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iuriv
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martedì 11 aprile 2017
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favole sanguinose
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Garrone si da al fantasy e lo fa attraverso un film imponente arricchito da un cast internazionale in grande forma.
Nella pellicola si narrano tre racconti intrecciati tra di loro, uniti da una fragile cornice narrativa utile solo a fungere da raccordo. In realtà è un film a episodi ben amalgamati attraverso un montaggio alternato capace di sostenere il ritmo degli avvenimenti durante tutta la visione.
Tra principesse, orchi e draghi troviamo tutte le caratteristiche tipiche del genere, compresa una certa crudezza nelle immagini che alcune serie televisive hanno imposto per arricchire lo standard.
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Garrone si da al fantasy e lo fa attraverso un film imponente arricchito da un cast internazionale in grande forma.
Nella pellicola si narrano tre racconti intrecciati tra di loro, uniti da una fragile cornice narrativa utile solo a fungere da raccordo. In realtà è un film a episodi ben amalgamati attraverso un montaggio alternato capace di sostenere il ritmo degli avvenimenti durante tutta la visione.
Tra principesse, orchi e draghi troviamo tutte le caratteristiche tipiche del genere, compresa una certa crudezza nelle immagini che alcune serie televisive hanno imposto per arricchire lo standard.
Tuttavia, più che agli scontri con gli spadoni di tipo nordico, il tono della narrazione è più sbilanciato verso la favola. Una miscela intrigante questa, in quanto tenta di andare a pescare i lati migliori di due realtà molto vicine, ma quasi mai al punto di toccarsi.
Garrone ci porta all'interno di questo mondo, riuscendo a farci percepire l'ansia nel percorrere un labirinto e l'oscurità degli anfratti nascosti in un castello o in una grotta. E' potente la messa in scena del regista e contribuisce non poco a spostare la fiaba su di un piano realistico, non rinunciando a mettere in mostra lo sporco e il sangue come elementi integranti, e quindi naturali, dell'ambientazione.
Non sono sicuro di questo, ma da qualche parte ho sentito dire che l'ispirazione alla base di queste vicende affondi nelle leggende popolari. E' possibile.
Lo stile fortemente simbolico di alcuni passaggi (che forse obbliga a un'ulteriore visione attenta per afferrarne tutte le implicazioni) e quei finali quasi tronchi, avvalorerebbero questa tesi.
Le tre storie, infatti, non si concludono in modo netto, ma lasciano aperti molti canali interpretativi sui quali riflettere. Esercizio indubbiamente interessante ma che, per quanto il film sia formalmente bello, mi è quasi impossibile fare.
Ho trovato tutto il complesso abbastanza freddo in fin dei conti. Molto ben costruito e recitato alla stragrande, ma distante. Forse la causa è nella eccessiva stilizzazione dei personaggi o magari in una mia scarsa attitudine al genere.
Certo, poi però vedo Game Of Thrones o mi avvicino al Signore Degli Anelli e capisco che non può essere tutto li.
La mia sensazione è che, in tanta magnificenza, qui manchi qualcosa.
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dandy
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martedì 19 settembre 2017
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un fantasy nostrano interessante,ma non per tutti.
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Garrone,anche sceneggiatore,si avventura nella sua prima produzione in inglese.Prende spunto da tre racconti della raccolta "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile del 1636.Tre storie che si intrecciano senza mai mischiarsi,eccetto che nel finale.A prima vista potrebe sembrare l'ennesimo film di genere per famiglie,ma in realtà le vicende narrate sono tutt'altro che idilliache e adatte ai più piccoli(non tutti almeno).Non mancano scene tragiche,eroticamente esplicite ed addirittura sanguinose(il tragico epilogo della terza storia,dove in parte viene da patteggiare per il gigante...).E per questo in parte,bisogna riconoscere l'originalità del regista,che nonostante le scelte di casting "da esportazione" prende le distanze dalla commercialata facile.
