marvin tramp
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sabato 9 novembre 2013
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astinenza da caffè, o dalla vita?
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Oh boy - un caffè a Berlino. L'incarnazione di un ragazzo, Niko, soggetto a dubbi e ostacoli esistenziali che il cinema ha ormai trasformato in luoghi comuni. La scelta di una tecnica in bianco e nero (che sottolinea e rimarca la costante pseudo-apatia del ragazzo nei confronti di ciò che gli sta attorno) e la coinvolgente introspettività del protagonista rendono però il lungometraggio originale e distaccato dagli altri film targati da giovani uomini in crisi. Niko si lascia trasportare dagli eventi e dalle persone che una Berlino grigia e malinconica gli propone, in una giornata dove l'assenza di un caffè (che fino alla fine cercherà di bere, con scarsi risultati) si fa sentire.
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Oh boy - un caffè a Berlino. L'incarnazione di un ragazzo, Niko, soggetto a dubbi e ostacoli esistenziali che il cinema ha ormai trasformato in luoghi comuni. La scelta di una tecnica in bianco e nero (che sottolinea e rimarca la costante pseudo-apatia del ragazzo nei confronti di ciò che gli sta attorno) e la coinvolgente introspettività del protagonista rendono però il lungometraggio originale e distaccato dagli altri film targati da giovani uomini in crisi. Niko si lascia trasportare dagli eventi e dalle persone che una Berlino grigia e malinconica gli propone, in una giornata dove l'assenza di un caffè (che fino alla fine cercherà di bere, con scarsi risultati) si fa sentire. Mi allontano dal pensiero che tale film sia nato allo scopo di rappresentare una delle più affascinanti città europee, dal momento che, salvo qualche scena toccante composta da scorci di Berlino ripresi quasi fugacemente, questa non è certo raffigurata nel suo massimo splendore. Trovo infatti che la scelta sia stata quella di collocare un ragazzo facilmente immmedesimabile con lo spettatore, in una città rappresentativa di una qualsiasi enorme e dispersiva metropoli, così da rendere più coinvolgente la visione ad un amante del genere. Insomma, solo pareri positivi per questo film dall'ironia malinconica, tipica della vita.
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fabiofeli
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lunedì 11 novembre 2013
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la vita presenta il conto in un solo giorno
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Oh boy - Un caffé a Berlino di Jan Ole Gerster
Una giornata della vita di Niko (Tom Schilling), eterno studente a Berlino, alla ricerca di un buon caffè , che sembra non possa gustare mai. Il giovane esce dalla casa di una ragazza, con la quale ha appena chiuso una storia, ed incappa nella disavventura di pochi spiccioli in tasca e di un bancomat che gli mangia la carta di credito. Nella casa nella quale si è appena trasferito c’è un vicino invadente e problematico, che con le sue domande dirette rende noti allo spettatore i primi particolari utili a inquadrare la vita di Niko.
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Oh boy - Un caffé a Berlino di Jan Ole Gerster
Una giornata della vita di Niko (Tom Schilling), eterno studente a Berlino, alla ricerca di un buon caffè , che sembra non possa gustare mai. Il giovane esce dalla casa di una ragazza, con la quale ha appena chiuso una storia, ed incappa nella disavventura di pochi spiccioli in tasca e di un bancomat che gli mangia la carta di credito. Nella casa nella quale si è appena trasferito c’è un vicino invadente e problematico, che con le sue domande dirette rende noti allo spettatore i primi particolari utili a inquadrare la vita di Niko. Altro scaturisce dall’incontro, condito di citazioni cinematografiche, con un amico attore disoccupato, Matze (Marc Hosemann) e dal casuale inserirsi nel dialogo tra i due in un bar di una ragazza. La giovane, di nome Julika (Friederike Kempter), conosce Niko: è una compagna di scuola di una decina di anni prima, innamorata pazza di lui e bersagliata per la sua obesità da prese in giro furiose dei ragazzi della sua classe. Niko è attratto da lei, ora, ma ricorda la ragazzina e lo scherno che la accompagnava. Non riesce a sottrarsi all’invito a vederla recitare in un teatrino off, forzato dall’amico Matze. Nel frattempo l’attore disoccupato conduce il giovane su un set cinematografico dove si gira uno scadente melodramma ambientato nell’ultima guerra; il protagonista del mélo promette a Matze una partecipazione al film e in uno slancio di generosità non richiesto vorrebbe imbarcare lo stesso Niko nell’avventura sul set. In attesa dello spettacolo serale al teatrino off l’eterno studente incontra il padre che sta giocando a golf, per chiedergli soldi e raccontargli della carta di credito ritirata. Il padre gli svela che la carta l’ha fatta bloccare lui perché ha scoperto che da due anni il giovane non frequenta l’università e non dà un