Madre

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Viscerale e Intimo Dramma Umano. Valutazione 4 stelle su cinque

di Ashtray_Bliss


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domenica 26 settembre 2021

Rodrigo Sogoyen, regista madrileno di cui sentiremo certamente parlare ancora in futuro, riesce egregiamente bene a trasportare e trasferire sullo schermo una storia profondamente toccante. Un dramma intimo e viscerale sulla perdita, sull'elaborazione di un lutto che si protrae nel tempo, e infine sulla fragilità, l'ambiguità e l'instabilità che caratterizzano spesso le relazioni interpersonali confondendo o eliminando determinati confini che di norma regolano e determinano tali rapporti. 
Madre è dunque un dramma prettamente umano che sin dal principio riesce a inchiodare lo spettatore con quel'incipit al cardiopalma; una lunga e magnificamente diretta piano sequenza in cui assistiamo ad una giovane Elena, che parla al telefono con suo figlio Ivan, di appena sei anni in vacanza col padre in una località francese. Il bambino è solo e si trova su una spiaggia vasta, immensa, deserta, senza sapere dove sia suo padre e mentre la batteria del cellulare si sta scaricando. Il senso di terrore e disorientamento, sia del bambino che della madre, sono palpabili, intensi, potenti ed emotivamente laceranti. I 18 minuti che aprono il film sono in realtà il cortometraggio presentato qualche anno prima dal medesimo regista. La storia che si costruisce dopo è invece il risultato di quella straziante perdita vissuta da Elena e di come abbia tentato di ridare un senso alla sua vita, a distanza di dieci anni dall'accaduto. 
Tornata su quella spiaggia vastissima, selvaggia e desolante della costa francese, dove surfisti in erba provano a domare per la prima volta le onde dell'oceano, Elena dirige un bar/ristorante turistico e conduce una vita votata al silenzio, alla solitudine e alla ripetitività e alla monotonia. Ma sotto questo apparente equilibrio e stabilità si cela un altro oceano di emozioni soffocate e represse ma pur sempre condotte, incanalate e dominate dal dolore silente. Dietro i suoi silenzi, i suoi sguardi vuoti e persi, la meccanicità con cui affronta le sue quotidiane mansioni si cela infatti una donna che non è mai stata in grado di affrontare ed elaborare il suo lutto, la perdita, questo radicale e brusco distacco dal proprio figlio che nessuno le ha mai restituito, vivo o morto. Un'amputazione emotiva pesante, ingiusta, ingombrante, intollerabile e un interrogativo che la tormenta continuamente.
L'equilibrio precario e instabile che la donna si è creata viene però interrotto dall'incontro con Jean, un sedicenne parigino in vacanza con la famiglia, verso il quale avvertirà immediatamente una forte attrazione, tanto da seguirlo sino a casa dopo averlo visto per la prima volta. Non è mai del tutto chiaro se il ragazzo risveglia in lei un istinto materno che aveva semplicemente anestetizzato, ibernato, oppure se rappresenta un richiamo e un vero e proprio impulso sessuale proibito. L'ambiguità è del resto la caratteristica dominante del rapporto tra Elena e Jean, la colonna portante del film. Eppure quei sentimenti che vengono in un modo o nell'altro risvegliati dal giovane sono in grado di trascinare la donna fuori da quel limbo asettico, apatico e adiaforo riportando a galla, violentemente, tutti quei sentimenti inespressi e creandone di nuovi, altrettanto singolari e potenti.
Quella spiaggia, un tempo teatro di un dramma indecifrabile diventa ora l'arena dove ragazzini e adulti matureranno insieme, esplorando i loro limiti, dando origine ad una amicizia particolare, a nuove esperienze ed emozioni. Alle volte dominata dal candore e dall'affetto materno e a tratti più oscura, sfuggente ma ugualmente formativa e catartica per entrambi. Il regista spagnolo sceglie tuttavia di evitare le risposte definitive e lasciare il finale alla libera interpretazione dello spettatore, regalandoci così un potente, suggestivo e surreale epilogo, conciliatorio e salvifico seppur segnato dall'inevitabile separazione tra i due.
Un finale a tratti onirico, che segna un marcato stacco e cambio di direzione rispetto al film costruito in precedenza che invece si muove sui binari del brutale realismo, scavando a fondo nell'anima umana, nella dimensione del dolore trasformativo e del percorso catartico che ne consegue. Beninteso, un percorso catartico per la protagonista Elena soltanto, in quanto il suo rapporto sempre più stretto col giovane Jean viene contestato e osteggiato da tutti; dagli amici del ragazzo, dalla sua famiglia e persino dal compagno di lei che la vorrebbe portare con sè a San Sebastian, a convivere e dare inizio a un nuovo percorso comune.
La regia asciutta e vivida di Sorogoyen viene amplificata dall'uso magnifico della fotografia che incastra perfettamente i panorami e i sentimenti che essi rievocano con lo stato d'animo dei protagonisti. L'infinità di quella spiaggia, la vastità dell'oceano sulle tonalità del grigio, il rumore delle onde che si infrangono e poi la foresta, quel sepolcrale richiamo agli elementi primordiali della natura che dominano l'elemento umano, la sua psiche, la sua indole. Il paesaggio s'intreccia perfettamente con la storia narrata e non diventa semplice cornice ma la anima, la trascina. 
Ineccepibile ovviamente la performance di Marta Nieto che attraverso i suoi sguardi e il suo silenzio trasmette l'intero ventaglio di emozioni che reprime e risveglia, che respinge e attrae contemporaneamente mentre si muove controcorrente, contro qualsiasi convenzione sociale esplorando e nutrendo il suo rapporto con Jean. 
Un film potentissimo, viscerale, immersivo. Un'esperienza cinematografica unica che offre allo spettatore la possibilità di trovare delle risposte anche laddove non esistono certezze, soltanto dubbi, soltanto ipotesi. Perchè questa è la missione del cinema, farci esplorare e conoscere noi stessi, ponendoci di fronte a situazioni scomode e risvegliando sentimenti che non riusciamo a definire. In fondo, la nostra unica certezza sono le nostre emozioni e il modo in cui decidiamo di viverle, esprimerle, elaborarle. Non si tratta di cinema morboso o scabroso ma a modo suo risulta comunque provocatorio, inusuale, eterodosso restituendo uno sguardo intimo sulla condizione umana necessario e affascinante.
Grande cinema: 4,5/5.

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