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fabiofeli
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mercoledì 14 giugno 2017
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il lavoro delle donne è più pesante
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Alle 4 e 30 suona la radiosveglia di Eli (Isabella Ragonese), una giovane donna con un bambino piccolo ed un marito, Mario (Francesco Montanari), disoccupato ed in eterna ricerca di un lavoro. Eli affronta la sua traversata verso il lavoro in un bar, da Torvaianica alla via Tuscolana, affrontando il mare impazzito del traffico e degli ineluttabili guasti dei mezzi pubblici; è l’unico sostegno economico della famiglia e non può eludere l’impegno preso alla assunzione di essere sempre presente - sempre e per l’intera settimana - con il proprietario del bar, Nicola (Francesco Acquaroli).
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Alle 4 e 30 suona la radiosveglia di Eli (Isabella Ragonese), una giovane donna con un bambino piccolo ed un marito, Mario (Francesco Montanari), disoccupato ed in eterna ricerca di un lavoro. Eli affronta la sua traversata verso il lavoro in un bar, da Torvaianica alla via Tuscolana, affrontando il mare impazzito del traffico e degli ineluttabili guasti dei mezzi pubblici; è l’unico sostegno economico della famiglia e non può eludere l’impegno preso alla assunzione di essere sempre presente - sempre e per l’intera settimana - con il proprietario del bar, Nicola (Francesco Acquaroli). Spesso il lavoro di Eli, comprensivo degli spostamenti, supera le 12 ore, ma lei lo affronta con allegria e capacità molto apprezzati dagli avventori dell’esercizio. A volte Eli battibecca con il proprietario del bar, che spesso prende a male parole l’altra barista, una giovane immigrata che cerca di mantenersi agli studi con quel posto precario. Ha una amica, Vale (Eva Grieco), che proviene da una famiglia danarosa, e svolge il suo lavoro di “performer di danza” in locali notturni cittadini insieme ad una amica. Anche lei ha un orario stressante, ma il suo lavoro è molto più gratificante, perché creativo; ha un carattere tosto e non si sottomette al trucido impresario del duo di danza, il quale è anche amante dell’amica. Vale dà una mano a Eli quando è costretta a ritardare il rientro a casa. Ma lo stress fisico logora Eli …
Daniele Vicari, autore del bel documentario Diaz, affronta il tema del lavoro usurante con un occhio attento alle situazioni estreme che sempre più spesso portano a tragiche conclusioni, in un mondo sempre più deregolato dove il datore di lavoro può diventare una odiosa caricatura stracciona del Padrone delle Ferriere. Il regista innesta questo tema sulla situazione ancora più drammatica se la persona sfruttata è una donna. E’ sotto gli occhi di tutti che le donne con responsabilità familiari sono portate a superare le loro forze. Isabella Ragonese è bravissima nella parte principale e valorizza il film: ricordiamo la sua buona interpretazione ne La nostra vita di Daniele Luchetti, accanto alla rivelazione Elio Germano (premiato a Cannes 2010 come miglior attore); anche quella era una storia sul mondo del lavoro e sullo sfruttamento attuale, incentrato però su una figura maschile che cercava di farsi largo come piccolo imprenditore in un mare popolato di pescicani. La parte più efficace del film di Vicari è nella descrizione dei tribolati percorsi sui mezzi pubblici, affollati di persone affaticate già prima di cominciare il lavoro (e se ce l’hanno sono persino fortunati). Ma l’accostamento della storia di Eli, che poteva già di per sé essere da sola l’oggetto della pellicola – una sorta di Io, Daniel Blake al femminile, con tutte le differenze e i distinguo del caso -, a quella di Vale non funziona, tanto che si percepisce uno sfilacciamento, un dilungarsi estetizzante nell’ultima parte della pellicola; un’occasione persa per Vicari, che dirige un film comunque da vedere.
Valutazione ** e ½
FabioFeli
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mariaf.