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Garrone,anche sceneggiatore,si avventura nella sua prima produzione in inglese.Prende spunto da tre racconti della raccolta "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile del 1636.Tre storie che si intrecciano senza mai mischiarsi,eccetto che nel finale.A prima vista potrebe sembrare l'ennesimo film di genere per famiglie,ma in realtà le vicende narrate sono tutt'altro che idilliache e adatte ai più piccoli(non tutti almeno).Non mancano scene tragiche,eroticamente esplicite ed addirittura sanguinose(il tragico epilogo della terza storia,dove in parte viene da patteggiare per il gigante...).E per questo in parte,bisogna riconoscere l'originalità del regista,che nonostante le scelte di casting "da esportazione" prende le distanze dalla commercialata facile.Altro punto di forza è l'uso delle splendide location(il castello di Roccasalegna,Palazzo Chigi di Ariccia,Castello Caetani,Palazzo reale,Capodimonte,Castel del Monte,Castello normanno-svevo,Castello di Donnafugata,le Gole dell'Alcantara,le Vie Cave,il Castello di Sammezzano,il Palazzo Vecchio)fotografate magnificamente da Peter Suschitzky(collaboratore abituale di David Cronenberg);e gli effetti speciali sono semplici ed efficaci,mai invasivi.Ed anche i temi esposti fanno da specchio al presente:l'ossessione per la giovinezza,l'impossibilità di comunicazione tra genitori e figli,la brama di sessualità,la follia del potere.Peccato solo che nell'insieme vi sia una certa freddezza.Il cast è ben scelto,se si esclude la Hayek:troppo fredda,troppo relegata allo stereotipo della "cattiva a tutti i costi".Un discreto tentativo comunque,da vedere.Ben sette David di Donatello(regia,fotografia,costumi,scenografia,trucco,acconciature ed effetti speciali)ma ahimè scarso successo di pubblico da noi.Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini appaiono sporadicamente in tutta la vicenda nel ruolo dei saltimbanchi,e nel finale aiutano Viola a fuggire.
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nerone bianchi
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domenica 17 maggio 2015
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come dei bambini accanto al fuoco
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E' un bel momento di cinema, due ore in cui, sedendosi sulla poltrona, ci si ritrova a volare in quello straordinario mondo che è l'immaginario dei nostri avi lontani, fatto di storie potenti, di lezioni utili alla vita, di formidabili esempi, di divertimento, di materia da raccontare in continuazione, di generazione in generzione, per meravigliare e nutrire la nostra, per fortura sempre bisognosa, necessità di stupirci. Tratto da quel monumento di invenzione che è “Lu cunto de li cunti” di Basile, il film racconta tre epiosodi in particolare, intrecciandoli in un unico tessuto narrativo e scorre felicemente nelle sue due ore senza mai concedere una pausa alla nostra attenzione, restituendocela al termine quasi con una punta di amarezza, perché ci sarebbe piaciuto ancora ascoltare altre di quelle storie, come dei bambini seduti accanto al fuoco, e questo non è davvero poco.
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E' un bel momento di cinema, due ore in cui, sedendosi sulla poltrona, ci si ritrova a volare in quello straordinario mondo che è l'immaginario dei nostri avi lontani, fatto di storie potenti, di lezioni utili alla vita, di formidabili esempi, di divertimento, di materia da raccontare in continuazione, di generazione in generzione, per meravigliare e nutrire la nostra, per fortura sempre bisognosa, necessità di stupirci. Tratto da quel monumento di invenzione che è “Lu cunto de li cunti” di Basile, il film racconta tre epiosodi in particolare, intrecciandoli in un unico tessuto narrativo e scorre felicemente nelle sue due ore senza mai concedere una pausa alla nostra attenzione, restituendocela al termine quasi con una punta di amarezza, perché ci sarebbe piaciuto ancora ascoltare altre di quelle storie, come dei bambini seduti accanto al fuoco, e questo non è davvero poco. Straordinari gli ambienti ed i costumi, maniacale la ricerca dei personaggi (quasi felliniana), meravigliose le musiche e in particolare il tema che accompagna tutto il lavoro. L'immagine del funambolo sopra Castel del Monte è la sintesi di questo piccolo capolavoro.
