E con questa emblematica frase, pronuniciata dalla protagonista Alice, che fa' da echo e leit-motif alla pellicola intera. Una pellicola che si distacca notevolmente dai toni melodrammatici e strappalacrime che solitamente si presentano al grande pubblico (vedi i film di Cassavettes o gli affini de "Colpa delle Stelle") quando trattasi di descrivere mallatie insidiose ed incurabili. Ma Still Alice piu' che un film drammatico si presenta come una cronaca lucida di un'destino inesorabile dal quale e' impossibile fuggire. Ma altresi rappresenta la tenacia, la determinazione, la lotta umana e verosimile di una donna che non si arrende ma combatte ogni giorno per trattenere frammenti di memoria, di vita intera.
Alice, una brillante linguista, moglie e madre di tre figli si vede costreta ad affrontare un calvario inimmaginabile: Si vede spazzare via tutte le sue memorie e facolta' cognitive, dalle piu' basilari alle piu' complesse, a causa di una fulminante quanto precoce forma di Alzheimer.
L'arte di perdere. L'arte di combattere e di vincere. Queste sono le due battaglie principali contro le quali Alice deve lottare quotidianamente, appunto per non perdere la cosa piu' essenziale; se stessa.
Ma la malattia, subdola e incontrollabile, incurabile continua a gallopare, prendendo poco a poco il sopravvento su questa brillante donna di carriera e deprivandola della cosa che rende ogni persona unica e speciale; la memoria. E con la perdita di memoria segue la perdita della dignita', della cognizione, dell'orientamento. Tutto svanisce, pezzo dopo pezzo ma in maniera irreversibile. Eppure il film riesce a mantenere una presa asciutta e lucida nonostante il soggetto drammatico messo in scena. Privo di sentimentalismi gratuiti o dialoghi strappalacrime, privo di intrecci che mirano a conquistare il pubblico sentimentalista, il film mantiene una posizione coerente e verosimile verso la sua protagonista. La arma di coraggio, di tenacia, di verosimiglianza ma non la fa' mai apparire come una vittima della malattia, o un sogetto in cerca di comprensione/compassione dal suo pubblico. Questo e' l'elemento chiave del film. Paragonabile anche se lontanamente al crudo realismo dei fratelli Dardenne, anche qui la coppia registica ci propone uno spaccato amaro e crudo, ma veritiero di una malattia silenziosamente aggressiva. Che attacca senza che te ne rendi conto, ma ti porta via tutto, poco alla volta.
In questa prigione progressiva, Alice cerca il tempo per ricongiungersi con i tre figli e col marito, ma principalmente con la figlia piu' piccola Lydia (K.Stewart). Una figlia che e' alla ricerca della creativita', e della libera espressione trovando rifugio nelle opere teatrali di cui si nutre. Figlia apparentemente distante, per via dei km e degli affetti che la dividono dai genitori e da gli altri fratelli ma che in realta' si rivela la piu' vicina al calvario della madre, nel quale decidera' di assisterla.
In Still Alice troviamo una Julianne Moore in splendida forma, carica di umanita' che dona al suo personaggio spessore umano e determinazione senza caricarlo di inutili drammaticita' teatrali. Si immedesima nella lotta quotidiana di una donna che non si arrende ma si aggrappa alla vita, alla memoria, alle parole prima che svaniscano, prima di disimpararle per sempre. Col sostegno di un poco presente e comprensivo marito (A. Baldwin) piu' preoccupato a non perdere le offerte di lavoro che prendersi cura di una moglie alla deriva e prigioniera della sua stessa malattia; e quello dei tre figli Alice cerca di condurre una vita apparentemente normale, anche se segnata.
Ottima pellicola di rilievo, supportata da una streptosa interpretazione da parte della Moore. Fluida e ben costruita sceneggiatura, lineare nello svolgersi e pungente quanto basta da spronare lo spettatore a con-vivere per un'ora e mezza con la protagonista e assistere egli stesso alla violenta devastazione che apporta l'Alzheimer.
Nessuna vittoria o lieto fine qui, ma solo un susseguirsi di amare realta'. Con un messaggio positivistico in fondo: quello di lottare sempre e comunque, senza dimenticare che noi non siamo la nostra malattia. E che forse, di tutte le cose che questa riesce a portar via, l'amore e' l'unico sentimento che non si puo' disimparare o dimenticare.
Assolutamente consigliato.
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antonio montefalcone
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martedì 27 gennaio 2015
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concordo con te. film emotivamente coinvolgente.
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"Still Alice", tratto dall'interessante libro di Lisa Genova e diretto dai registi con immenso rispetto per il dolore, affronta con delicatezza un tema arduo come quello della malattia, soprattutto quando è incurabile, devastante, e, nel caso della protagonista, prematura e per certi versi beffarda. Il morbo che la condanna all’oblio è quello dell'Alzheimer; la donna che cerca di resistergli lottando con forza e per la sua dignità, è Alice, resa in modo magistrale e da Oscar da Julianne Moore. Il suo dramma interiore commuove e fa riflettere. L’opera sa eludere qualsiasi forma di patetismo, di pietismo o di esibizionismo (sapiente l’uso di ellissi e sottintesi), si misura col dolore senza cadere nella retorica e ce lo racconta in modo insolito attraverso il punto di vista di Alice, attraverso gli intensi primi piani del suo sguardo perso e delle sfocate soggettive.
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"Still Alice", tratto dall'interessante libro di Lisa Genova e diretto dai registi con immenso rispetto per il dolore, affronta con delicatezza un tema arduo come quello della malattia, soprattutto quando è incurabile, devastante, e, nel caso della protagonista, prematura e per certi versi beffarda. Il morbo che la condanna all’oblio è quello dell'Alzheimer; la donna che cerca di resistergli lottando con forza e per la sua dignità, è Alice, resa in modo magistrale e da Oscar da Julianne Moore. Il suo dramma interiore commuove e fa riflettere. L’opera sa eludere qualsiasi forma di patetismo, di pietismo o di esibizionismo (sapiente l’uso di ellissi e sottintesi), si misura col dolore senza cadere nella retorica e ce lo racconta in modo insolito attraverso il punto di vista di Alice, attraverso gli intensi primi piani del suo sguardo perso e delle sfocate soggettive. Un film sensibile che sa parlare di malattie, ma alla fine anche di speranza e amore (vedi la relazione madre-figlia).
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