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venerdì 19 maggio 2017
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evviva i buoni film!
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Ebbene sì siamo sempre noi donne le protagoniste, le registe, le organizzatrici della vita familiare e non solo di questo globo.
Il nostro modo di essere, il nostro comportamento lo tramandiamo ai figli, ai nipoti a chi s’imbatte in noi, e nel bene o nel male passiamo quindi un testimone.
Se ricopriamo posti di livello, il nostro messaggio è di resistere nelle vesti imprenditoriali, a volte anche a scapito della nostra femminilità perché per essere credibili, dobbiamo adeguarci a un ruolo maschile fatto anche di arroganza e strafottenza.
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Ebbene sì siamo sempre noi donne le protagoniste, le registe, le organizzatrici della vita familiare e non solo di questo globo.
Il nostro modo di essere, il nostro comportamento lo tramandiamo ai figli, ai nipoti a chi s’imbatte in noi, e nel bene o nel male passiamo quindi un testimone.
Se ricopriamo posti di livello, il nostro messaggio è di resistere nelle vesti imprenditoriali, a volte anche a scapito della nostra femminilità perché per essere credibili, dobbiamo adeguarci a un ruolo maschile fatto anche di arroganza e strafottenza.
Se invece il nostro livello è subordinato come per esempio “donna delle pulizie” in una cooperativa, possiamo essere talmente sfruttate, da portare a casa “ udite udite donzellette e paggi” addirittura € 40,00 il mese (vedi “Operai” Rai tre del 7.5.2017), ciò nonostante non demordiamo, stringiamo i denti e andiamo avanti perché il lavoro quale esso sia, dà dignità anche se trattate da schiave.
Eli è una mamma di quattro figli, sposata con Mario disoccupato, fa la barista a Roma e per raggiungere il posto di lavoro è costretta ad alzarsi alle quattro e trenta e da quel momento è tutta una corsa disperata per non perdere i mezzi che la condurranno a quel lavoro che lei nonostante la fatica non mollerà essendo l’unica fonte di reddito.
Fra Eli e Mario, c’è collaborazione, scambio, accudimento dei piccoli, amore che si “taglia a fette”, comprensione e alla fine della giornata, Eli torna a casa non prima delle ventidue, annientata dalla stanchezza.
In questo mondo globalizzato dove il profitto è inteso come unica risorsa per il raggiungimento di beni materiali effimeri, ce ne freghiamo di come un collaboratore possa arrivare letteralmente stremato a fine di giornata, le ventiquattro ore devono essere dedicate esclusivamente a far andare avanti l’azienda, l’esercizio, laddove per ottenere un buon andamento dell’attività sarebbe necessario solo che i lavoratori potessero godere dei loro diritti e di rispetto.
Nel 2011 la ministra Fornero del governo Monti, dalla quale tutte noi ci aspettavamo grandi cose, soprattutto perché donna, disattese in pieno le nostre aspettative creando una legge a mio parere contro le donne: portò la pensione dai sessanta a sessantacinque anni di età!
La ministra dimostrò di non conoscere minimamente quali sono gli impegni in una giornata di una donna: studio, lavoro, cura di bambini, assistenza di genitori, lavare, stirare, rassettare, amministrare, a livello familiare poi, deve trovare il tempo per fare anche da psicologa!
A parità di qualifica e grado una donna tuttora è pagata meno degli uomini, detto ciò la ministra pensò bene di renderci omaggio prolungando il periodo lavorativo.
Il sistema perseguendo il solo profitto a danno dei rapporti e del benessere familiare, ci sta facendo abituare a quest’andazzo e ci stiamo abituando a tragedie come di trovare accasciate su una panchina tantissime Eli, morte per lo sfinimento e la prostrazione.
Quello che conta è far quadrare i conti dello Stato e diffondere il concetto che chi non riesce a trovare lavoro è un bamboccione, un choosy, cioè uno schizzinoso.
Il regista ha descritto una storia vera che lascia l’amaro in bocca e tanta rabbia.
