osteriacinematografo
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mercoledì 6 giugno 2012
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l'insostenibile leggerezza di marilyn
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Londra, 1956. Colin Clark, figlio minore di Sir Kenneth Clark, eminente storico d’arte dell’epoca, decide, subito dopo la laurea, di intraprendere la carriera cinematografica. Grazie alla sua cieca ostinazione e alle influenti conoscenze di famiglia, il ventitreenne Clark (Eddie Redmayne) riesce a farsi assumere come terzo assistente alla regia del film “Il principe e la ballerina”: lavorerà così come tuttofare accanto al grande attore e regista Laurence Olivier (Kenneth Branagh), imparando con applicazione ed entusiasmo i meccanismi del “dietro le quinte” cinematografico, occupandosi dei tanti piccoli dettagli di contorno al set; entrerà poi in confidenza con la moglie dell’epoca di Olivier, Vivian Leigh, che gli affiderà il monitoraggio del marito; instaurerà una tenera storia d’amore con una costumista (Emma Watson).
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Londra, 1956. Colin Clark, figlio minore di Sir Kenneth Clark, eminente storico d’arte dell’epoca, decide, subito dopo la laurea, di intraprendere la carriera cinematografica. Grazie alla sua cieca ostinazione e alle influenti conoscenze di famiglia, il ventitreenne Clark (Eddie Redmayne) riesce a farsi assumere come terzo assistente alla regia del film “Il principe e la ballerina”: lavorerà così come tuttofare accanto al grande attore e regista Laurence Olivier (Kenneth Branagh), imparando con applicazione ed entusiasmo i meccanismi del “dietro le quinte” cinematografico, occupandosi dei tanti piccoli dettagli di contorno al set; entrerà poi in confidenza con la moglie dell’epoca di Olivier, Vivian Leigh, che gli affiderà il monitoraggio del marito; instaurerà una tenera storia d’amore con una costumista (Emma Watson).
Ma il ruolo e l’atteggiamento di Colin muteranno rapidamente con l’arrivo di Marilyn Monroe sul set, che travolgerà lui e l’intera troupe come una tempesta improvvisa: Marilyn si dimostrerà ben presto incapace di seguire il rigore e il ritmo imposti dai cineasti inglesi, presentandosi spesso in ritardo e in pessime condizioni, accusando gravemente giudizi e pregiudizi di colleghi che la osservano con diffidenza tipicamente anglosassone.Clark è giovane, generoso, malleabile, ma anche innocente e sensibile agli occhi di Marilyn, che sente di potersi fidare di lui e a lui si affida alla partenza del marito Arthur Miller, in cerca di tranquillità e d’ispirazione negli Stati Uniti; Marilyn gioca con Clark e i suoi occhi stralunati, trova spensieratezza al suo fianco, si alleggerisce di quel male connaturato al personaggio che incarna, e ricorda e dimentica, e c’è e non c’è, come una brezza primaverile che corre tenue e invisibile a solleticare l’erba. Clark si innamora perdutamente di Marilyn, senza potersi difendere, senza opporre resistenza, e la venera e comprende, e la giustifica a prescindere, e accorre ogni qual volta lei chieda di lui, e si perde e sogna lungo quei fianchi nudi che sfilano e s’immergono nelle acque della campagna inglese in un pomeriggio di sole, mentre tutto sembra perfetto e fuori dal tempo.
Una Marilyn bambina, capricciosa, incontentabile, talentuosa, fragilissima, divina, eterea, Marilyn che affascina e sconvolge chiunque le si avvicini troppo, Marilyn sola nella folla, schiva e diffidente, istintiva, tenera, Marilyn che tutti odiano e amano al tempo stesso, Marilyn schiava di farmaci che le avvelenano l’anima, Marilyn candida e autoironica, intrinsecamente sensuale, imprigionata in un personaggio che non può e non vuole lasciare, in un mito planetario di cui l’opinione pubblica si nutre senza ritegno. Marilyn che è un mix perfetto di bellezza e inconsapevolezza, quella bellezza che non sa di essere tale, che viene così com’è, ed è incontrollabile, come l’indole di Marylin, che tutto cambia attorno a sé e mai viene cambiata, Marilyn che ammalia con l’insostenibile leggerezza di un essere che vacilla e freme.