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stefano capasso
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lunedì 18 maggio 2015
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la strada per diventare re e regina
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Tre piccoli regni nella Puglia del ‘600 vedono svolgersi altrettante storie drammatiche. Una coppia di regnanti che non riesce ad avere un figlio, una principessa che cerca di convincere il padre annoiato a farle scoprire il mondo e un Re che tra festini e orge è alla ricerca della sua regina.
Una fiaba composta da tre storie che sono raccontate in parallelo con una ottima regia di Matteo Garrone. Un film estetico fatto di immagini molto belle ed evocative e ricco di simbologia. Le tre storie vedono i rispettivi protagonisti impegnati nell’affrontare il proprio compito per accedere ad un nuovo equilibrio. Principi e principesse che per diventare Re e Regine non possono fare altro che sottoporsi alle prove che la vita sottopone loro.
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Tre piccoli regni nella Puglia del ‘600 vedono svolgersi altrettante storie drammatiche. Una coppia di regnanti che non riesce ad avere un figlio, una principessa che cerca di convincere il padre annoiato a farle scoprire il mondo e un Re che tra festini e orge è alla ricerca della sua regina.
Una fiaba composta da tre storie che sono raccontate in parallelo con una ottima regia di Matteo Garrone. Un film estetico fatto di immagini molto belle ed evocative e ricco di simbologia. Le tre storie vedono i rispettivi protagonisti impegnati nell’affrontare il proprio compito per accedere ad un nuovo equilibrio. Principi e principesse che per diventare Re e Regine non possono fare altro che sottoporsi alle prove che la vita sottopone loro. Senza cercare scorciatoie che sono di breve durata, come accade alle due sorelle che tentano di ingannare il Re che è alla ricerca della sua sposa.
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carlosantoni
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martedì 19 maggio 2015
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l’equilibrio che si rompe, che si ricostituisce.
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Garrone divora. Usa la fiaba e i suoi simboli, usa soprattutto le vicissitudini del corpo, della sua decadenza fisica e del corrispettivo desiderio di una corsa all’indietro nel tempo e verso la bellezza perduta. Taglia i sentimenti e li analizza come un anatomopatologo taglia e analizza i tessuti: desiderio di maternità, amore, desiderio di possesso (materno e paterno) nei confronti del figlio/figlia, brama di libertà, gelosia e invidia, erotismo, ricerca della propria unità e natura…
Garrone trova nei racconti di Basile una materia prima a lui quanto mai congeniale, e la tratta da sopraffino cultore e maestro del cinema. Tutto, direi, nel suo film è eccellente. Non solo gli aspetti “interni”, quali la sceneggiatura, la trama, le preziose simmetrie sia visive che concettuali, ma anche gli aspetti esteriori, che perciò non lo sono “meramente”, ma sostanzialmente: una fotografia che mozza il fiato, una colonna sonora che commenta perfettamente i vari complessi passaggi, un cast di interpreti eccellenti, una serie di location spettacolari.
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Garrone divora. Usa la fiaba e i suoi simboli, usa soprattutto le vicissitudini del corpo, della sua decadenza fisica e del corrispettivo desiderio di una corsa all’indietro nel tempo e verso la bellezza perduta. Taglia i sentimenti e li analizza come un anatomopatologo taglia e analizza i tessuti: desiderio di maternità, amore, desiderio di possesso (materno e paterno) nei confronti del figlio/figlia, brama di libertà, gelosia e invidia, erotismo, ricerca della propria unità e natura…
Garrone trova nei racconti di Basile una materia prima a lui quanto mai congeniale, e la tratta da sopraffino cultore e maestro del cinema. Tutto, direi, nel suo film è eccellente. Non solo gli aspetti “interni”, quali la sceneggiatura, la trama, le preziose simmetrie sia visive che concettuali, ma anche gli aspetti esteriori, che perciò non lo sono “meramente”, ma sostanzialmente: una fotografia che mozza il fiato, una colonna sonora che commenta perfettamente i vari complessi passaggi, un cast di interpreti eccellenti, una serie di location spettacolari.
