sippetta90
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domenica 17 novembre 2013
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l'ultima ruota del carro siamo noi
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Ho visto questo film proprio ieri pomeriggio e già ho voglia di rivederlo. Io fino agli anni 80 non c'ero (sono del '94), conoscevo gli avvenimenti storici rievocati da questo film, ma non conoscevo la mentalità italiana di quei tempi. Grazie a questo film ho avuto modo di comprenderla, di comprendere il valore della famiglia (che oggi va scemando sempre più), di comprendere quanto la fortuna possa sorriderti e quanto possa scomparire in un attimo. Da grande vorrei essere anche io onesta e con sani principi come Ernesto. Un elogio a tutti gli attori, ad Elio Germano che non avevo mai visto recitare e devo dire che è molto bravo, ad Alessandra Mastronardi che seguo da sempre ma che stavolta mi ha davvero spiazzata con un'eccezionale interpretazione, a Ricky Memphis, a Virginia Raffaele, tutti bravissimi.
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Ho visto questo film proprio ieri pomeriggio e già ho voglia di rivederlo. Io fino agli anni 80 non c'ero (sono del '94), conoscevo gli avvenimenti storici rievocati da questo film, ma non conoscevo la mentalità italiana di quei tempi. Grazie a questo film ho avuto modo di comprenderla, di comprendere il valore della famiglia (che oggi va scemando sempre più), di comprendere quanto la fortuna possa sorriderti e quanto possa scomparire in un attimo. Da grande vorrei essere anche io onesta e con sani principi come Ernesto. Un elogio a tutti gli attori, ad Elio Germano che non avevo mai visto recitare e devo dire che è molto bravo, ad Alessandra Mastronardi che seguo da sempre ma che stavolta mi ha davvero spiazzata con un'eccezionale interpretazione, a Ricky Memphis, a Virginia Raffaele, tutti bravissimi. Riconosco che alla fine sia Elio che Alessandra non sembravano proprio 60enni, ma -siamo obbiettivi- è difficile far invecchiare alla perfezione una 27enne e un 33enne. E poi sinceramente poco conta il trucco, conta il messaggio che noi riceviamo dal film, e devo dire che è un bellissimo messaggio. Consiglio il film a tutti, perché fa davvero riflettere e, ora come ora, ne abbiamo proprio bisogno. Bravo Veronesi. COMPLIMENTI! :)
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alex2044
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domenica 17 novembre 2013
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un'ottima ruota del carro del cinema italiano
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Un bel film. Una piccola storia d'Italia tenera e sincera . Bravo il regista , è forse il suo miglior film, bravi tutti gli attori che se la giocano ad armi con i migliori caratteristi americani .Menzione speciale e mezzo voto in più per Elio Germano degno del ricordo del miglior Manfredi . Insomma un film che si può vedere senza rimpianti .
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maurizio meres
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domenica 17 novembre 2013
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la bella italia
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Buon film che ci fa rivivere marginalmente quarant'anni d'Italia ,vista attraverso la vita quotidiana di gente comune,lui Germano figlio incompreso con un padre padrone lei semplice e ordinaria che si s'innamora quando l'amore era un sentimento puro il finale ne e' un raro esempio.Ritengo che attualmente al cinema le storie di gente comune come questa se non sono integrate da scandali attuali non abbiano successo quasi a diventare pubblicità gratuita.Bellissima la partecipazione di Alessandro Haber grande attore sempre teatrale ,bravi tutti .Veronesi sempre all'altezza , poteva però evitare quella pubblicità troppo trionfalistica ai ritorni politici forse ironica ? Film da vedere
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poldino85
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domenica 17 novembre 2013
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intenso
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questo è un film che mi ha lasciato seduta in poltrona anche quando sono partiti i titoli di coda.molte le riflessioni e le emozioni che suscita,per questo merita un voto pieno.
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frascop
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sabato 16 novembre 2013
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senza mordente e con rubini
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Certo, tra venti o trenta anni il figlio di Mentana o il nipote di Vespa potranno introdurre un Come eravamo con questo film che almeno tenta di parlare di oggi. A parte qualche film (non mi vergogno a dirlo) dei Vanzina, nessuno ci dà più storie che tentano di tallonare la realtà che viviamo (anche Zalone ha cercato ma il suo pubblico sono i giovanissimi). Voglio dire che la commedia all’italiana dei Monicelli, Risi, Scola, Comencini, questo era, uno sguardo alla società italiana. Prendiamo, per capirci, C’eravamo tanti amati (1974) di Scola. Che cosa manca allora a Veronesi e a L’ultima ruota del carro? Tante cose, troppe cose.