Il film di Simon Curtis è caldo e delicatissimo, e la macchina da presa indugia in modo tenue e curioso sul viso malinconico di Marilyn, che sembra controllare il mondo intero con una smorfia delle labbra appena accennata; i filtri pastello calano su paesaggi e personaggi come un velo conciliatore, regalando al film un’atmosfera onirica che solletica e rilassa lo spettatore. E’ un’opera che si tramuta in piacere visivo, che celebra Marilyn nel modo che merita, e Michelle Williams si presta in modo straordinario alla figura della Monroe: il suo corpo ridondante, che possiede e richiama le forme e le sinuosità femminili degli anni 50, calza alla perfezione a quello di Marylin; ma è l’espressione svanita e trasognata dell’attrice americana a spiazzare chi guarda; il suo disincanto diviene fascino, i suoi movimenti flemmaticamente aggraziati, il suo continuo oscillare, i suoi scatti repentini, quella giostra espressiva che si aziona in modo naturale impressionano e catturano la fantasia in una casa degli specchi da cui non si vorrebbe più uscire. Curtis racconta in primis il cinema e i suoi retroscena, per poi dedicarsi integralmente alla devota celebrazione di una delle muse che più ispirò la settima arte: il film, tratto dal libro dello stesso Colin Clark “The prince, the showgirl and me: the Colin Clark Diaries”, si rivela una trasposizione cinematografica affascinante, un’opera poetica che racconta l’amore per una donna che conquistò il mondo grazie a un fascino sfuggente e indefinibile.
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writer58
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giovedì 14 giugno 2012
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la principessa e il terzo assistente
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Il mito di Marilyn è descritto, con alcune rapide pennellate, in una recensione al film che ho trovato splendida(Osteriacinematografo, 2012):
"Una Marilyn bambina, capricciosa, incontentabile, talentuosa, fragilissima, divina, eterea, Marilyn che affascina e sconvolge chiunque le si avvicini troppo, Marilyn sola nella folla, schiva e diffidente, istintiva, tenera, Marilyn che tutti odiano e amano al tempo stesso, Marilyn schiava di farmaci che le avvelenano l’anima, Marilyn candida e autoironica, intrinsecamente sensuale, imprigionata in un personaggio che non può e non vuole lasciare, in un mito planetario di cui l’opinione pubblica si nutre senza ritegno [...]".
Quando Marilyn arriva a Londra per recitare a fianco del grande Laurence Olivier ha 30 anni ed è già la personificazione del mito: gli uomini la guardano attoniti a bocca aperta, i fan la assediano, le donne la scrutano con malcelata invidia.
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Il mito di Marilyn è descritto, con alcune rapide pennellate, in una recensione al film che ho trovato splendida(Osteriacinematografo, 2012):
"Una Marilyn bambina, capricciosa, incontentabile, talentuosa, fragilissima, divina, eterea, Marilyn che affascina e sconvolge chiunque le si avvicini troppo, Marilyn sola nella folla, schiva e diffidente, istintiva, tenera, Marilyn che tutti odiano e amano al tempo stesso, Marilyn schiava di farmaci che le avvelenano l’anima, Marilyn candida e autoironica, intrinsecamente sensuale, imprigionata in un personaggio che non può e non vuole lasciare, in un mito planetario di cui l’opinione pubblica si nutre senza ritegno [...]".
Quando Marilyn arriva a Londra per recitare a fianco del grande Laurence Olivier ha 30 anni ed è già la personificazione del mito: gli uomini la guardano attoniti a bocca aperta, i fan la assediano, le donne la scrutano con malcelata invidia. In realtà, nel film (ma sembra anche nella vita), Marilyn si rivela come un'attrice mediocre e frenata da troppe paure: dimentica le battute, ha un bisogno quasi patologico di attenzione e di amore, recupera la presenza scenica solo nel momento in cui fa emergere la sua fisicità, quando lascia parlare il suo corpo e il suo viso, quando incarna la figura della Donna così come è desiderata dall'immaginario maschile.I germi del percorso autodistruttivo che la porteranno alla morte nel giro di qualche anno sono già presenti e attivi.
