Titolo originale Oh Boy.
Commedia,
durata 83 min.
- Germania 2012.
- Academy Two
uscita giovedì 24ottobre 2013.
MYMONETROOh Boy, un caffè a Berlino
valutazione media:
2,86
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
il film devo dire è molto carino , una graffiante commedia noir in bianco e nero divertente ed ironica mi ha colpito l'intimita con cui il regista riesce a far sembrare quasi un diario questo film che forse non è di facile comprenione ma è un film ben diretto con un'ottima fotografia
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E' stata vergognosa anche la mia reazione e me ne rammarico.D'altronde i film entrano in risonanza o meno coi nostri vissuti..le fasi della nostra vita e con la nostra personalità. Ho detto cose ovvie che a volte dimentico. Poi ci sono entrata veramente dentro questo film.Ti sei dimostrato un gentiluomo molto pacato perchè mi hai insegnato il distacco da certe furie emotive da cui talvolta sono presa.Grazie...ciao...alla prossima!!
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Che sicuramente non pubblicherà il mio post ad Angelo Umana il quale ha davvero scritto un commento vergognoso ed estremamente travisante del film stesso.E' stato pure messo dalla Redazione nella selezione pubblico ( magari facendo il conteggio di quante parole "stupide" sono state infilate ). Non è mia intenzione polemizzare con la Redazione che fa il suo lavoro difficile imperfetto e frettoloso ma a volte.. molto accurato. Da questo forum ho capito quanto gli italiani non capiscono il cinema tedesco e i tedeschi. Ma a parte le stelline varie non si può non entrare nel merito di ciò che uno scrive. E non si può liquidare questo film con la benedizione della Cappi.E'un film importante.Se poi uno non ci riesce ad entrare è un limite suo non certo del film.
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Che sicuramente non pubblicherà il mio post ad Angelo Umana il quale ha davvero scritto un commento vergognoso ed estremamente travisante del film stesso.E' stato pure messo dalla Redazione nella selezione pubblico ( magari facendo il conteggio di quante parole "stupide" sono state infilate ). Non è mia intenzione polemizzare con la Redazione che fa il suo lavoro difficile imperfetto e frettoloso ma a volte.. molto accurato. Da questo forum ho capito quanto gli italiani non capiscono il cinema tedesco e i tedeschi. Ma a parte le stelline varie non si può non entrare nel merito di ciò che uno scrive. E non si può liquidare questo film con la benedizione della Cappi.E'un film importante.Se poi uno non ci riesce ad entrare è un limite suo non certo del film.Che poi è stato campione di incassi in Germania e ha fatto incetta di premi.Per cui qualche campanello dovrebbe suonare per qualcuno!! Scusatemi non voglio apparire arrogante. I giudizi son tutti legittimi. Forse anche le letture di un film Ma se avete visto il film rileggetevi quello che ha avuto il coraggio di scrivere Angelo Umana. Grazie. Luana
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[+] critica accesa ma ben accetta (di angelo umana)[ - ] critica accesa ma ben accetta
[+] ti chiedo scusa.. (di luanaa)[ - ] ti chiedo scusa..
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Mi stupisco del forum così negativo..per non parlare di Marianna Cappi. Alcuni non vi hanno visto rappresentata la vera particolarissima atmosfera berlinese.Rispondo la scelta del bianco e nero non ha suggerito niente?Non il "negativo"di una fotografia colorata??!! Si, forse a qualcuno come a Brian ha suggerito "leziosità e fasullità modaiola" (un suo tipico leitmotiv del resto..di Brian intendo).Rispondo a Brian che è invece un film molto umile e pieno di interrogativi. Cosa, caro Brian che non appartiene molto al tuo grande Allen. Estremamente poetico è intriso di una commozione incredibile e di una grande pietas verso tutti gli esseri umani In meno di un'ora e mezza questo regista ha saputo fondere ironia sarcasmo malinconia e tragedia insieme perfino in certe inquadrature-fotografie dove compaiono figure che non parlano o dove anche non sono presenti esseri umani.