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Certo, tra venti o trenta anni il figlio di Mentana o il nipote di Vespa potranno introdurre un Come eravamo con questo film che almeno tenta di parlare di oggi. A parte qualche film (non mi vergogno a dirlo) dei Vanzina, nessuno ci dà più storie che tentano di tallonare la realtà che viviamo (anche Zalone ha cercato ma il suo pubblico sono i giovanissimi). Voglio dire che la commedia all’italiana dei Monicelli, Risi, Scola, Comencini, questo era, uno sguardo alla società italiana. Prendiamo, per capirci, C’eravamo tanti amati (1974) di Scola. Che cosa manca allora a Veronesi e a L’ultima ruota del carro? Tante cose, troppe cose. Mancano Age e Scarpelli e le musiche di Trovajoli. D’accordo, tre fuoriclasse come questi non si trovano dietro l’angolo, e Gassman e Manfredi neppure. Ma Elio Germano di questi tempi è bravo, e ci dobbiamo accontentare. Solo che: non puoi scambiare la Mastronardi (che sa troppo, peccato per lei, di tv e Cesaroni) per la Sandrelli, non puoi fare un film-commedia con comprimari quali Sergio Rubini. Ecco, la commedia all’italiana oltre al sarcasmo, allo sguardo corrosivo degli Age, Scarpelli, Maccari, Scola, Monicelli, aveva dei comprimari, tratti dai territori italiani, i Saro Urzì, i Tiberio Murgia, i Capannelle, gli Aldo Fabrizi, le Giovanna Ralli. E noi chi abbiamo, i pugliesi di Sergio Rubini? O Michele Placido, il quale ambirebbe ad essere il nuovo Gassman ma purtroppo non può essere neppure un caratterista come quelli citati? Nel film di Veronesi solo Battista (finalmente, insieme con Massimo Werthmuller) è una felice scoperta perché ha le caratteristiche che richiamavamo: è romanesco, simpatico, ben caratterizzato di suo. Insomma, riconoscibile. Quindi non basta una buona storia che si snoda per una vita a fare un film. Occorre una scrittura corrosiva, che qui si vede per soli trenta secondi, quando Menphis parla estasiato di Berlusconi, e comprimari all’altezza. I Sergio Rubini nell’attuale società italiana semplicemente non ci sono, basta guardare la fisiognomica di quelli a cui il personaggio vorrebbe alludere. Per questo, sotto questo aspetto, la fisiognomica, certe volte finanche i Vanzina ci riescono di più (si veda Le finte bionde, 1989).
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frascop
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sabato 16 novembre 2013
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senza mordente e con rubini
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Certo, tra venti o trenta anni il figlio di Mentana o il nipote di Vespa potranno introdurre un Come eravamo con questo film che almeno tenta di parlare di oggi. A parte qualche cosa (non mi vergogno a dirlo) dei Vanzina, nessuno ci dà più storie che tentano di tallonare la realtà che viviamo (anche Zalone ha cercato ma il suo pubblico sono i giovanissimi). Voglio dire che la commedia all’italiana dei Monicelli, Risi, Scola, Comencini, questo era, uno sguardo alla società italiana. Prendiamo, per capirci, C’eravamo tanti amati (1974) di Scola. Che cosa manca allora a Veronesi e a L’ultima ruota del carro? Tante cose, troppe cose.