Misurarsi con la figura di Marilyn è una sfida per qualunque attrice: Michelle Williams fornisce una buona prova, al di là della somiglianza imperfetta e della mancanza di sensualità intrinseca: è capace di modulare la sua recitazione proponendo un ritratto convincente del candore, della fragilità e dello splendore che hanno caratterizzato la diva. Durante le riprese del film "The Prince and the Showgirl" Marilyn si circonda di persone che fingono adorazione nei suoi confronti per scopi opportunistici, s'imbatte in un ragazzo alto e allampanato di 23 anni che svolge il ruolo di terzo assistente alla regia e che la guarda come se fosse la reincarnazione di Venere. Marilyn sente un bisogno istintivo di vicinanza nei confronti del giovane: lo chiama ripetutamente a casa sua, ne condivide il letto, si bagna nuda insieme a lui in un laghetto durante un'escursione. Colin Clark - così si chiama l'assistente- scriverà decenni dopo un libro che contiene un capitolo sulla sua settimana da favola con Marilyn. Il film riesce a rendere lo stupore quasi estatico che può provare un giovane (molto buona l'interpretazione di Eddie Redmayne) nel condividere momenti d'intimità con la donna più celebrata del pianeta.
"Marilyn" è un esercizio filmico molto curato, mi ha ricordato, come impianto scenico e come qualità della rappresentazione, "Il discorso del re". Buona la sceneggiatura e la scenografia che propone una ricostruzione convincente dell'Inghilterra degli anni '50. Il limite del film consiste nel misurarsi con un personaggio che ha assunto, soprattutto dopo la sua morte, caratteristiche mitiche e leggendarie. L'alone mitico costituisce un diaframma completamente aperto che rischia di proiettare una luce troppo intensa sulla vicenda narrata, rendendo meno visibili i chiaroscuri e favorendo, al di là delle intenzioni della regia, un approccio un po' agiografico alla vicenda.
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donni romani
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martedì 1 maggio 2012
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una marilyn fragile e bellissima
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Nel 1956, poco dopo aver sposato Arthur Miller, Marilyn Monroe si trasferì a Londra per girare "Il principe e la Ballerina" con Sir Laurence Olivier. Il giovane assistente di set Colin Clark, all'inizio intimidito dall'essere a contatto con attori tanto famosi, sarà l'unico che riuscirà ad instaurare un rapporto intimo e sincero con l'attrice americana, fragile e insicura ogni giorno di più.
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Nel 1956, poco dopo aver sposato Arthur Miller, Marilyn Monroe si trasferì a Londra per girare "Il principe e la Ballerina" con Sir Laurence Olivier. Il giovane assistente di set Colin Clark, all'inizio intimidito dall'essere a contatto con attori tanto famosi, sarà l'unico che riuscirà ad instaurare un rapporto intimo e sincero con l'attrice americana, fragile e insicura ogni giorno di più. Trascorrerà con lei giorni indimenticabili, che qualche anno dopo saranno raccolti in un libro che fa da sfondo al film di Simon Curtis. Le impegnative parti di Marilyn e Olivier sono affidate a Michelle Williams e Kenneth Branagh (per entrambi meritatissime nomination agli Oscar), mentre Julia Ormond è Vivien Leight. Il racconto di Colin è affettuoso, partecipe, complice, visto che la sua breve frequentazione di Marilyn fu per lui una di quelle esperienze che a ventitre anni sconvolgono mente e cuore, ma sincera ed onesta quanto basta per raccontare la dipendenza di Marilyn dai farmaci, la corte di personaggi che le ruotava intorno con scopi non sempre nobili, il bisogno spasmodico della star desiderata da tutti gli uomini del pianeta di essere rassicurata ed amata da un singolo uomo che la vedesse come realmente era e non come lo star system la dipingeva. Lo stile della pellicola è lineare, e la scelta è vincente, perchè di fronte a personaggi così "pesanti" si può solo accompagnarli nel loro vissuto. Si conoscono malinconie e paure di questi grandi attori - magnifica la scena in cui il grande Olivier confessa a Colin la sua paura di invecchiare e perdere lo smalto dei primi anni - ci si intenerisce davanti ad una Marilyn così insicura del proprio talento di attrice da dover provare con la sua coach (Paula Strasberg) una battuta, anche la più banale, decine di volte e si rimpiange un'epoca d'oro in cui il mondo cinema era fatto di vero glamour. Come dicevamo meritatissime le nomination di Michelle Wiliams, una Marilyn donna-bambina, sexy e divertente nei momenti buoni, ma sperduta e disperata quando i dubbi e la solitudine la tormentano e un Kenneth Branagh perfettamente a suo agio nel ruolo del grande attore e regista shakesperiano alle prese con le bizze della sua prima attrice.