Non si può morire di lavoro.
Gli attori sono stati speciali, di una bravura mirabile, anche i non protagonisti.
Anche l’interprete di Vale ha reso il suo personaggio, prezioso. Grazie.
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angeloumana
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lunedì 15 maggio 2017
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la precarietà
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Un film sul lavoro e anche in questo campo Daniele Vicari, il regista, non fa sconti quanto a crudezza (come in Diaz). Teso fin dall’inizio, tiene in ansia più di un thriller su come andrà alle protagoniste, una vita a sbarcare il lunario sempre sul filo del rasoio della precarietà. Due amiche e vicine di casa distillano il loro sudore ognuna nel proprio posto di lavoro: l’una alzandosi alle 4:30 di mattina per raggiungere il bar dove lavora, 7 giorni su 7, all’altro capo di Roma, autobus (che qualche volta o spesso si rompono), metropolitana e il titolare del bar che si lamenta per i ritardi, per tornare a casa alle 22, per 800€ al mese in nero; l’altra esercitandosi faticosamente per il suo balletto in un locale notturno.
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Un film sul lavoro e anche in questo campo Daniele Vicari, il regista, non fa sconti quanto a crudezza (come in Diaz). Teso fin dall’inizio, tiene in ansia più di un thriller su come andrà alle protagoniste, una vita a sbarcare il lunario sempre sul filo del rasoio della precarietà. Due amiche e vicine di casa distillano il loro sudore ognuna nel proprio posto di lavoro: l’una alzandosi alle 4:30 di mattina per raggiungere il bar dove lavora, 7 giorni su 7, all’altro capo di Roma, autobus (che qualche volta o spesso si rompono), metropolitana e il titolare del bar che si lamenta per i ritardi, per tornare a casa alle 22, per 800€ al mese in nero; l’altra esercitandosi faticosamente per il suo balletto in un locale notturno. La prima, Isabella Ragonese, è madre di 4 bambini e anche moglie … di un disoccupato, e questo pure è un aspetto del lavoro; l’altra, Eva Grieco, è single, un tipo più “alternativo” anche nell’abbigliamento, innamorata di una ragazza più giovane.
Entrambe portano avanti la loro croce con sacrificio ma svolgono coscienziosamente le loro “performance”, con le angherie o pretese dei “datori di lavoro”, del primo Isabella dirà che non è cattivo, è un derelitto, una miseria umana. In effetti tra datori e prestatori d’opera sembra in questo caso una guerra tra poveri, i primi sono un po’ più “ricchi” e contano miserabilmente le loro banconote. La bambina più grande della protagonista, 10 anni, alle sue prime mestruazioni chiederà alla madre Che succede quando si diventa donne? e a considerare la vita di sua madre – lontana dall’idillio del titolo Sole Cuore Amore - ha già la sconsolante risposta.
E’ un film sul lavoro visto “a livello strada”, realistico talmente da far pensare a Non essere cattivo di Claudio Caligari o a film che rappresentano realtà nude di microcosmi quasi ai margini della società. Nulla a che fare, per esempio, con un altro film recente sul lavoro, 7 Minuti, nulla dei tanti discorsi fumosi sui diritti dei lavoratori o sui “princìpi” a cui i sindacati si richiamano. Sulla locandina del film è riportato, tra i commenti apparsi su vari quotidiani, quello che recita “Un film necessario, urgente … su un’eroina del quotidiano”. Ma i sindacati in questo film sono insieme alla politica i grandi assenti, un’assenza assordante.
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emanuele1968
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domenica 14 maggio 2017
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bellissimo
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Bello, imperdibile, sacrificio della famiglia, titolare che fa i conti per essere corretto coi dipendenti, amore mai trovato e amore travagliato e incomprensibile, assurdo, situazioni veritiere, proprio cosi, mi chiedo cosa farà ora il marito? con 4 figli? ma ballano cosi oggi le cubiste? mah? preferivo i balli delle cubiste di una volta. Tutti bravi, perfetto, ottimo prodotto Italiano.