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Mi stupisco del forum così negativo..per non parlare di Marianna Cappi. Alcuni non vi hanno visto rappresentata la vera particolarissima atmosfera berlinese.Rispondo la scelta del bianco e nero non ha suggerito niente?Non il "negativo"di una fotografia colorata??!! Si, forse a qualcuno come a Brian ha suggerito "leziosità e fasullità modaiola" (un suo tipico leitmotiv del resto..di Brian intendo).Rispondo a Brian che è invece un film molto umile e pieno di interrogativi. Cosa, caro Brian che non appartiene molto al tuo grande Allen. Estremamente poetico è intriso di una commozione incredibile e di una grande pietas verso tutti gli esseri umani In meno di un'ora e mezza questo regista ha saputo fondere ironia sarcasmo malinconia e tragedia insieme perfino in certe inquadrature-fotografie dove compaiono figure che non parlano o dove anche non sono presenti esseri umani. Non sono in grado di fare una recensione accurata di tutto quello che ho provato e pensato guardando questo piccolo grande film dove niente è per caso; dove niente è sprecato. La scena finale è forse la chiave del film.Il giovane ed il vecchio non capiscono più la lingua che si parla; non riconoscono più dentro se stessi il mondo in cui vivono.In una nevrosi egocentristica non esiste più un vero sguardo verso l'altro e dunque anche verso la propria storia di popolo. Una sorta di disperazione "alcolica" li accomuna.BELLISSIMO.
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Un film certamente malinconico, ma non mediocre, tutt'altro. Il protagonista è riuscito a rappresentare l'angoscia ed al tempo stesso l'irrequietezza di chi non si sente in pace e non ha voglia di scegliere, perché forse già altri hanno scelto troppo. Bella la fotografia.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
Diverse solitudini però hanno diversi modi di essere vissute. Così si assiste a quella del nuovo vicino di casa di Niko che, come lui, sente scagliarsi addosso le ingiuste colpe dell'essere solo di fronte alle difficoltà della vita o, quelle più proprie, del male che sta divorando sua moglie e dal quale Niko, non può che rimanere stupefatto e allibito per via del evidente bisogno comunicativo volto alla ricerca di rassicurazioni e compagnia.
La solitudine, con tutti i suoi risvolti, riesce a vestirsi anche delle paure con cui ogni individuo si scontra in ogni momento, così come succede alla ex compagna di scuola ritrovata casualmente, Julika, e ancora alle prese con dei problemi di peso che ritornano come fantasmi a disturbarla e importunarla più dei balordi di strada con i quali si scontra e in quel modo veemente che lei ha subito in passato da Niko stesso e dal quale sembra allontanarsi quando le sfiora l’idea che potrebbe respingerla per via dell'invivibile certezza che la vita dipenda da quel dolore, reputato più grande della possibilità di poter star bene.
Il bianco e nero del film, quella dicotomia che sembra non appartenere alle scelte di Niko, la malinconia del suo sguardo, la confusione nel non ottenere nulla dalle persone e da se stesso, i paletti posti dalle persone incontrate per motivi di dubbia professionalità (come quelli avanzati dallo psicologo che strappa le risposte a Niko per far si che esso sia categorizzabile, per facilitarsi il lavoro e dandogli l'etichetta "alcolizzato non idoneo alla guida”), ogni cosa sembra pesare inconsapevolmente su Niko persino la morte di quell’uomo che poco prima della sua dipartita gli racconta in un pub di una felicità rubata che non sa più far tornare da quando, in una maledetta notte di sessant’anni fa, tutti gli ebrei come lui e compreso lui, dovettero fuggire dalla Germania cercando di dimenticare la propria identità, la felicità nel non poter più guidare una bici per colpa dei verti rotti, per via dell’odio creduto coraggiosamente rispetto.
Allora Niko, svegliatosi in ospedale e appreso della morte dello sconosciuto del quale conoscerà solo il nome, può finalmente gustare il suo caffè e concedersi un tempo nuovo, un tempo che sa di conquista quanto di coraggio verso le proprie responsabilità, verso le proprie debolezze che lo rendono più forte e più disponibile...più essere vivente con gli altri suoi simili.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
Diverse solitudini però hanno diversi modi di essere vissute. Così si assiste a quella del nuovo vicino di casa di Niko che, come lui, sente scagliarsi addosso le ingiuste colpe dell'essere solo di fronte alle difficoltà della vita o, quelle più proprie, del male che sta divorando sua moglie e dal quale Niko, non può che rimanere stupefatto e allibito per via del evidente bisogno comunicativo volto alla ricerca di rassicurazioni e compagnia.