E poi, le scene dal sapore spesso onirico, sempre fiabesco e letterario, molto frequentemente di intenso valore simbolico, a cominciare dalla prima e dall’ultima, sulle quali non smetto di riflettere. E ancora una volta: il corpo, i corpi, con la loro matericità, la loro pesantezza e incipiente corruzione, la loro sostanziale inevitabilità, a far da contraltare ai sentimenti, i desideri, i sogni e le passioni. E il tutto che incredibilmente si tiene in equilibrio, un equilibrio tragico, da far rimanere a bocca aperta, come quando nella scena finale si osserva l’acrobata che, sul fare del tramonto estremo, si accinge a trapassare il baratro ottagonale di Castel Del Monte, transitando silente su una corda incendiata. Stupenda metafora, credo, della difficoltà e bellezza della vita e delle infinite maniere di raccontarla.
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(di laura bertonazzi)
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jacopo b98
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domenica 24 maggio 2015
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un fantasy maturo, raffinato e personale
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Tre storie, riguardanti tre monarchi di regni vicini. 1) la regina di Selvascura (Hayek) non può avere figli ma, su consiglio di uno stregone, resta incinta mangiando il cuore di un drago, che suo marito (Reilly) è morto per uccidere. Anni dopo il figlio (C. Lees) della regina, fa amicizia con il suo gemello, nato da un’altra donna coinvolta nell’incantesimo dello stregone. 2) Il re di Roccaforte (Cassell), donnaiolo irrefrenabile, si innamora di una fanciulla che sente cantare, ma che si scoprirà essere una vecchia donna (Carmichael). 3) Il re di Altomonte (Jones) nutre in segreto una pulce con il suo sangue fino a farla diventare enorme. Quando l’animale muore bandisce un torneo per far sposare sua figlia (Cave), a vincere sarà però un terribile orco (Delaunay).
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Tre storie, riguardanti tre monarchi di regni vicini. 1) la regina di Selvascura (Hayek) non può avere figli ma, su consiglio di uno stregone, resta incinta mangiando il cuore di un drago, che suo marito (Reilly) è morto per uccidere. Anni dopo il figlio (C. Lees) della regina, fa amicizia con il suo gemello, nato da un’altra donna coinvolta nell’incantesimo dello stregone. 2) Il re di Roccaforte (Cassell), donnaiolo irrefrenabile, si innamora di una fanciulla che sente cantare, ma che si scoprirà essere una vecchia donna (Carmichael). 3) Il re di Altomonte (Jones) nutre in segreto una pulce con il suo sangue fino a farla diventare enorme. Quando l’animale muore bandisce un torneo per far sposare sua figlia (Cave), a vincere sarà però un terribile orco (Delaunay). Toccherà alla povera ragazza liberarsi dalla prigionia della creatura e tornare dal padre. Lo cunto de li cunti è la più antica raccolta di fiabe del mondo (risale al ‘600) e fu scritta dal napoletano Giambattista Basile, di cui Garrone ha scelto di adattare (insieme ad altri 3 sceneggiatori) 3 novelle, sulle 50 dell’opera: La regina, Le due vecchie e La pulce. Girato il lingua inglese, con attori anglofoni, e un produttore di serie A come Jeremy Thomas (Oscar al miglior film per L’ultimo imperatore di Bertolucci), è l’opera più ambiziosa di Garrone, che ha potuto disporre fra l’altro di un budget più elevato del solito, poco meno di 15 milioni di dollari. In realtà è un’operazione piuttosto insolita: il fantasy non è proprio il genere più comune nel panorama cinematografico autoriale di cui Garrone è esponente. Ma proprio per questo la sua scelta, con tutte le sue conseguenze, appare ancora più coraggiosa. Perché Garrone accetta fino in fondo la sua scelta: fantasy dev’essere e fantasy sia insomma. E quindi non mancano orchi, draghi, maghe misteriose, fanciulle eteree, ecc. Ma allo stesso tempo il regista non ha voluto realizzare un’operazione commerciale, non si è inchinato al grande cinema spettacolare americano, anzi, come lui stesso ha detto: “Non siamo stati noi ad andare dagli americani, sono stati loro a venire da noi: non è il loro cinema, è il nostro cinema fatto con i loro mezzi”. E difatti il film è stato girato interamente tra centro e sud Italia. Garrone, con questo fantasy insolito e misterioso non si vuole fermare alla superficie ma, come sempre, vuole andare oltre, entrare nei suoi personaggi, guardare