Hand in Hand

Avevamo ammirato la giovane e già grande maestra del cinema Valérie Donzelli per la sua capacità di intessere tragedia e gioco, in una vicenda umana particolarissima ma significativa della attuale condizione di precarietà esistenziale dei giovani, la quale si prolunga ormai a rappresentare interamente quella umana. In questo in questo film, invece, il gioco prende decisamente il sopravvento e la tragedia, il dramma lasciano il posto al melò e la guerra sembra sospesa. Date le capacità mostrate dalla Donzelli ne “La guerra è dichiarata” è come aver messo dentro una 500 il motore di una Ferrari da competizione per il circuito di Le Mans. Con questo non vogliamo assolutamente disprezzare il contenuto del film e il modo nel quale è stato svolto dalla regista. [+]

Avevamo ammirato la giovane e già grande maestra del cinema Valérie Donzelli per la sua capacità di intessere tragedia e gioco, in una vicenda umana particolarissima ma significativa della attuale condizione di precarietà esistenziale dei giovani, la quale si prolunga ormai a rappresentare interamente quella umana. In questo in questo film, invece, il gioco prende decisamente il sopravvento e la tragedia, il dramma lasciano il posto al melò e la guerra sembra sospesa. Date le capacità mostrate dalla Donzelli ne “La guerra è dichiarata” è come aver messo dentro una 500 il motore di una Ferrari da competizione per il circuito di Le Mans. Con questo non vogliamo assolutamente disprezzare il contenuto del film e il modo nel quale è stato svolto dalla regista. Solo che la maestria cinematografica sembra non trovare molta altra materia sulla quale applicarsi che il montaggio e la fotografia. Montaggio a sostenere i ritmi e i toni da commedia dell'assurdo, fotografia per rendere efficacemente, in primo luogo, l'atmosfera che si respira tra le sale della scuola di ballo dell'Opera di Parigi. Joachim Fox vive con la sorella Véro a Commency, appena fuori la capitale e fa il commesso in una vecchia vetreria. Per questo lo mandano a sistemare delle specchiere nel prestigioso teatro nazionale. Qui, per una sorta di incantesimo che scatta tanto inspiegabilmente quanto istantaneamente si trova a diventare uno specchio vivente. Scambiatosi un fulmineo ma assolutamente non voluto e niente affatto desiderato bacio con la direttrice della scuola di ballo, la nevrotica, depressa e controversa Helene Marchal, i due si ritroveranno a muoversi proprio come reciprocamente fossero riflessi nello specchio che l'altro rappresenta. Si alzano, si siedono, vanno avanti, tornano indietro, girano, gesticolano e si comportano in tutto e per tutto esattamente alla stessa maniera. Incollati uno nell'immagine dell'altra. La prima parte del film se ne va un po' nelle variazioni sul tema di questa paradossale situazione, intrecciata comicamente e freneticamente alle vicende laterali dei due inchiodati. La seconda parte si fa un po' più significativa ed esplicativa del vero tema del film, ovvero quello della costrizione alla quale riducono certi rapporti umani, non solo d'amore, di coppia o di triangolo erotico che sia ma di qualsiasi tipo, anche d'amicizia, artistici, professionali, ecc. Qui la Donzelli riesce ad attingere e a intrecciare corde più intense e vere. I legami tra le persone, soprattutto quelli che conducono per forza di cose a rapporti quotidiani ravvicinati, possono basarsi ed esaltarsi solo sulla base di una libera e matura scelta reciproca. Questa scelta, anziché inchiodare, incatenare l'uno all'altra, cura le ferite del passato che si trascinano dietro, sprigiona, disinibisce le migliori qualità interiori delle persone, e permette loro di agire fruttuosamente nel mondo. Una seconda parte che riscatta in buona parte la prima che lascia perplesso il pubblico, nonostante le situazioni, le battute comiche che la contrappuntano allo scopo di farla passare meglio. La morale e il finale della favola sono, però, un po' troppo facilmente consolatori, nonostante la nota amarognola che rimane sulla sorte di uno dei personaggi lateralmente più prossimi. Ne “La guerra è dichiarata”, invece, il dramma rimaneva incombente e da questo riceveva forza narrativa e cinematografica proprio quella libera, consapevole scelta del gioco con la quale si continuava a fronteggiarlo. [-]