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Certo, tra venti o trenta anni il figlio di Mentana o il nipote di Vespa potranno introdurre un Come eravamo con questo film che almeno tenta di parlare di oggi. A parte qualche cosa (non mi vergogno a dirlo) dei Vanzina, nessuno ci dà più storie che tentano di tallonare la realtà che viviamo (anche Zalone ha cercato ma il suo pubblico sono i giovanissimi). Voglio dire che la commedia all’italiana dei Monicelli, Risi, Scola, Comencini, questo era, uno sguardo alla società italiana. Prendiamo, per capirci, C’eravamo tanti amati (1974) di Scola. Che cosa manca allora a Veronesi e a L’ultima ruota del carro? Tante cose, troppe cose. Mancano Age e Scarpelli e le musiche di Trovajoli. D’accordo, tre fuoriclasse come questi non si trovano dietro l’angolo, e Gassman e Manfredi neppure. Ma Elio Germano di questi tempi è bravo, e ci dobbiamo accontentare. Solo che: non puoi scambiare la Mastronardi (che sa troppo, peccato per lei, di tv e Cesaroni) per la Sandrelli, non puoi fare un film-commedia con comprimari quali Sergio Rubini. Ecco, la commedia all’italiana oltre al sarcasmo, allo sguardo corrosivo degli Age, Scarpelli, Maccari, Scola, Monicelli, aveva dei comprimari, tratti dai territori italiani, i Saro Urzì, i Tiberio Murgia, i Capannelle, gli Aldo Fabrizi, le Giovanna Ralli. E noi chi abbiamo, i pugliesi di Sergio Rubini? O in altri film Michele Placido, il quale ambirebbe ad essere il nuovo Gassman ma purtroppo non può essere neppure un caratterista come quelli citati? Nel film di Veronesi solo Battista (finalmente, insieme con Massimo Werthmuller) è una felice scoperta perché ha le caratteristiche che richiamavamo: è romanesco, simpatico, ben caratterizzato di suo. Insomma, riconoscibile. Quindi non basta una buona storia che si snoda per una vita a fare un film. Occorre una scrittura corrosiva, che qui si vede per soli trenta secondi, quando Menphis parla estasiato di Berlusconi, e comprimari all’altezza. I Sergio Rubini nell’attuale società italiana semplicemente non ci sono, basta guardare la fisiognomica di quelli a cui il personaggio vorrebbe alludere. Per questo, sotto questo aspetto, la fisiognomica, certe volte finanche i Vanzina ci riescono di più (si veda Le finte bionde, 1989).
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no_data
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sabato 16 novembre 2013
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l'insulsa vita che appartiene a quasi tutti noi
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Mi domando, perchè gli americani riescono a tirare fuori da semplici storie dei grandi film e noi invece impegnamo ben tre sceneggiatori per avere poi "IL POSTO AL SOLE", cinematografico? Un film francamente inutile, un furto di biglietti del cinema che non garantisce nemmeno la sguaiata volgarità romana che tanto fa ridere. Ma chi se ne frega della vita di Ernesto Fioretti! E poi che vita ha vissuto? L'unica sua emozione in tanti anni é stato scoprire con gioia che gli avevano sbagliato una diagnosi relativa ad un presunto tumore. E' molto più interessante la vita di un venditore di caldarroste all'angolo di via Frattina che questo "capolavoro del cinema italiano".
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Mi domando, perchè gli americani riescono a tirare fuori da semplici storie dei grandi film e noi invece impegnamo ben tre sceneggiatori per avere poi "IL POSTO AL SOLE", cinematografico? Un film francamente inutile, un furto di biglietti del cinema che non garantisce nemmeno la sguaiata volgarità romana che tanto fa ridere. Ma chi se ne frega della vita di Ernesto Fioretti! E poi che vita ha vissuto? L'unica sua emozione in tanti anni é stato scoprire con gioia che gli avevano sbagliato una diagnosi relativa ad un presunto tumore. E' molto più interessante la vita di un venditore di caldarroste all'angolo di via Frattina che questo "capolavoro del cinema italiano". L'impressione che ho avuto e che si è messo su un film per svoltare qualche aiuto economico, ed ecco la presenza di ben tre sceneggiatori. Unica nota positiva di questa opera d'arte che non passerà certo alla storia è l'interpretazione degli attori, tutti BRAVISSIMI! E Veronesi lo sapeva bene che soltanto inserendo un cast del genere avrebbe salvato bene o male un film fatto di una storia insulsa. Tra tutti gli attori molto bravi spiccano Menphis ma più nella seconda parte del film, quando è a tavola e si strozza oppure quando su Skype parla con l'amico in collegamento dalla Cina e poi Germano, ma è quasi scontato, peccato che i nostri attori hanno il problema della lingua e delle major americane, darebbero molti punti ai loro colleghi statunitensi. La Mastronardi che finalmente può non essere più identificata con i cesaroni. Sfruttiamola questa attrice perchè ne vale la pena, a differenza delle sue colleghe che sono delle bone imbalsamate, la Mastronardi è una bella attrice capace di emozionare.
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(di pressa catozzo)
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giba62
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venerdì 15 novembre 2013
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finalmente
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Finalmente un bel ritratto della gente comune!
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ciuoppo
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venerdì 15 novembre 2013
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capolavoro
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Un film che penetra nelle anime di ha trascorso gli stessi anni che tracorrono nel film. Per me uno dei migliori film degli ultimi anni.