in loro, da fine psicologo quale si è rivelato essere in Gomorra e Reality. E pur con qualche fase poco risolta, l’operazione riesce: è un fantasy adulto, che va a fondo su temi importanti, fra tutti l’amore, vera e propria forza motrice del film e protagonista di tutte e tre le storie. Pieno di simbolismi astratti, ricco di sequenze di ammaliante fascino visivo (l’uccisione del drago marino, l’attacco del pipistrello gigante che poi si rivela essere una donna meravigliosa…), non privo di un sottile, grottesco umorismo, talvolta cattivello, Il racconto dei racconti è un’opera matura, complessa e completa. E poi merita attenzione se non altro per il coraggio profuso in un’operazione non facile e soprattutto dai frutti tutt’altro che scontati. Tutte le storie hanno i loro punti di forza e le loro debolezze: quella di Salma Hayek ci pare forse la meno conclusa, quella di Cassell forse, al netto, pare essere la migliore, seppur non raggiunga i picchi straordinari della terza novella, quella di Toby Jones, che vanta una prima parte letteralmente straordinaria e geniale, per lasciarsi poi andare a una seconda parte decisamente più fiacca e prolissa, che riguadagna solo nel finale. Comunque le invenzioni visive non si contano e tra i collaboratori tecnici non si possono non citare il cronenberghiano direttore della fotografia Peter Suschitzky e il musicista Alexandre Desplat. Corretti gli attori, ma mai memorabili, se si eccettua per lo straordinario Toby Jones. Effetti speciali convincenti. In concorso a Cannes 2015.
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fravagna
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lunedì 25 maggio 2015
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il trionfo della fiaba
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Si è ormai abituati a considerare il cartone animato come il linguaggio cinematografico più consono alla narrazione delle fiabe. E questo in effetti è vero, se per fiaba si intende un mondo meraviglioso, ma patinato, abitato da principesse incantevoli, animali parlanti, streghe cattive che vengono punite e valori ideali. Se per fiaba, al contrario, si intende quell'universo oscuro, in bilico fra il diletto e l'ammonimento, fra la meraviglia e il terrore, in cui per secoli la tradizione popolare ha riversato i propri timori, desideri, inquietudini, quell'universo in cui spesso la principessa non viene salvata, e la dicotomia bene/male non è così marcata, ecco, allora forse il cartone animato non basta più.
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Si è ormai abituati a considerare il cartone animato come il linguaggio cinematografico più consono alla narrazione delle fiabe. E questo in effetti è vero, se per fiaba si intende un mondo meraviglioso, ma patinato, abitato da principesse incantevoli, animali parlanti, streghe cattive che vengono punite e valori ideali. Se per fiaba, al contrario, si intende quell'universo oscuro, in bilico fra il diletto e l'ammonimento, fra la meraviglia e il terrore, in cui per secoli la tradizione popolare ha riversato i propri timori, desideri, inquietudini, quell'universo in cui spesso la principessa non viene salvata, e la dicotomia bene/male non è così marcata, ecco, allora forse il cartone animato non basta più. Garrone sembra consapevole della natura profondamente oscura che soggiace dietro ogni fiaba, e la fa propria, conducendo magistralmente tre storie diverse, che tuttavia si richiamano a vicenda, rendendo un film che poteva essere frammentario in un lungometraggio coeso e appassionante. Non si trovano qui battaglie epiche nè sortilegi eclatanti, ma la magia sgorga progressivamente e silenziosamente, attraverso gli sguardi, le scelte, il coraggio e quel sano senso di disagio e di inquietudine che solo le fiabe popolari, quelle vere, riescono a trasmettere. La fotografia, i costumi, e gli attori compiono il resto, e trasformano quella piccola perla della letteratura italiana che è "Lo Cunto de li Cunti", in un viaggio meraviglioso. Il film di Garrone è un omaggio all'umanità, alla tradizione, alla cultura di un popolo, quello italiano, ma anche europeo, di antica tradizione. Ma più di tutti, è un tributo alla Fiaba, genere letterario unico, troppo spesso confuso con la favola. A differenza di quest'ultima, la Fiaba non prevede morale, e il bene e il male convivono, così come nella vita. E questo la rende meravigliosamente inquietante.