esame; lo pianta in asso con un paio di banconote, che però saranno le ultime che avrà da lui. Niko si ritrova come il protagonista di Opinioni di un clown di Heinrich Böll a fare i conti con la vita senza più un paracadute. E lo attende anche l’incontro con uno psicologo nevrotico e permaloso, che esamina Niko per decidere se può avere diritto alla restituzione della patente di guida, ritirata per aver condotto l’auto in lieve stato di ebbrezza. La serata a teatro e il successivo incontro con la ex compagna di scuola vanno come vanno. E infine l’incontro nell’ultimo bar della notte con un anziano signore, Friedrich (Michael Gwisdek), è la ciliegina sulla torta. Niko è costretto a fare i conti con presente, passato e futuro. Le parole dell’anziano signore sono rivolte a lui, ma anche ad una intera nazione che non ha fatto i conti con il suo orrendo passato. La notte al ragazzo regala un sonno travagliato su una panca di un ospedale ed un triste risveglio. Sarà possibile, finalmente, per Niko assaporare quel buon caffè agognato e sfuggitogli per un intero giorno? …
Una fotografia in bianco e nero di stampo classico, una recitazione ben fatta, una regia attenta (opera prima!), dialoghi oliati, una colonna sonora di ottimo livello che alterna musica classica a buon jazz e musica leggera rendono il film un’opera di pregevole fattura che non sfigurerebbe più di tanto tra i gioielli della Nouvelle vague o, per il piglio ironico e malinconicamente umoristico, tra gli ottimi film degli anni ’60 del cinema inglese. Al Festival del Cinema di Berlino ha mietuto una messe dei premi più importanti, verosimilmente con pieno merito.
Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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(di luanaa)
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flyanto
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lunedì 28 ottobre 2013
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quanto occorre per ottenere un caffè!
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Film in cui si racconta di un giovane uomo che è alla ricerca di se stesso come anche di una tazza di caffè che non riesce invece mai ad acquistare. Nel corso delle varie vicende che gli succedono nell'arco di un'intera giornata tale giovane affronterà molto svogliatamente e con quasi una sorta di apatia ogni evento che però, appunto, sembra non turbarlo più di tanto. Soltanto alla fine dopo un episodio, forse il più toccante di tutti, egli troverà finalmente la forza di reagire e forse anche la propria collocazione individuale per il futuro, come anche simbolicamente la tanto agognata tazza di caffè da gustare in tutta tranquillità.
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Film in cui si racconta di un giovane uomo che è alla ricerca di se stesso come anche di una tazza di caffè che non riesce invece mai ad acquistare. Nel corso delle varie vicende che gli succedono nell'arco di un'intera giornata tale giovane affronterà molto svogliatamente e con quasi una sorta di apatia ogni evento che però, appunto, sembra non turbarlo più di tanto. Soltanto alla fine dopo un episodio, forse il più toccante di tutti, egli troverà finalmente la forza di reagire e forse anche la propria collocazione individuale per il futuro, come anche simbolicamente la tanto agognata tazza di caffè da gustare in tutta tranquillità. Il regista tedesco Jan Ole Gerster ha realizzato questa sua opera prima che è stata insignita di molteplici premi nel corso dei vari festival cinematografici: da quello come miglior regia, a quello come migliore attore protagonista e come migliore fotografia e colonna sonora. Tutti premi che effettivamente risultano molto meritati perchè il film possiede svariati pregi, sebbene nel complesso non si possa non notare un certo scimmiottamento da parte del regista delle commedie di Woody Allen. La fotografia e le scene girate in bianco e nero, i brani scelti di musica jazz ed una certa sottile e divertente ironia che, insieme anche a delle note malinconiche, pervade la pellicola per tutta la sua durata, in effetti richiamano direttamente l' Allen di "Manhattan" o di "Hannah e le sue sorelle" , per esempio. L'ambientazione qui però è differente: Berlino si sostituisce a New York ma ciò è un dettaglio e nulla di più. Ovviamente Gerster non raggiunge l'apice di Allen, forse proprio perchè lo ricorda troppo e dunque rischia di cadere nella mancanza totale di originalità, ma nel suo insieme il film però risulta molto ben girato in quanto è equilibrato in tutte le scene come pure nei dialoghi (sicuramente meno logorroici di quelli di Allen). Il giovane protagonista poi, l'attore Tom Schilling, è stato scelto dal regista molto adeguatamente come interprete del suo personaggio in crisi ed estraniato da tutto ciò che lo circonda. Insomma, per concludere, il film risulta complessivamente piacevole e degno sicuramente di menzione, facendo rimanere lo spettatore in attesa di una seconda e, forse, più matura, opera da parte di questo talentuoso e divertente regista.