La solitudine, con tutti i suoi risvolti, riesce a vestirsi anche delle paure con cui ogni individuo si scontra in ogni momento, così come succede alla ex compagna di scuola ritrovata casualmente, Julika, e ancora alle prese con dei problemi di peso che ritornano come fantasmi a disturbarla e importunarla più dei balordi di strada con i quali si scontra e in quel modo veemente che lei ha subito in passato da Niko stesso e dal quale sembra allontanarsi quando le sfiora l’idea che potrebbe respingerla per via dell'invivibile certezza che la vita dipenda da quel dolore, reputato più grande della possibilità di poter star bene.
Il bianco e nero del film, quella dicotomia che sembra non appartenere alle scelte di Niko, la malinconia del suo sguardo, la confusione nel non ottenere nulla dalle persone e da se stesso, i paletti posti dalle persone incontrate per motivi di dubbia professionalità (come quelli avanzati dallo psicologo che strappa le risposte a Niko per far si che esso sia categorizzabile, per facilitarsi il lavoro e dandogli l'etichetta "alcolizzato non idoneo alla guida”), ogni cosa sembra pesare inconsapevolmente su Niko persino la morte di quell’uomo che poco prima della sua dipartita gli racconta in un pub di una felicità rubata che non sa più far tornare da quando, in una maledetta notte di sessant’anni fa, tutti gli ebrei come lui e compreso lui, dovettero fuggire dalla Germania cercando di dimenticare la propria identità, la felicità nel non poter più guidare una bici per colpa dei verti rotti, per via dell’odio creduto coraggiosamente rispetto.
Allora Niko, svegliatosi in ospedale e appreso della morte dello sconosciuto del quale conoscerà solo il nome, può finalmente gustare il suo caffè e concedersi un tempo nuovo, un tempo che sa di conquista quanto di coraggio verso le proprie responsabilità, verso le proprie debolezze che lo rendono più forte e più disponibile...più essere vivente con gli altri suoi simili.
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Sacrosanto e preciso il giudizio di Marianna Cappi su mymovies.it: “il film nel suo complesso non va oltre la natura di un'opera garbata eppure incapace di superare la soglia dell'ingenuità e dell'imitazione”. Chissà se un film così vuole definirsi di avanguardia o se esso sia di retroguardia, minimale e in fondo non molto significativo né importante. E’ un’opera prima, un bianco e nero che costa poco ma dà poco.
Niko, 24enne osservativo che come la macchina da presa osserva lungamente Berlino, sembra una canna al vento, non sa ancora che direzione prendere: da due anni ha smesso di frequentare l’università e pensa, osserva, non conclude niente.
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Sacrosanto e preciso il giudizio di Marianna Cappi su mymovies.it: “il film nel suo complesso non va oltre la natura di un'opera garbata eppure incapace di superare la soglia dell'ingenuità e dell'imitazione”. Chissà se un film così vuole definirsi di avanguardia o se esso sia di retroguardia, minimale e in fondo non molto significativo né importante. E’ un’opera prima, un bianco e nero che costa poco ma dà poco.
Niko, 24enne osservativo che come la macchina da presa osserva lungamente Berlino, sembra una canna al vento, non sa ancora che direzione prendere: da due anni ha smesso di frequentare l’università e pensa, osserva, non conclude niente. Ce lo rivela suo padre, uno di quegli uomini tutti d’un pezzo e di successo, cosciente e orgoglioso delle sue fatiche per mantenere la famiglia, il quale ha smesso di alimentare il conto corrente di Niko con 1000€ al mese, al punto che lo sportello bancomat gli “mangia” la preziosa tessera.
Niko osserva ma è lui il protagonista, spettatore e attore di un suo tempo inconcludente. Vediamo due svogliati rapporti con ragazze ma due più significativi incontri con anziani, forse la virtù di Niko è quella di far confidare in lui gli anziani, farsi voler bene per la sua aria per nulla aggressiva. Spesso nei film il protagonista esce da quasi eroe, alla fine ha successo, lui resta come “color che son sospesi”, chissà se col tempo gli servirà il monito definitivo che suo papà gli comunica, tra una buca e l’altra nel green del golf: “L’unica cosa che posso fare per te è non fare nulla per te d’ora in poi”. Resta la domanda se sia lecito – un diritto - oppure no che ognuno possa avere un tempo osservativo, inconcludente, sospeso, a 24 come a 60 anni. [-]
[+] film americani (di angelo umana)[ - ] film americani
Quando un ragazzo di belle speranze, e parlo del giovane Jan Ole Gerster, regista tedesco, si racconta con l’alter ego di niko, giovane stavolta senza troppe speranze, come è il protagonista del film OH BOY, allora si compie il piu’ classico espediente narrativo, che il cinema conosca. Basti pensare a snaporaz oppure a tutti i personaggi che il grande marcello ha rappresentato per fellini. Ma qui c’è di piu’. Abbiamo attraverso il personaggio Niko, la rappresentazione appieno riuscita, di una intera generazione dei ventenni europei.
