Lo Hobbit - La desolazione di Smaug

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Un film di Peter Jackson. Con Ian McKellen, Martin Freeman, Richard Armitage, Benedict Cumberbatch, Orlando Bloom.
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Titolo originale The Hobbit: The Desolation of Smaug. Fantastico, Ratings: Kids+13, durata 161 min. - USA, Nuova Zelanda 2013. - Warner Bros Italia uscita giovedì 12 dicembre 2013. MYMONETRO Lo Hobbit - La desolazione di Smaug * * * 1/2 - valutazione media: 3,49 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Meno prevedibile, Jackson pesca Smaug dal cappello Valutazione 3 stelle su cinque

di Michele Marconi


Feedback: 710 | altri commenti e recensioni di Michele Marconi
giovedì 2 gennaio 2014

Il viaggio per liberare Erebor dalle grinfie del drago Smaug continua e Bilbo, forte del potere dell’anello, ritrova un ruolo attivo all’interno della compagnia. Ma i segni che il gruppo incontra nel suo cammino fanno presagire l’avvento di un male molto maggiore. Gandalf, dopo qualche giorno, abbandona il gruppo per investigare sul crescere dell’oscurità nella Terra di Mezzo.

La Desolazione di Smaug è un film che in parte fa perdonare la pesantezza della prima pellicola della saga. Ridotte sensibilmente le scene di fuga dagli orchi (anche se non del tutto eliminate), il punto cruciale che segna la svolta rispetto al precedente capitolo è la possibilità, a livello di trama, di poter finalmente mettere della carne al fuoco. Aperte tutte le premesse, infatti, ne Un Viaggio Inaspettato, lo spettatore si trovava beffato dall’incontro con un film altamente promettente nella prima mezzora, con un incipit ben costruito ma che nelle battute conclusive lasciava un forte sapore di delusione: dopo averci fatto dilatare le pupille con l’epica storia dell’attacco del drago alla montagna e dopo il comunque piacevole incontro tra Bilbo e Gollum, non si poteva non rimanere delusi da una sottotrama incentrata sull’orco pallido che si riduce ad un asfissiante e continua fuga e ad un clichèttosissimo sviluppo sul rapporto di sfiducia di Thorin nei confronti del piccolo protagonista fuori contesto. Con questo capitolo di mezzo, Peter Jackson può finalmente alzare i toni e, al posto del burrone del primo film, nel climax finale abbiamo di fronte l’incontro e la lotta contro Smaug. Tutto un altro vedere. Smaug è la carta che finalmente Jackson pesca dal mazzo. Perfetto nel catturare le attenzioni con le sue movenze e la sua voce, Smaug rappresenta forse il miglior esempio di drago della storia del cinema. La maestosità che ci troviamo di fronte sovrasta a tal punto da infastidire quando il montaggio chiama il distacco dalla narrazione per focalizzarsi sulla trama parallela. Trama parallela che, tuttavia, non regge minimamente il confronto e risulta fastidiosa. Il triangolo d’amore mal sceneggiato e approssimato tra l’elfo Tauriel, Legolas e il nano Kili, rappresenta senza dubbio il punto debole della pellicola. Anche quanto viene affiancata dall’attacco degli orchi alla città, le cose non cambiano. Chiunque si ritrovi spettatore non fa che scalpitare e maledire ogni secondo di distacco tra quello che invece è il punto forte della pellicola: l’incontro del piccolo Hobbit con il drago. Ipnotico.
Riguardo alla caratterizzazione dei personaggi va annoverato un grande passo avanti. Bilbo, cresciuto in coraggio (grazie anche alla consapevolezza di poter contare sul potere dell’anello) non si presta più all’irritante confronto di aspettative con Thorin. Ritrovato un senso nella narrazione ora il personaggio si affaccia con una personalità più solida e profonda. Martin Freeman non fa rimpiangere proprio nulla. Ottimo e credibile nella parte. Difficile parlare invece del personaggio di Thorin. Nel controverso dibattere dei fan c’è chi ne canta le lodi e chi lo boccia senza pietà. La mia personale posizione è che, per avere un ruolo di così grande rilievo, ci si sarebbe dovuti impegnare certamente di più tuttavia non me la sento di disdegnare questo personaggio visto che, infondo, riserva qualche sorpresa. Ora che il suo processo di maturazione sembra finalmente concluso il pubblico dovrebbe aver il diritto di pensare che nel prossimo episodio saprà mostrarsi meno prevedibile. Riguardo a Ian McKellen c’è poco da dire, è il solito Gandalf con l’eccezione che il doppiaggio riserva qualche piacere in più. Assolutamente inconcepibile, invece, è la figura di Legolas che se non fosse per le movenze (con una parvenza di compostezza ma comunque decisamente troppo action) si avvicinerebbe più alla figura di un orco che a quella di un elfo. Ridotto al ruolo di massacratore di nemici, è ben distante dal personaggio che abbiamo amato nel Il Signore degli Anelli.
La atmosfere, sebbene in qualche inquadratura i paesaggi risultino infastiditi da una computer grafica dalla mano troppo pensante, sono discrete. Nulla a che vedere, comunque, con il senso di perfetto realismo delle pellicole della saga precedente (perdonate la ripetitività ma il confronto dei mondi, per quanto Lo Hobbit imponga toni più bassi e meno epici del Signore degli Anelli, va comunque fatto). Ciò dovrebbe spingere i produttori ad un atteggiamento di contenimento nell’utilizzo di questa tecnica visto che, sotto molti aspetti, si può parlare di cali nella credibilità dei panorami rispetto ai film ormai vecchi di più di un decennio.
A risollevare la situazione ci pensa la solita, azzeccatissima colonna sonora. Non nascondo che, il solo sentire le melodie del film, mi fa venir la pelle d’oca. In palese continuità con i precedenti capitoli, sotto questo aspetto il film di Peter Jackson non delude proprio mai.

In definitiva, Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug – è un film che non fa gridare al capolavoro ma che innalza sensibilmente l’interesse verso la trilogia. La storia principale affascina come solo poche storie riescono a fare. A pagare il contrasto del confronto sono le sottotrame: stancanti e noiose non riescono a toccare l’interesse dello spettatore. Sperando che quello inaugurato sia un trend che concluda il crescendo con Racconto di un Ritorno, non ci resta che aspettare dicembre lasciando fermentare le aspettative senza troppi timori.

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