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(di luanaa)
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omanoc_load
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martedì 3 giugno 2014
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un caffè che sa di conquista
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
Diverse solitudini però hanno diversi modi di essere vissute. Così si assiste a quella del nuovo vicino di casa di Niko che, come lui, sente scagliarsi addosso le ingiuste colpe dell'essere solo di fronte alle difficoltà della vita o, quelle più proprie, del male che sta divorando sua moglie e dal quale Niko, non può che rimanere stupefatto e allibito per via del evidente bisogno comunicativo volto alla ricerca di rassicurazioni e compagnia.
La solitudine, con tutti i suoi risvolti, riesce a vestirsi anche delle paure con cui ogni individuo si scontra in ogni momento, così come succede alla ex compagna di scuola ritrovata casualmente, Julika, e ancora alle prese con dei problemi di peso che ritornano come fantasmi a disturbarla e importunarla più dei balordi di strada con i quali si scontra e in quel modo veemente che lei ha subito in passato da Niko stesso e dal quale sembra allontanarsi quando le sfiora l’idea che potrebbe respingerla per via dell'invivibile certezza che la vita dipenda da quel dolore, reputato più grande della possibilità di poter star bene.
Il bianco e nero del film, quella dicotomia che sembra non appartenere alle scelte di Niko, la malinconia del suo sguardo, la confusione nel non ottenere nulla dalle persone e da se stesso, i paletti posti dalle persone incontrate per motivi di dubbia professionalità (come quelli avanzati dallo psicologo che strappa le risposte a Niko per far si che esso sia categorizzabile, per facilitarsi il lavoro e dandogli l'etichetta "alcolizzato non idoneo alla guida”), ogni cosa sembra pesare inconsapevolmente su Niko persino la morte di quell’uomo che poco prima della sua dipartita gli racconta in un pub di una felicità rubata che non sa più far tornare da quando, in una maledetta notte di sessant’anni fa, tutti gli ebrei come lui e compreso lui, dovettero fuggire dalla Germania cercando di dimenticare la propria identità, la felicità nel non poter più guidare una bici per colpa dei verti rotti, per via dell’odio creduto coraggiosamente rispetto.
Allora Niko, svegliatosi in ospedale e appreso della morte dello sconosciuto del quale conoscerà solo il nome, può finalmente gustare il suo caffè e concedersi un tempo nuovo, un tempo che sa di conquista quanto di coraggio verso le proprie responsabilità, verso le proprie debolezze che lo rendono più forte e più disponibile...più essere vivente con gli altri suoi simili.
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omanoc_load
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sabato 7 giugno 2014
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un caffè kafkiano.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
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Un film e tante solitudini. Tante solitudini e altrettanti modi di colmarle.
Tra queste c'è quella di Niko, un ragazzo qualunque, al bivio tra alcune scelte che necessitano di essere fatte, magari, davanti a un caffè che rassereni, che ridia qualcosa che è andata persa col tempo e con un padre che è alla ricerca delle soddisfazioni che sostituiscano quasi magicamente, le rinuncie e le sconfitte, l'afflizione e il "pensare" del figlio, rilevatisi i soli e tristi accompagnatori della sua vita, insieme a qualche bicchiere di troppo, qualche bevuta compensatrice le assenze, come quella del caffè che kafkianamente tarda a gustare nel corso della giornata, così quella, più pesante, del padre, ovviamente alla ricerca, non di un figlio, ma di un trofeo da mostrare ai vari tornei di golf.
Diverse solitudini però hanno diversi modi di essere vissute. Così si assiste a quella del nuovo vicino di casa di Niko che, come lui, sente scagliarsi addosso le ingiuste colpe dell'essere solo di fronte alle difficoltà della vita o, quelle più proprie, del male che sta divorando sua moglie e dal quale Niko, non può che rimanere stupefatto e allibito per via del evidente bisogno comunicativo volto alla ricerca di rassicurazioni e compagnia.