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Quando un ragazzo di belle speranze, e parlo del giovane Jan Ole Gerster, regista tedesco, si racconta con l’alter ego di niko, giovane stavolta senza troppe speranze, come è il protagonista del film OH BOY, allora si compie il piu’ classico espediente narrativo, che il cinema conosca. Basti pensare a snaporaz oppure a tutti i personaggi che il grande marcello ha rappresentato per fellini. Ma qui c’è di piu’. Abbiamo attraverso il personaggio Niko, la rappresentazione appieno riuscita, di una intera generazione dei ventenni europei., tutti con le stesse caratteristiche di abulia, nichilismo e una sorta di fatalismo che li porta ad una vita disoccupata,ma garantita dai genitori , dal girovagare a vuoto nelle grandi città dove facilmente si sfocia in atti di violenza di gruppo oppure in episodi di autolesionismo suicida. Ma il film riesce ad essere pacato, ironico perfino elegante nella narrazione e ineccepibile nella forma di cinema ready-made, poichè nel bianco-nero e nel sottofondo cool jazz,è evidente la citazione della nouvelle vague , insomma un mix di cinema francese anni 60 più un condimento di cinema tedesco anni 80 da Reitz a Wenders. Il giovane Niko è alla ricerca di una collocazione nella vita, la città di Berlino si offre di fare da sfondo a questa ricerca ma di certo non lo aiuta troppo se non quando trova una casa e una fidanzata che presto lo lascerà. Non trovando lavoro , si concede delle frequenti pause caffé nei bar che incontra on the road, ma che non riusciranno a scuoterlo dalla inerzia totale che lo pervade. I suoi incontri dal vicino di casa depresso,alla sua ex compagna di classe neo attrice che vorrebbe farselo, riescono solo a distrarlo per poco dal vuoto interiore e dalla distanza che prova verso il mondo. Ora che il mondo comincia a rifiutarlo, quando il bancomat ,trattiene la card poiché i soldi sono finiti. E’ costretto ad una sorta di scuotimento, in una gag comica si riprende gli spiccioli dati ad un mendicante, per terra per pagarsi un caffé. Ma la resa dei conti avviene quando deve incontrare il padre per chiedere dei soldi e per riavere la carta . Qui il giovane regista rivela la chiave del film : la generazione degli anni 80 ed oltre dipende dai genitori e dalle scelte delle generazioni precedenti. Qui, nel rifiuto del padre di Niko , pure un ricco e benestante manager, a continuare a mantenerlo inutilmente ai fini di una buona posizione sociale del figlio, troviamo le ragioni di un fallimento generazionale. Il padre gli rinfaccia le indecisioni, le insicurezze , e tutto ciò che non ha realizzato come invece al contrario lui persona arrivata al successo, è riuscito a risolvere. Significativo è il campo da golf dove si svolge il colloquio, e qui Niko si accorge, facendo un tiro drive, dell’odio che ha sempre covato contro il genitore. Il confronto tra generazioni si ripete nel finale del film , quando il ragazzo in un ennesimo bar per un improbabile caffé che diventa una birra e vodka, da bere in compagnia del vecchio Fredrich, testimone ormai rinnegato della tragedia nazista , si accorge di non poter reggere un conflitto perenne col mondo ed assisterà compassionevole alla morte in ospedale del vecchio colpito da infarto. Ancora la nuova Germania che fa i conti col passato, e i giovani registi ne tengono conto , in qualche modo risolvendo la questione con un definitivo sorpasso generazionale. L’ottimo protagonista l’attore Tom Schilling , canticchia un motivo jazz nei titoli, e lo spettatore, sorpreso dalla inaspettata brevità del film lascia la sala con un gradevole back sound. MAURIDAL
OH ! BOY, UN CAFFE’ A BERLINO COSTA TRE EURO E CINQUANTA! UN FILM DI JAN OLE GERSTER
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Una giornata della vita di Niko (Tom Schilling), eterno studente a Berlino, alla ricerca di un buon caffè , che sembra non possa gustare mai. Il giovane esce dalla casa di una ragazza, con la quale ha appena chiuso una storia, ed incappa nella disavventura di pochi spiccioli in tasca e di un bancomat che gli mangia la carta di credito. Nella casa nella quale si è appena trasferito c’è un vicino invadente e problematico, che con le sue domande dirette rende noti allo spettatore i primi particolari utili a inquadrare la vita di Niko.
