicola (Francesco Acquaroli).
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Alle 4 e 30 suona la radiosveglia di Eli (Isabella Ragonese), una giovane donna con un bambino piccolo ed un marito, Mario (Francesco Montanari), disoccupato ed in eterna ricerca di un lavoro. Eli affronta la sua traversata verso il lavoro in un bar, da Torvaianica alla via Tuscolana, affrontando il mare impazzito del traffico e degli ineluttabili guasti dei mezzi pubblici; è l’unico sostegno economico della famiglia e non può eludere l’impegno preso alla assunzione di essere sempre presente - sempre e per l’intera settimana - con il proprietario del bar, Nicola (Francesco Acquaroli). Spesso il lavoro di Eli, comprensivo degli spostamenti, supera le 12 ore, ma lei lo affronta con allegria e capacità molto apprezzati dagli avventori dell’esercizio. A volte Eli battibecca con il proprietario del bar, che spesso prende a male parole l’altra barista, una giovane immigrata che cerca di mantenersi agli studi con quel posto precario. Ha una amica, Vale (Eva Grieco), che proviene da una famiglia danarosa, e svolge il suo lavoro di “performer di danza” in locali notturni cittadini insieme ad una amica. Anche lei ha un orario stressante, ma il suo lavoro è molto più gratificante, perché creativo; ha un carattere tosto e non si sottomette al trucido impresario del duo di danza, il quale è anche amante dell’amica. Vale dà una mano a Eli quando è costretta a ritardare il rientro a casa. Ma lo stress fisico logora Eli …
Daniele Vicari, autore del bel documentario Diaz, affronta il tema del lavoro usurante con un occhio attento alle situazioni estreme che sempre più spesso portano a tragiche conclusioni, in un mondo sempre più deregolato dove il datore di lavoro può diventare una odiosa caricatura stracciona del Padrone delle Ferriere. Il regista innesta questo tema sulla situazione ancora più drammatica se la persona sfruttata è una donna. E’ sotto gli occhi di tutti che le donne con responsabilità familiari sono portate a superare le loro forze. Isabella Ragonese è bravissima nella parte principale e valorizza il film: ricordiamo la sua buona interpretazione ne La nostra vita di Daniele Luchetti, accanto alla rivelazione Elio Germano (premiato a Cannes 2010 come miglior attore); anche quella era una storia sul mondo del lavoro e sullo sfruttamento attuale, incentrato però su una figura maschile che cercava di farsi largo come piccolo imprenditore in un mare popolato di pescicani. La parte più efficace del film di Vicari è nella descrizione dei tribolati percorsi sui mezzi pubblici, affollati di persone affaticate già prima di cominciare il lavoro (e se ce l’hanno sono persino fortunati). Ma l’accostamento della storia di Eli, che poteva già di per sé essere da sola l’oggetto della pellicola – una sorta di Io, Daniel Blake al femminile, con tutte le differenze e i distinguo del caso -, a quella di Vale non funziona, tanto che si percepisce uno sfilacciamento, un dilungarsi estetizzante nell’ultima parte della pellicola; un’occasione persa per Vicari, che dirige un film comunque da vedere.
Valutazione ** e ½
FabioFeli
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