The Nightingale

Un film di Jennifer Kent. Con Sam Claflin, Aisling Franciosi, Ewen Leslie, Damon Herriman.
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Titolo originale The Nightingale. Drammatico, durata 136 min. - Australia 2018. MYMONETRO The Nightingale * * 1/2 - - valutazione media: 2,63 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Parabola cruda e violenta di soprusi e vendette. Valutazione 3 stelle su cinque

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sabato 14 dicembre 2019

Jennifer Kent non si risparmia con la sua ultima fatica, The Nightingale, l'usignolo, affondando le mani in argomenti scottanti e territori impervi dalle notevoli implicazioni etiche e morali cercando di usare il linguaggio visivo forte e d'impatto per indurre a riflessioni più che mai attuali e necessarie le quali tuttavia rischiano di annebbiare il giudizio sul film.

La pellicola è infatti un pretesto, una scusa meticolosamente pensata e funzionante sullo schermo per declinare cinematograficamente argomenti quali il razzismo, il colonialismo, l'abuso di potere e la prevaricazione arrogante e meschina, l'oggettivazione, la sottomissione e violenza contro le donne nelle sue forme più brutali e umanamente deplorabili. The Nightingale è certamente un film per stomaci forti e lo dimostra il fatto che nella sua foga di denunciare la moltitudine di soprusi e violenze contro determinati gruppi di persone -minoranze e in tal caso, donne e aborigeni australiani- calca, forse troppo, la mano specialmente nella prima mezz'ora, tant'è che molti spettatori nella land down under hanno deciso di abbandonare la sala creando così maggiore anticipazione per quest'opera provocatoria agli spettatori oltreoceano.
Opera sicuramente molto ben realizzata e strutturata che si avvale di due protagonisti carismatici e convincenti i quali malgrado le loro differenze sociali, etniche, linguistiche e caratteriali si uniscono nell'affrontare la stessa tragedia, trovando la forza nel conforto e nel contatto umano, unico elemento oltre la sete di vendetta e di rivalsa, in grado di fornire sufficiente movente per proseguire senza arrendersi ai soprusi subiti, alle ingiustizie della vita e al ricordo del passato.
Seguiamo allora Claire, giovane irlandese ex detenuta in libertà vigilata nell'Australia del 1820, che nella migrazione ha trovato l'opportunità di crearsi una famiglia. Unico ostacolo tra lei e i suoi sogni è un vizioso capitano inglese che la separa dall'ottenere formalmente la sua libertà in forma scritta e che la vede costretta a esibirsi nella locanda frequentata dalla truppa di soldati. In una notte particolarmente intensa la tragedia si materializzerà in un apice di violenza e barbarie che coinvolgeranno Claire e la sua famiglia. Ma la donna non permette al dolore di prendere il sopravvento, traducendo il suo rancore in una spietata caccia ai suoi aguzzini grazie all'aiuto di un tracker nativo. 

Ottime quindi le premesse narrative che effettivamente danno ampio spazio all'esplorazione di argomenti più che mai attuali i quali spesso si intrecciano, rappresentando due facce della stessa medaglia: razzismo e sessismo.
Un discorso al giorno d'oggi sempre più presente nel cinema e che qui trova tutta la sua forza espressiva nella progressiva collaborazione e conoscenza tra le due vittime di queste gravi discriminazioni e soprusi veri e propri. Confluisce molto bene nel racconto anche l'elemento naturalistico imponente, selvaggio, indomabile ed imprevedibile; infatti gran parte del racconto si svolge nella foresta della Tasmania, un luogo affascinante e bellissimo ma anche insidioso, lugubre e tetro che si presta a diventare un teatro perfetto per una serrata caccia all'insegna della vendetta
Tuttavia, il lungometraggio della Kent, affermata regista del acclamato Babadook (2014), non è privo di alcuni importanti difetti di forma e contenuto; in primis, la trama non presenta alcun colpo di scena, seguendo alla lettera un percorso narrativo rettilineo e prefissato senza offrire significativi spunti originali agli spettatori. Tutto segue una logica comprovata e schematica dove i due rappresentati delle minoranze, parti lese della supremazia bianca e della bieca violenza, ad un certo punto si conoscono, si alleano, si appoggiano a vicenda trovando la forza nella loro comune, seppur diversa, vicissitudine e rinnovando la speranza nella promessa di vendetta che incarna perfettamente il principio di rivalsa biblico del "occhio per occhio" e trova nuova linfa vitale e forse serenità d'animo nello sterminio dei propri aguzzini. 