La solitudine, con tutti i suoi risvolti, riesce a vestirsi anche delle paure con cui ogni individuo si scontra in ogni momento, così come succede alla ex compagna di scuola ritrovata casualmente, Julika, e ancora alle prese con dei problemi di peso che ritornano come fantasmi a disturbarla e importunarla più dei balordi di strada con i quali si scontra e in quel modo veemente che lei ha subito in passato da Niko stesso e dal quale sembra allontanarsi quando le sfiora l’idea che potrebbe respingerla per via dell'invivibile certezza che la vita dipenda da quel dolore, reputato più grande della possibilità di poter star bene.
Il bianco e nero del film, quella dicotomia che sembra non appartenere alle scelte di Niko, la malinconia del suo sguardo, la confusione nel non ottenere nulla dalle persone e da se stesso, i paletti posti dalle persone incontrate per motivi di dubbia professionalità (come quelli avanzati dallo psicologo che strappa le risposte a Niko per far si che esso sia categorizzabile, per facilitarsi il lavoro e dandogli l'etichetta "alcolizzato non idoneo alla guida”), ogni cosa sembra pesare inconsapevolmente su Niko persino la morte di quell’uomo che poco prima della sua dipartita gli racconta in un pub di una felicità rubata che non sa più far tornare da quando, in una maledetta notte di sessant’anni fa, tutti gli ebrei come lui e compreso lui, dovettero fuggire dalla Germania cercando di dimenticare la propria identità, la felicità nel non poter più guidare una bici per colpa dei verti rotti, per via dell’odio creduto coraggiosamente rispetto.
Allora Niko, svegliatosi in ospedale e appreso della morte dello sconosciuto del quale conoscerà solo il nome, può finalmente gustare il suo caffè e concedersi un tempo nuovo, un tempo che sa di conquista quanto di coraggio verso le proprie responsabilità, verso le proprie debolezze che lo rendono più forte e più disponibile...più essere vivente con gli altri suoi simili.
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angelo umana
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sabato 8 marzo 2014
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color che son sospesi
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Sacrosanto e preciso il giudizio di Marianna Cappi su mymovies.it: “il film nel suo complesso non va oltre la natura di un'opera garbata eppure incapace di superare la soglia dell'ingenuità e dell'imitazione”. Chissà se un film così vuole definirsi di avanguardia o se esso sia di retroguardia, minimale e in fondo non molto significativo né importante. E’ un’opera prima, un bianco e nero che costa poco ma dà poco.
Niko, 24enne osservativo che come la macchina da presa osserva lungamente Berlino, sembra una canna al vento, non sa ancora che direzione prendere: da due anni ha smesso di frequentare l’università e pensa, osserva, non conclude niente.
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Sacrosanto e preciso il giudizio di Marianna Cappi su mymovies.it: “il film nel suo complesso non va oltre la natura di un'opera garbata eppure incapace di superare la soglia dell'ingenuità e dell'imitazione”. Chissà se un film così vuole definirsi di avanguardia o se esso sia di retroguardia, minimale e in fondo non molto significativo né importante. E’ un’opera prima, un bianco e nero che costa poco ma dà poco.
Niko, 24enne osservativo che come la macchina da presa osserva lungamente Berlino, sembra una canna al vento, non sa ancora che direzione prendere: da due anni ha smesso di frequentare l’università e pensa, osserva, non conclude niente. Ce lo rivela suo padre, uno di quegli uomini tutti d’un pezzo e di successo, cosciente e orgoglioso delle sue fatiche per mantenere la famiglia, il quale ha smesso di alimentare il conto corrente di Niko con 1000€ al mese, al punto che lo sportello bancomat gli “mangia” la preziosa tessera.
Niko osserva ma è lui il protagonista, spettatore e attore di un suo tempo inconcludente. Vediamo due svogliati rapporti con ragazze ma due più significativi incontri con anziani, forse la virtù di Niko è quella di far confidare in lui gli anziani, farsi voler bene per la sua aria per nulla aggressiva. Spesso nei film il protagonista esce da quasi eroe, alla fine ha successo, lui resta come “color che son sospesi”, chissà se col tempo gli servirà il monito definitivo che suo papà gli comunica, tra una buca e l’altra nel green del golf: “L’unica cosa che posso fare per te è non fare nulla per te d’ora in poi”. Resta la domanda se sia lecito – un diritto - oppure no che ognuno possa avere un tempo osservativo, inconcludente, sospeso, a 24 come a 60 anni.
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[+] film americani
(di angelo umana)
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[+] commento vergognoso
(di luanaa)
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