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catcarlo
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martedì 26 maggio 2015
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il racconto dei racconti
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Con ‘Il racconto dei racconti’, Matteo Garrone si è preso un bel rischio scegliendo di lavorare su di una materia e in un filone non certo abituali nel cinema italiano eppure immergendo il tutto in quanta più Italia fosse possibile. Messo in immagini dalla fotografia ad ampio respiro di Peter Suschitzky, il nostro Paese si dimostra ancora una volta una miniera di luoghi e ambientazioni senza pari, tanto che una costruzione simbolo come Castel del Monte viene pareggiata in fascino dai molto meno conosciuti manieri di Donnafugata e Roccascalegna. Dentro e attorno alle loro mura, oltre che in foreste e falesie opportunamente selvagge, si svolgono le tre storie fantasy con appena qualche tocco di horror scelte fra le cinquanta contenute ne ‘Lo cunto de li cunti’, la seicentesca raccolta di Giambattista Basile.
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Con ‘Il racconto dei racconti’, Matteo Garrone si è preso un bel rischio scegliendo di lavorare su di una materia e in un filone non certo abituali nel cinema italiano eppure immergendo il tutto in quanta più Italia fosse possibile. Messo in immagini dalla fotografia ad ampio respiro di Peter Suschitzky, il nostro Paese si dimostra ancora una volta una miniera di luoghi e ambientazioni senza pari, tanto che una costruzione simbolo come Castel del Monte viene pareggiata in fascino dai molto meno conosciuti manieri di Donnafugata e Roccascalegna. Dentro e attorno alle loro mura, oltre che in foreste e falesie opportunamente selvagge, si svolgono le tre storie fantasy con appena qualche tocco di horror scelte fra le cinquanta contenute ne ‘Lo cunto de li cunti’, la seicentesca raccolta di Giambattista Basile. Per ricostruire il suo medioevo di fantasia (in fondo sempre di favole si tratta, anche se non proprio per bambini) il regista romano ha optato per una realizzazione che esalta le capacità artigianali – nel senso migliore del termine – presenti nel cinema nazionale, basata com’è sugli ingombranti ma azzeccati costumi di Massimo Cantini Parrini e sullo sfruttamento degli spazi interni in cui sovente è la pietra nuda a dominare: scelta confermata anche dagli effetti speciali per i quali la preferenza è andata a tecniche analogiche, limitando al massimo la grafica al computer. Garrone sfrutta con perizia tutto quanto ha a disposizione grazie anche a scelte di regia non banali che però restano aderenti a storia e personaggi, così che, se a una così accurata confezione si affiancasse una scrittura di pari grado, forse saremmo qui a parlare di capolavoro. Purtroppo non è così, perché la sceneggiatura a otto mani (oltre al regista vi hanno lavorato Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso) paga la scelta di alternare il racconto dei tre episodi che, per altro, sono del tutto indipendenti fra di loro a parte due brevi sequenze, una appena dopo l’inizio e l’altra, appena più corposa, proprio alla conclusione. La conseguenza è che la prima parte propone una lunga presentazione dei personaggi che non riesce a coinvolgere mentre nel prosieguo l’emotività della narrazione si intensifica, ma viene spezzata dai bruschi passaggi da un racconto all’altro: difetti che fanno sì che il film, assai bello da vedere e capace di intrattenere (come i saltimbanchi che fanno un po’ da filo rosso lungo tutte le due ore), non riesca ad incantare mancando di appassionare come dovrebbe e potrebbe. Forse la coscienza delle difficoltà di combinazione ha portato alla scelta di tre novelle dalla struttura molto semplice: una regina è disposta a tutto, anche ad accettare e a dare la morte, pur di avere un figlio (‘La regina’); un re lussurioso si incapriccia della voce cristallina di una