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stefano mosca
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giovedì 7 giugno 2012
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marilyn vestita da norma jeane
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Giochi di luce e ombra si proiettano sullo schermo dando al film l’aspetto di un documentario, ma quelle luci e quelle ombre emergono anche dalla personalità della Monroe. Abbandonati gli abiti di Norma Jeane, la vita precedente e soprattutto la solitudine, Marilyn si fa conoscere al mondo intero che la ama, nonostante le critiche, più di quanto lei crede di meritare. Ma la sua vera identità, la vita passata e quella maledetta solitudine non si dissolveranno mai, nonostante i successi e gli amori. Malinconica, instabile e soprattutto impaurita dalla popolarità, la stella di Hollywood, cede al solo aiuto dei sonniferi e antidepressivi, come nel film verrà ampiamente messo in evidenza e lasciandoci immaginare la drammatica conseguenza.
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Giochi di luce e ombra si proiettano sullo schermo dando al film l’aspetto di un documentario, ma quelle luci e quelle ombre emergono anche dalla personalità della Monroe. Abbandonati gli abiti di Norma Jeane, la vita precedente e soprattutto la solitudine, Marilyn si fa conoscere al mondo intero che la ama, nonostante le critiche, più di quanto lei crede di meritare. Ma la sua vera identità, la vita passata e quella maledetta solitudine non si dissolveranno mai, nonostante i successi e gli amori. Malinconica, instabile e soprattutto impaurita dalla popolarità, la stella di Hollywood, cede al solo aiuto dei sonniferi e antidepressivi, come nel film verrà ampiamente messo in evidenza e lasciandoci immaginare la drammatica conseguenza. Nella storia raccontata, appare Marilyn che si affida alla sua maestra personale di recitazione, ritardataria, che vive sulle nuvole e con quell’aria superficiale ma sexy ma appare anche Norma Jeane, fragile, solitaria, in preda a crisi di panico e borderline. Se quel diario, a cui si ispira questa storia, fosse stato ritrovato prima, forse, oggi, avremmo un’opinione diversa di Marilyn Monroe…ma non è troppo tardi per cambiare idea.
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glenn_glee
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sabato 2 giugno 2012
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norma jeane baker più che marilyn monroe
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Marilyn è un film che cerca di dipingere prima di tutto le fargilità della più grande diva del cinema di tutti i tempi. Quello che però risulta essere più interessante è la riflessione che si può fare sulla celebrità in generale, in un mondo come il nostro dove la più grande ambizione è diventare famosi e dove si idolatrano le star come divinità. Quello che in sostanza si può ricavare dal film è che Marilyn non era solo quella bellissima donna, sexy e sicura di sè che scende dall'aereo nei primi momenti in cui appare, ma era anche la ragazza estremamente insicura che trova difficoltà a recitare in una semplice commedia e che va in crisi non appena il marito torna negli USA.