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lorenzo rulfo
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venerdì 15 novembre 2013
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germano migliore in campo, veronesi espulso
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Iniziamo dalla fine: la camera dissolve in nero e sullo schermo appare la scritta "Ernesto Fioretti ritiene che la sua storia debba diventare un film". Ecco. Perché per centododici minuti veniva abbastanza naturale domandarsi che cosa Giovanni Veronesi stesse cercando di dire attraverso la pellicola (sceneggiata, fra gli altri, da un maestro della parola quale Ugo Chiti). La trama è molto semplice e ci racconta di Ernesto - ottimo, vedremo perché, Elio Germano - ventenne negli anni '70, intento a capeggiarsi fra le "molteplici difficoltà della vita" (quelle di tutti, s'intende: il lavoro, la casa, il rapporto con un padre severo ma buono, ecc.
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Iniziamo dalla fine: la camera dissolve in nero e sullo schermo appare la scritta "Ernesto Fioretti ritiene che la sua storia debba diventare un film". Ecco. Perché per centododici minuti veniva abbastanza naturale domandarsi che cosa Giovanni Veronesi stesse cercando di dire attraverso la pellicola (sceneggiata, fra gli altri, da un maestro della parola quale Ugo Chiti). La trama è molto semplice e ci racconta di Ernesto - ottimo, vedremo perché, Elio Germano - ventenne negli anni '70, intento a capeggiarsi fra le "molteplici difficoltà della vita" (quelle di tutti, s'intende: il lavoro, la casa, il rapporto con un padre severo ma buono, ecc.). Di contorno una bella e remissiva moglie e un migliore amico sempre pronto a invischiare il nostro protagonista in avventure dagli evidenti pericolosi epiloghi. Pericoli di cui egli mai si avvede e che rappresentano, di volta in volta, il fuoco su cui la pellicola spazia. E questo è il primo aspetto per cui “il carro” inizia a rallentare. Sono le grida da fondo sala, i "non lo fare" che ci accompagnano, a memoria, dalla sagoma di un iceberg che spunta all'orizzonte e “attento” e "vira"... tutto inutile, già lo sappiamo. E l'ingenuità del Fioretti, mista a una pericolosa forma di buonismo, non ha nulla di commovente, piuttosto irritante invece nelle due immagini che tentano di raccontarci – appiccicate malamente e senza particolare insistenza - il suo capitare al centro della storia italiana (l'omicidio di Moro e il lancio di monete a Craxi). Ma non c'è niente da fare, bisogna rammentare ogni momento che l'unico legame fra lo spettatore e le immagini che ha di fronte è sempre la vita del protagonista. E così sia. Tutto il resto non ha allora importanza: l'azienda in cui credeva di essere socio e non lo era (o era?), la malattia che credeva di avere e non aveva, il gratta e vinci che credeva non avesse vinto e invece aveva vinto e ancora tutto il resto.
Ma passando dietro le quinte le cose non migliorano affatto: la fotografia, piuttosto deludente o "nella media", appunto, appare giocata per l'ennesima volta sulla desaturazione (sembra che sia l'unico modo per raccontare gli anni settanta in Italia) e non regala grandi emozioni; così i costumi e il trucco (invecchiati malissimo i protagonisti, che a sessant'anni ne dimostrano trenta). La colonna sonora, made by Elisa, poi, è abbastanza insignificante.
Eppure "l'ultima ruota del carro" non si può definire completamente non riuscito. Per una ragione principalmente: l'interpretazione di Elio Germano, capace di entrare umilmente e con grande efficacia nella carne e nel sangue di un uomo medio. In lui si intravede la storia di un certo tipo di Roma, quella più semplice, media e non mediocre, appunto; in lui si intravede la capacità di costruire emozioni, con piccoli mattoncini, piccoli ed efficaci. Ed è poco quello che fa, non tenta una magistrale interpretazione, d'altronde non serve. Non serve! Credibile, a tratti, Alessandra Mastronardi nel ruolo della moglie Angela. Divertente Virginia Raffaele; simpatico Alessandro Haber, spogliato dalla sua "arroganza cinematografica" nel ruolo del pittore pop che tuttohacompresodellavita.
E si finisce così, allora, con la registrazione di un vecchio Maurizio Costanzo in cui Carmelo Bene dice: "Il talento fa quel che vuole, il genio fa quel che può"; a mio parere Veronesi dovrebbe meditarci un po’ sopra prima di partorire una nuova pellicola.
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[+] andate a vederlo
(di masseriaprosperi)
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