popolana per poi scoprire che si tratta di una vecchia (‘Le due vecchie’); un altro sovrano preferisce riversare il suo affetto su di una pulce gigante anziché sulla figlia condannandola a una brutale esperienza con un orco (‘La pulce’). La linearità non è però l’unica caratteristica che le unisce, visto che in tutte e tre la persona che detiene il potere – uomo o donna che sia – è mossa dal desiderio di averne sempre di più prevaricando sulle figure più deboli che la circondano: una scelta che non può essere stata fatta a caso e il cui pessimismo di fondo va ben al dilà del substrato gotico di vicende in cui la spietata applicazione della legge del più forte è solo in parte mitigata da una certa qual positività delle figure giovanili. Se l’ambientazione è italica e il genere è la rielaborazione di tematiche che poco ci appartengono (specie se ignoriamo i poeti nell’Aldilà o i paladini sulla Luna), internazionalissimo è un cast in cui Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini e Tiziano Scarpa non vanno oltre la ‘amichevole partecipazione’: ovviamente il film è stato girato in inglese con Salma Hayek, Vincent Cassel e Toby Jones come protagonisti principali dei tre episodi. Prodotto da Jeremy Thomas (fra gli altri, tanto Bertolucci), accompagnato dalle belle musiche di un prezzemolo del momento come Alexandre Desplat e chiuso dai disegni evocativi di Francesca Di Giamberardino sui titoli di coda, il lavoro di Garrone è quindi un film imperfetto il cui fascino però aumenta man mano che le sue immagini si sedimentano nella memoria dello spettatore.
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andrea diatribe
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domenica 31 maggio 2015
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l'originalità italiana del fantasy
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Tre racconti per tre regni fiabeschi che mettono in scena tanto le declinazioni dell’orrore quanto quelle della bellezza: una regina con il pensiero fisso di avere un figlio a tutti i costi, al punto che porta a sacrificare il marito in una battaglia per ottenere un cuore di drago marino, il quale, cucinato da una vergine e poi mangiato, permetterà alla stessa regina di rimanere incinta; un re dedito ai piaceri della carne che rimane stregato dalla voce melodiosa di una fanciulla che in realtà è una vecchina; un sovrano che alleva amorevolmente una pulce, e che, una volta morta, la scuoia, la espone alla corte indicendo un bando che prevede come premio la mano della figlia a chi indovinerà l’origine della pelle.
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Tre racconti per tre regni fiabeschi che mettono in scena tanto le declinazioni dell’orrore quanto quelle della bellezza: una regina con il pensiero fisso di avere un figlio a tutti i costi, al punto che porta a sacrificare il marito in una battaglia per ottenere un cuore di drago marino, il quale, cucinato da una vergine e poi mangiato, permetterà alla stessa regina di rimanere incinta; un re dedito ai piaceri della carne che rimane stregato dalla voce melodiosa di una fanciulla che in realtà è una vecchina; un sovrano che alleva amorevolmente una pulce, e che, una volta morta, la scuoia, la espone alla corte indicendo un bando che prevede come premio la mano della figlia a chi indovinerà l’origine della pelle.
Il racconto dei racconti (che è stato in concorso al Festival del Cinema di Cannes)è un fantasy italiano molto particolare, con una forte impronta autoriale, diretto da Matteo Garrone, l’acclamato regista di Gomorra. I racconti – La regina, La pulce, Le due vecchie – che scorrono parallelamente nel film senza mai incrociarsi (perlomeno a livello diegetico: nelle tematiche sembrano rincorrersi e specchiarsi) sono liberamente tratti da Lo cunto de li cunti, una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana (pubblicata postuma tra il 1634 e il 1636) di Giambattista Basile.