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Marilyn è un film che cerca di dipingere prima di tutto le fargilità della più grande diva del cinema di tutti i tempi. Quello che però risulta essere più interessante è la riflessione che si può fare sulla celebrità in generale, in un mondo come il nostro dove la più grande ambizione è diventare famosi e dove si idolatrano le star come divinità. Quello che in sostanza si può ricavare dal film è che Marilyn non era solo quella bellissima donna, sexy e sicura di sè che scende dall'aereo nei primi momenti in cui appare, ma era anche la ragazza estremamente insicura che trova difficoltà a recitare in una semplice commedia e che va in crisi non appena il marito torna negli USA. E mentre marilyn soffre, si riempie di pasticche per dormire, per svegliarsi, per tranquillizzarsi, per essere allegra(insomma per tutto), il mondo sembra non vedere altro che la sua bellezza, mentre lei mostra ogni secondo di più la sua umanità gli altri non fanno altro che idealizzarla ancora di più. Sì, perchè oramai le celebrità perdono tutta la loro umanità mortale, ma diventano una sorta di dei greci, con tutti i pregi e i difetti degli esseri umani, ma comunque perfetti, lontani, intoccabili, ma la realtà, il mondo vero non perdona nessuno, nemmeno l'amatissima marilyn, trattata come se fosse di vetro, come una statua su un piedistallo, che sente un costante bisogno della presenza fisica di persone che la amano. Conoscendo tutti i retroscena della vera marilyn sembra strano vedere tutte quelle persone che le chiedono l'autografo e che la guardano con occhi adoranti senza rendersi conto che è esattamente come loro. Da notare che il vero nome di marilyn, norma Jeane, non viene mai citato, nemmeno il marito miller la chiama così, per tutti lei è solo marilyn monroe, stupenda e inarrivabile, ma come ricorda olivier citando Shakepeare, siamo fatti di quella materia di cui sono fatti i sogni, e anche Marilyn/Norma non è stato altro che un fugace sogno ad occhi aperti.
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francesca meneghetti
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lunedì 11 giugno 2012
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e se al risveglio il fiore fosse tra le tue mani?
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“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.” Citare Shakespeare, e più precisamente una battuta di Prospero nella Tempesta (atto IV, scena I) può sembrare fuori luogo in un film su Marilyn. Ma potemmo aggiungere un altro carico senza essere fuori tema, citando il poeta Coleridge What if you slept: “E se nel sonno tu sognassi? E se nel tuo sogno, salissi al cielo e lì cogliessi un mirabile fiore? E se al tuo risveglio, quel fiore fosse fra le tue mani?”.
Un ragazzo fortunato, Colin Clark, realmente vissuto, ebbe la fortuna di cogliere un fiore, che si chiamava Marilyn Monroe.
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“Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita.” Citare Shakespeare, e più precisamente una battuta di Prospero nella Tempesta (atto IV, scena I) può sembrare fuori luogo in un film su Marilyn. Ma potemmo aggiungere un altro carico senza essere fuori tema, citando il poeta Coleridge What if you slept: “E se nel sonno tu sognassi? E se nel tuo sogno, salissi al cielo e lì cogliessi un mirabile fiore? E se al tuo risveglio, quel fiore fosse fra le tue mani?”.
Un ragazzo fortunato, Colin Clark, realmente vissuto, ebbe la fortuna di cogliere un fiore, che si chiamava Marilyn Monroe. Attenzione: non alludiamo al significato sessuale della metafora. Perché se ciò accadde – e l’ipotesi appare remota – nel film di Simon Curtis non compare.
Colin era un cinefilo (di ottima famiglia). Adorava il cinema e i divi. Gli capitò l’occasione di avvicinare la mitica Marilyn durante le riprese di uno dei più sfortunati tra i suoi film (“Il principe addormentato” o “Il principe e la ballerina”). Fu, naturalmente, un coup de foudre. Ma se qualcuno immagina una storia banale di passione e di sesso, è destinato a rimanere deluso. Marilyn era fragile, vittima di ansia di prestazione e di scarsa stima di sé: aveva bisogno di essere riconosciuta e amata come bambina insicura, privata dei suoi affetti familiari più profondi. Colin era giovane e sognatore. Assolutamente disinteressato, perché non erano i soldi che gli mancavano. Si riconobbero nell’innocenza e nell’esaltazione dell’infatuazione romantica. E romantico, alla fine, è il film, che trasporta Marilyn lontano dagli scenari hollywoodiani, per collocarla nei verdi paesaggi inglesi, o tra castelli ed edifici monumentali pieni di storia.