Ma oltre ad un certo livello di prevedibilità narrativa, il vero punto debole e tallone d'Achille di The Nightingale si trova appunto nella stesura dei suoi stessi protagonisti privi di complessità e sfumature caratteriali e altresì privi di qualsivoglia evoluzione e mutamento. Soltanto la protagonista viene adeguatamente trattata e descritta in un ampio ventaglio di sfumature e stati d'animo che ne caratterizzano l'evoluzione portandola dinanzi a bivi morali ed etici ma anche sentimenti contrastanti (rabbia, odio, paura, rimorsi fino ad un radicale cambio di idee sulla natura della sua missione). Invero, nessun altro personaggio vanta questa complessità e ciò rappresenta una considerazione particolarmente valida per il personaggio del luogotenente interpretato da Sam Claffin, impersonificazione del male più vile e bruto che si sia mai visto sullo schermo negli ultimi tempi, il quale insieme alla maggior parte della sua truppe non avrà mai alcun rimorso, pentimento, senso di colpa nei confronti di alcuna delle parti lese; difatti resta sprezzante verso gli autoctoni, violento contro le donne. Mai nessun segno di evoluzione o di interrogativi morali vengono posti a questo indiscusso villain e alla sua squadra di militari.
Persino Billy, l'indigeno che accetta di guidare Claire attraverso la giungla, appare come personaggio piuttosto statico nella sua affidabilità, sincerità e spontaneità mostrata e assodata dall'inizio alla fine. Billy comprensibilmente odia l'uomo bianco, in generale, perchè col suo arrivo gli ha strappato la terra ancestrale, si è prepotentemente instaurato colonizzando il paese e rendendo in schiavitù gli autoctoni quando non riserva loro una fine ancora più tragica e ingiusta; Ma non inciampa mai in conflitti morali e non presenta zone grigie che lo rendano un personaggio veramente incisivo e particolarmente memorabile.

Certo, Billy è l'unico che legge l'animo tormentato di Claire, si riflette nel suo dolore e nella sua perdita, aprendosi poco a poco con lei, la sua rivale, la sua "padrona", costituendo una (reciproca) ancora di salvezza all'interno di una spazio ostile e impervio come la foresta della Tasmania. Come già intuito, i due non si daranno pace finchè il piano di vendetta non sarà giunto a termine, senza sconti di pena per nessuno. Accomunati anche forse dal parallelismo ornitologico, Claire e Billy rappresentano la ribellione e riscatto del più debole, l'essere umano vessato e umiliato che decide finalmente di riscrivere la sua vita e pareggiare i conti col passato.
Tuttavia, eccetto l'ambientazione storica molto intrigante, la location esotica e mistica al punto giusto, e la storia di vendetta e giustizia di due esponenti di minoranze che si fanno carico di due fardelli pesantissimi, il film non coinvolge mai appieno, non appaga, non trasporta mai completamente all'interno di questa viscerale e dolorante storia che paradossalmente risulta priva di pathos.
Il tutto sembra meccanicamente progettato, una costruzione plateale e funzionante ma troppo artificiosa e a tratti forzata. Nobilissime, attuali e importanti le intenzioni della regista ma il fine non sempre giustifica il mezzo specialmente se la storia manca della dovuta spontaneità del racconto e le dinamiche paiono costruite e artefatte nel tentativo di denunciare e riaccendere il discorso più che mai attuale sul trattamento di donne e minoranze etniche. 

Ineccepibile comunque il comparto tecnico; The Nighingale vanta l'uso di una fotografia naturale suggestiva che colora con toni dark e cupi la parabola di emancipazione e vendetta che si consuma all'interno di una foresta brulicante e insidiosa in modo assai perfetto. Ottimale anche la ricostruzione dei costumi e la scenografia d'epoca che fa rivivere le rudimentali baracche dei più poveri e le prime città dal sapore del far west americano che vennero costruite dai coloni inglesi. Bellissime e incisive le musiche, intense le interpretazioni in cui spicca l'italoirlandese Franciosi che regge per ben oltre due ore un ruolo tutt'altro che facile e articolato oltre al debuttante Gannambar. 
Se solo certe dinamiche avessero dato l'impressione di crearsi in modo naturale ed istintivo adesso parleremmo di un capolavoro indelebile poichè l'epica, la drammaticità, la potenza visiva e narrativa erano tutte carte vincenti per consacrare definitivamente la Kent come autorevole portavoce di una nuova ondata di cinema, peraltro al femminile. 
Resta comunque un'impresa notevole, un film che certamente riesce nel suo intento di provocare discussioni e riaccendere il dialogo su determinate tematiche e lo fa con un opera dal sapore di western americano, seppur ancorato nella turpe realtà australiana agli inizi del 1800 tra invasori ed invasi, tra oppressori ed oppressi, tra prevaricatori e prevaricati fino a quando gli equilibri, inevitabilmente, si scambiano. Interessante e meritevole: 3/5.

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