La fotografia barocca, sia nei colori che nella composizione dell’inquadratura, è l’elemento che subito spicca all’attenzione di noi spettatori, insieme ai tempi dilatati che imprimono al film un ritmo disteso e totalmente differente al panorama cinematografico del genere fantasy, che mischia la meraviglia e l’incanto con la fisicità della carne e del sangue (che ricorrono molto nel film, insieme all’elemento del fuoco) e di tutto quello che può essere buffo, orrido e brutale nelle situazioni e nei rapporti tra i personaggi; tanto da vedere nel film alcune scene tipiche del genere horror. È un formalismo che permette, e richiede di sospendere la nostra incredulità per vedere un mondo (tre) dall’apparenza disarmonica, regolato da dinamiche che si risolvono costantemente per la via diversa, alternativa, paradossale, mai quella forse più gratificante e che possa armonizzare le vicende – fatto salvo, per contrasto, il purissimo rapporto di amore fraterno che lega il gemello della regina con quello bastardo partorito dalla schiava, che era stata incaricata dalla regina a cucinare il cuore di drago e poi rimasta incinta respirandone involontariamente i vapori. La colonna sonora di Alexandre Desplat avvolgente e dal tempo cadenzato che riempie quasi tutte le scene sembra dare l’idea di un agire che sta al di sopra della coscienza dei personaggi, che piangono, soffrono in tempi diversi, ma nessuno rimane escluso al dolore e all’ombra del destino e della morte: pare perciò esserci una sorta di karma che sembra riequilibrare, nell’epilogo, le dinamiche dei personaggi, con il fuoco e uno spettacolo circense che chiudono il film così come era stato aperto.
Garrone per la prima volta gira in lingua inglese scegliendo, oltre al direttore della fotografia Peter Suschitzky (collaboratore storico di David Cronenberg) e il già citato Desplat per le musiche, un cast internazionale, che oltre ai ruoli minori degli italiani Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini, vede Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones (i sovrani dei tre regni). Otre ai precedenti, è giusto mettere in rilievo l’interpretazione pregevole dei giovanissimi Bebe Cave (Viola, la figlia del re che indice il bando per trovarle un marito) e Christian e Jonah Lees (i gemelli).
L’opera di Garrone ci porta quindi dei racconti lucidi, adulti, disincantati e di un “realismo” straniante per il genere fantasy e per gli spettatori; racconti che non hanno paura di mettere in scena aspetti brutali e corporali dell’animo umano, che vogliono l’impegno del pubblico per stare al passo del ritmo disteso che esclude ogni tipo di azione fine a se stessa – urti ed esplosioni sono assenti e i combattimenti sono ridotti all’osso e per niente frenetici.
Garrone ha fatto uno splendido lavoro, con una sensibilità che non può non affascinare anche chi non è un amante del genere fantasy, come il sottoscritto che scrive.
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[+] bravo, bravissimo
(di sirio)
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fabio_66
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mercoledì 3 giugno 2015
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ancora un film estremamente estetico
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Garrone lascia il realismo di Gomorra e di reality con facce di strada ed approda al cinema fantastico. Non fantasy italiano, che richiama improbabili produzione hollywoodiane irrangiungibile per busget al cinema italiano.
La scelta di Garrone non so se evitabile o meno è stato di inserire tre novelle e non una sola molto approfondita; quando si sceglie la logica degli episodi sia sequenziali che circolari, con pochissimi punti di contatto narrativo, inevitabilmente il risultato per lo spettatore è di confusione nel non cogliere la finalità, il messaggio che inconsciamente ciascuno ricerca guardando un film. Compensa egregiamente con una grande estetica sia nelle location, nei costumi, nella fotografia, nei colori.
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Garrone lascia il realismo di Gomorra e di reality con facce di strada ed approda al cinema fantastico. Non fantasy italiano, che richiama improbabili produzione hollywoodiane irrangiungibile per busget al cinema italiano.
La scelta di Garrone non so se evitabile o meno è stato di inserire tre novelle e non una sola molto approfondita; quando si sceglie la logica degli episodi sia sequenziali che circolari, con pochissimi punti di contatto narrativo, inevitabilmente il risultato per lo spettatore è di confusione nel non cogliere la finalità, il messaggio che inconsciamente ciascuno ricerca guardando un film. Compensa egregiamente con una grande estetica sia nelle location, nei costumi, nella fotografia, nei colori. Se siete quindi spettatori sensibili al bello è un film da non perdere, viceversa se cercate una "storia" conclusa, un bel messaggio rischiate di perdervi e di... addormentarvi. Non è quindi un film per tutti, ma coloro che aspirano alla bellezza tout cort avranno emozioni che restano. Un ultima parola agli attori, non più rudi interpreti di se stessi, ma questa volta grandi artisti stranieri... facilmente malleabili e disposti a ruoli "stretti"... a loro un grande plauso.
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