Still Alice

Alice è una storia che non dimentichi. Alice ti fa sentire impotente. Alice è il motivo per cui stremato, ad un certo punto, implori perché la sofferenze del mondo abbia fine. 

Still Alice è un film che tocca le stesse corde di A Beautiful Mind e ti porta indietro nel tempo a porti le stesse domande e a rivivere le stesse sensazioni viscerali. 

Alice è una donna ambiziosa, che basa la sua intera esistenza sullo studio della linguistica e della comunicazione, ed è proprio su questo paradosso che verte il film. Alice deve fare i conti con quella malattia che arriva a toglierle la capacità di comunicare in qualsiasi forma. 

Still Alice è dentro ognuno di noi, è la retorica della vita. Una vita spesa a raggiungere l’idea che vogliamo dare di noi stessi tralasciando la realtà di ciò che siamo. E poi? E poi la vita presenta il conto, prima o poi.   

Non è il dramma americano che si spegne tra lacrime e tristezza. Ma è una storia sottile che ti prende per mano e ti accompagna in maniera delicata per tutta la durata del film, indebolendoti sempre di più. Perché è tra la rabbia dei figli, il vuoto negli occhi di Alice, e l’amore di Lidya che si spegne quel senso di impotenza e malinconia. E’ uno di quei lungometraggi che vorresti non finisse mai, ma soprattutto non sai come vorresti che finisse. Da una parte ci si rende conto che quel sonetto sarà composto sempre più da note stonate e che prima o poi finirà. Ma dall’altra senti di doverti liberare di quel grido silenzioso che hai trattenuto fino alla fine, e vorresti delle risposte.

Risposte che in Still Alice, come nella vita, purtroppo non hai. Perché questo non è un prodotto cinematografico in cui il regista decide di restituire la catarsi allo spettatore, Still Alice è la vita di tutti i giorni.

La difficoltà più grande non sta solo nel cercare di colmare quel vuoto che ci lascia Alice alla fine del lungometraggio, ma sta nel rendersi conto che sei tu a non ricordarti più chi era quella persona. Alice diventa la sua malattia non perché lei lo sia, ma perché si radica dalla parte di chi guarda, una sorta di non accettazione e incomprensione. 

La malattia in questo caso, diventa una via di fuga di Alice, una vita spesa a cercare di amarsi, di accettarsi e di essere all’altezza di ogni situazione. Ma ad un certo punto la mente cede e con sé il corpo. Una sorta di morte apparente, come se lei se ne volesse andare ma non è pronta per farlo. E la sua richiesta di ricordarsi chi era lei prima della sua malattia fortifica questa convinzione. Il non voler lasciarsi andare all'accettazione dell’essere semplicemente umani. 

"Perdo l'orientamento, perdo degli oggetti, perdo il sonno, ma soprattutto: perdo i ricordi. (….)Sto lottando per restare parte della realtà, per restare in contatto con quella che ero una volta” E trattenere è il miglior modo per perdere qualcosa. 

Alice è una storia d’amore, come ogni storia di vita.