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vincenzoambriola
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domenica 14 maggio 2017
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due vite a incastro
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Due grandi amiche, quasi due sorelle. Una ha quattro figli, un marito, un lavoro, ma deve correre tutto il giorno per sopravvivere. L'altra ha smesso di studiare all'università, è single, non ha un lavoro e la notte si esibisce come performer, la sua famiglia borghese la aiuta nei momenti difficili. Le loro vite sono allacciate, perché mentre lei lavora, l'altra le guarda i figli, li aiuta a studiare, li porta al parco. Due vite a incastro. Poi la tragedia. Un film a moltissimi strati, da analizzare con calma per capire dove sta andando la nostra società. Non quella dei talk show, dei SUV, delle vacanze alle Canarie ma quella del nuovo proletariato, di chi non trova lavoro.
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Due grandi amiche, quasi due sorelle. Una ha quattro figli, un marito, un lavoro, ma deve correre tutto il giorno per sopravvivere. L'altra ha smesso di studiare all'università, è single, non ha un lavoro e la notte si esibisce come performer, la sua famiglia borghese la aiuta nei momenti difficili. Le loro vite sono allacciate, perché mentre lei lavora, l'altra le guarda i figli, li aiuta a studiare, li porta al parco. Due vite a incastro. Poi la tragedia. Un film a moltissimi strati, da analizzare con calma per capire dove sta andando la nostra società. Non quella dei talk show, dei SUV, delle vacanze alle Canarie ma quella del nuovo proletariato, di chi non trova lavoro. Un film che indaga nel profondo dei rapporti di coppia, di amori che reggono nonostante le difficoltà economiche, nonostante le botte, e di altri che non decollano per un vuoto interiore, una sofferenza mai capita e mai risolta. E poi la musica, forte, intensa, che ipnotizza come il ritmo ininterrotto dei pullman che vanno e vengono dalla periferia, delle metropolitane che non si fermano mai, come la vita di tutti coloro che, moderni Charlot, sono legati agli ingranaggi di una nuova schiavitù.
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francesca
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sabato 13 maggio 2017
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bravissima lei
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una straordinaria Ragonese illumina col suo sorriso una storia tristissima ma reale con una donna che regge da sola il peso della famiglia un marito disoccupato ma quasi rassegnato a fare il padre-baby sitter un padrone apparentemente soddisfatto ma che paga in nero e non da' il riposo dovuto.L'amica performer rappresenta un'altra faccia della realta' odierna ma la parte del film che la riguarda e' bella solo dal punto di vista spettacolare,non aggiunge niente alla storia.Amarezza ma tentativo di resistere "teniamo duro"dice Eli non c'e' vera denuncia e' solo uno spaccato della ns societa' in crisi non solo economica (vedi il finale)
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mari
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giovedì 11 maggio 2017
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eccezionale
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Il film lo trovo realistico vero ..Gli attori sono bravissimi la Ragonese la trovo sublime.
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chewingun
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giovedì 11 maggio 2017
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bastava anche solo un figlio
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Quattro figli, il padre senza lavoro fisso e la madre che lavora in nero 7 gg a settimana per 800 euro, a due ore di mezzi pubblici da casa, sono una famiglia tipo nel 2017? Le maggior coppie italiane non “mette su casa” e non figlia.
Il film è dolentissimo: la la condizione che racconta non poteva avere un altro svolgimento.
Non ci troviamo di fronte gli emarginanti di “Non essere cattivo”, ma la situazione raccontata è fuori dagli schemi di vita che il liberismo ha imposto ai giovani italiani: in casa almeno fino a 30anni e un figlio, se verrà, verso i 40anni.
Il più plausibile dei personaggi è la seconda ballerina, Giulia Anchisi, che, nonostante le percosse del partner, torna da lui dopo aver ricevuto un mazzo di rose.