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Oh boy - Un caffé a Berlino di Jan Ole Gerster
Una giornata della vita di Niko (Tom Schilling), eterno studente a Berlino, alla ricerca di un buon caffè , che sembra non possa gustare mai. Il giovane esce dalla casa di una ragazza, con la quale ha appena chiuso una storia, ed incappa nella disavventura di pochi spiccioli in tasca e di un bancomat che gli mangia la carta di credito. Nella casa nella quale si è appena trasferito c’è un vicino invadente e problematico, che con le sue domande dirette rende noti allo spettatore i primi particolari utili a inquadrare la vita di Niko. Altro scaturisce dall’incontro, condito di citazioni cinematografiche, con un amico attore disoccupato, Matze (Marc Hosemann) e dal casuale inserirsi nel dialogo tra i due in un bar di una ragazza. La giovane, di nome Julika (Friederike Kempter), conosce Niko: è una compagna di scuola di una decina di anni prima, innamorata pazza di lui e bersagliata per la sua obesità da prese in giro furiose dei ragazzi della sua classe. Niko è attratto da lei, ora, ma ricorda la ragazzina e lo scherno che la accompagnava. Non riesce a sottrarsi all’invito a vederla recitare in un teatrino off, forzato dall’amico Matze. Nel frattempo l’attore disoccupato conduce il giovane su un set cinematografico dove si gira uno scadente melodramma ambientato nell’ultima guerra; il protagonista del mélo promette a Matze una partecipazione al film e in uno slancio di generosità non richiesto vorrebbe imbarcare lo stesso Niko nell’avventura sul set. In attesa dello spettacolo serale al teatrino off l’eterno studente incontra il padre che sta giocando a golf, per chiedergli soldi e raccontargli della carta di credito ritirata. Il padre gli svela che la carta l’ha fatta bloccare lui perché ha scoperto che da due anni il giovane non frequenta l’università e non dà un esame; lo pianta in asso con un paio di banconote, che però saranno le ultime che avrà da lui. Niko si ritrova come il protagonista di Opinioni di un clown di Heinrich Böll a fare i conti con la vita senza più un paracadute. E lo attende anche l’incontro con uno psicologo nevrotico e permaloso, che esamina Niko per decidere se può avere diritto alla restituzione della patente di guida, ritirata per aver condotto l’auto in lieve stato di ebbrezza. La serata a teatro e il successivo incontro con la ex compagna di scuola vanno come vanno. E infine l’incontro nell’ultimo bar della notte con un anziano signore, Friedrich (Michael Gwisdek), è la ciliegina sulla torta. Niko è costretto a fare i conti con presente, passato e futuro. Le parole dell’anziano signore sono rivolte a lui, ma anche ad una intera nazione che non ha fatto i conti con il suo orrendo passato. La notte al ragazzo regala un sonno travagliato su una panca di un ospedale ed un triste risveglio. Sarà possibile, finalmente, per Niko assaporare quel buon caffè agognato e sfuggitogli per un intero giorno? …
Una fotografia in bianco e nero di stampo classico, una recitazione ben fatta, una regia attenta (opera prima!), dialoghi oliati, una colonna sonora di ottimo livello che alterna musica classica a buon jazz e musica leggera rendono il film un’opera di pregevole fattura che non sfigurerebbe più di tanto tra i gioielli della Nouvelle vague o, per il piglio ironico e malinconicamente umoristico, tra gli ottimi film degli anni ’60 del cinema inglese. Al Festival del Cinema di Berlino ha mietuto una messe dei premi più importanti, verosimilmente con pieno merito.
Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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[+] grazie per la trama.. (di luanaa)[ - ] grazie per la trama..
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