L’interpretazione di Michelle Williams, chiamata ad una prova superlativa, è stata eccezionale: di Marilyn restituisce tutto il fascino, le forme, le movenze, le grazie. Ha le phisique du role perfetto per interpretarne gli abiti attillati, il seno e i fianchi prorompenti, gli accappatoi bianchi e le vestaglie di raso. Ma anche Eddie Redmayne, che si immagina bene nel teatro shakespeariano, non scherza per intensità di espressione.
La regia, del resto, gioca molto con i primi e primissimi piani, e si avvale dell’interpretazione di due grandi attori come Judi Dench e l’istrionico Kenneth Branagh. La bellissima Emma Watson, l’Hermione di Harry Potter, interpreta la parte di Lucy, ragazza da sogno, che però impallidisce di fronte al fulgore di Marilyn.
Ottima la fotografia.
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andremovie
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mercoledì 13 giugno 2012
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ritratto malinconico di una stella luminosa
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L'impatto che Marilyn Monroe ha avuto sul mondo del cinema (e non solo), è probabilmente da considerarsi senza eguali: fin da subito la macchina da presa l'ha amata, esaltandone fisicità e bellezza, permettendole così di diventare la donna più desiderata al mondo. Essere conquistati dai suoi movimenti, dai suoi sguardi e ammiccamenti è inevitabile, così come lo è provare uno velo di malinconia e tristezza pensando a tutta la sua fragilità. Interpretare una figura così complessa e tormentata, entrata prepotentemente nell'immaginario collettivo, è una sfida a dir poco proibitiva per chiunque. Considerate le difficoltà, Michelle Williams fa un lavoro splendido, riuscendo a trasporre quel profondo senso di inquietudine e solitudine che non ha mai abbandonato l'attrice.
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L'impatto che Marilyn Monroe ha avuto sul mondo del cinema (e non solo), è probabilmente da considerarsi senza eguali: fin da subito la macchina da presa l'ha amata, esaltandone fisicità e bellezza, permettendole così di diventare la donna più desiderata al mondo. Essere conquistati dai suoi movimenti, dai suoi sguardi e ammiccamenti è inevitabile, così come lo è provare uno velo di malinconia e tristezza pensando a tutta la sua fragilità. Interpretare una figura così complessa e tormentata, entrata prepotentemente nell'immaginario collettivo, è una sfida a dir poco proibitiva per chiunque. Considerate le difficoltà, Michelle Williams fa un lavoro splendido, riuscendo a trasporre quel profondo senso di inquietudine e solitudine che non ha mai abbandonato l'attrice. Le insicurezze e gli eccessi di Marilyn sul lavoro, accompagnano i problemi nella vita privata e fanno quasi tenerezza. È proprio questo l'elemento a cui il pubblico si affeziona di più, guardando la protagonista attraverso gli occhi del giovane Colin e innamorandosi di lei insieme a lui. Il mondo di Marilyn è un mondo in cui si mescolano ad alta velocità realtà e finzione, la cui instabilità entra in conflitto con la fermezza di un Sir Laurence Olivier (interpretato da un Kenneth Branagh autoironico e impeccabile) sempre più frustrato e infastidito dai continui ritardi della diva sul set del suo film "Il Principe e la ballerina".
Simon Curtis dirige un film piacevole, dolce, e malinconico allo stesso tempo, impreziosito da un cast eccellente, che per una sera riesce a far rivivere non tanto la Marilyn sexy e glamour, bensì la ragazza che porta una maschera che sembra più grande di lei, e che, nonostante questo, riesce comunque a brillare luminosa su tutto e tutti.
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chiabrando
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lunedì 2 luglio 2012
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recalling a diva
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La commemorazione di una diva non è una facile impresa. Se il soggetto in questione è poi Marilyn Monroe, il tutto assume ancor più un aspetto erto e non privo di contraddizioni. Prima opera di sostanziale importanza per il regista inglese Simon Curtis, che diviso spesso fra cinema e tv propone un’effigie fragile e rarefatta dell’icona più celebre di tutti i tempi. La pellicola si basa infatti sui diari di Colin Clark, il giovane terzo assistente alla regia che nell’estate del 1956 affianca un “navigato” sir Laurence Oliver nelle riprese de “Il principe e la ballerina”. Ben presto però l’incauto ragazzo viene plagiato dalla figura dell’eccelsa Marilyn che lo risucchierà nel vortice esistenziale della sua controversa personalità.