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Quattro figli, il padre senza lavoro fisso e la madre che lavora in nero 7 gg a settimana per 800 euro, a due ore di mezzi pubblici da casa, sono una famiglia tipo nel 2017? Le maggior coppie italiane non “mette su casa” e non figlia.
Il film è dolentissimo: la la condizione che racconta non poteva avere un altro svolgimento.
Non ci troviamo di fronte gli emarginanti di “Non essere cattivo”, ma la situazione raccontata è fuori dagli schemi di vita che il liberismo ha imposto ai giovani italiani: in casa almeno fino a 30anni e un figlio, se verrà, verso i 40anni.
Il più plausibile dei personaggi è la seconda ballerina, Giulia Anchisi, che, nonostante le percosse del partner, torna da lui dopo aver ricevuto un mazzo di rose. Come tante donne sopporterà muta la violenza domestica.
Il seguito del film potrebbe essere il racconto di un padre senza reddito e quattro piccoli orfani. Ma non so se Vicari troverà i soldi per raccontare la storia di quattro piccoli poverissimi italiani.
I protagonisti abitano i riva al mare ripreso in una splendido azzurro (nessuna scena con cieli grigi e pioggia): un mare che ci suggerisce di non rassegnarci al dolore dei nostri giorni.
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[+] la realta' e' abbastanza brutta cosi'
(di francesca)
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mauriziomeres
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giovedì 11 maggio 2017
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eli è il suo cappottino rosso
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Sole perché lei è bella e solare,cuore perché vuole bene a tutti e aiuta tutti,amore perché ama la sua famiglia,e ama la vita,film triste ma tremendamente vero,questa è la storia di una donna,semplice,umile non si stacca mai dal suo cappottino rosso anni settanta,molto rimarcato dal regista,e con tutto il peso sulle spalle della sua famiglia ,si entra nei più intimi pensieri,attraverso una quotidianità massacrante e di non rispetto alla persona,un lavoro umile mal pagato con umiliazioni da parte del datore di lavoro,personaggio ambiguo e inutile alla vita sociale,recepite quotidianamente ma sopportate con grandissima dignità.
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Sole perché lei è bella e solare,cuore perché vuole bene a tutti e aiuta tutti,amore perché ama la sua famiglia,e ama la vita,film triste ma tremendamente vero,questa è la storia di una donna,semplice,umile non si stacca mai dal suo cappottino rosso anni settanta,molto rimarcato dal regista,e con tutto il peso sulle spalle della sua famiglia ,si entra nei più intimi pensieri,attraverso una quotidianità massacrante e di non rispetto alla persona,un lavoro umile mal pagato con umiliazioni da parte del datore di lavoro,personaggio ambiguo e inutile alla vita sociale,recepite quotidianamente ma sopportate con grandissima dignità.
Nel film storie che girano intorno al personaggio di Eli danno un senso di abbandono sociale e di emarginazione verso chi pur lavorando non trova la giusta dimensione colpa di tutto e di tutti quelli che attraverso queste storie di vita vere e ce ne sono tantissime riescono soltanto ad arricchirsi.
Bellissima interpretazione della bella Ragonese,entra nel personaggio facendolo suo,espressività inconfondibile in quanto già esperta in ruoli simili di autentico neorealismo.
Bravissimo il regista Daniele Vicari racconta il presente in una crisi sociale che non lascia scampo ai più deboli,sfiora il patetico ma lasciando ai personaggi la loro dignità.
Un finale dove il dramma annunciato nello scorrere del film,diventa tremendamente incompressibile e ingiustificabile nell'era in cui viviamo,un messaggio che il regista con abilità cinematografica denuncia nella più assoluta libertà.
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[+] due donne
(di vanessa zarastro)
[ - ] due donne
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camarillo75
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martedì 9 maggio 2017
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ma...
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Comunque il film è tratto da una storia vera. E' quella vicenda, semmai, ad aver caricato troppo sui toni del neorealismo.
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