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La commemorazione di una diva non è una facile impresa. Se il soggetto in questione è poi Marilyn Monroe, il tutto assume ancor più un aspetto erto e non privo di contraddizioni. Prima opera di sostanziale importanza per il regista inglese Simon Curtis, che diviso spesso fra cinema e tv propone un’effigie fragile e rarefatta dell’icona più celebre di tutti i tempi. La pellicola si basa infatti sui diari di Colin Clark, il giovane terzo assistente alla regia che nell’estate del 1956 affianca un “navigato” sir Laurence Oliver nelle riprese de “Il principe e la ballerina”. Ben presto però l’incauto ragazzo viene plagiato dalla figura dell’eccelsa Marilyn che lo risucchierà nel vortice esistenziale della sua controversa personalità. Sarà una settimana di intenso lavoro, durante la quale la signora Monroe vorrà sempre al suo fianco l’accorto Colin (con cui condividerà perfino lo stesso letto)a discapito di un’ onnipresente Paula Strasberg e di un irrequieto Laurence Oliver, i quali contribuiranno con i loro atteggiamenti a rendere l’attrice sempre più insicura e instabile. La prima con un fare ossequioso che snerva fino all’assurdo, l’ultimo con una condotta sfrontata e irrisoria. In realtà cercherà solo di rinnovare se stesso e la sua pubblica immagine attraverso lei e di colmare il suo immenso senso di inadeguatezza (sottolineando costantemente la mancanza di esperienza e di professionalità di Marilyn).
Un’opera pretenziosa che non soddisfa del tutto lo spettatore. La prima parte risulta lenta e passiva, la seconda si fa poetica con un’attenzione quasi psicoanalitica sui personaggi principali, ma che poco convince . L’arduo compito di interpretare la diva è toccato a Michelle Williams, un ruolo complesso ma discretamente riuscito. Quella che ci offre è una Monroe ritratta e prigioniera di se stessa, divisa tra sogno e realtà, una bambina repressa e “andata a male”, interdetta dall’uso sconsiderato di psicofarmaci, ma che sa anche “usare” una bellezza prorompente per volgere le informi carte della vita a proprio favore. Alla fine persuade più come Norma Jean Baker che come diva hollywoodiana. La musica (Conrad Pope) è impiegata in maniera eccesiva; armonica invece è la fotografia (Ben Smithard) che conferisce maggior sensualità alla figura della protagonista. Con una sceneggiatura meno scontata e una regia di maggiore abilità probabilmente il risultato sarebbe stato diverso. Un film comunque consigliato se non altro per uscire dai banali cliché che da sempre circuiscono la figura di Marilyn.
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tanus78
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mercoledì 24 ottobre 2012
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no infamia, no gloria
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Da vedere per la prova d'attrice di Michelle Williams e quella d'attore di Kenneth Brannagh. Non aggiunge nulla di fondamentale alla storia del cinema ma è ottimamente realizzato e permette di passare dignitosamente un paio d'ore apprendendo qualcosa in più su uno dei più longevi fenomeni della star system mondiale.
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angelo umana
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lunedì 4 giugno 2012
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m.m. icona, non persona
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Una diva di pillole e fragilità, ecco chi era Marilyn come appare nel film, immagine ottimamente resa - anche nelle crisi depressive - dalla protagonista Michelle Williams: una "ragazzina" indifesa di 30 anni, che ispira simpatia e tenerezza e che così giovane era arrivata al 3° marito, Arthur Miller, colui che avrebbe dovuto "frantumare le sue insicurezze". Eppure questi mariti "sembrano tutti adatti all'inizio...".
Marilyn si trova in Inghilterra nel '56, alla "corte" del severo regista Laurence Olivier, il quale "sognava di rinnovarsi attraverso di lei" e che confessa a Colin Clark (Eddie Redmayne) che dopo aver lavorato con quel talento naturale non serve fare il regista, tornerà a recitare.
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Una diva di pillole e fragilità, ecco chi era Marilyn come appare nel film, immagine ottimamente resa - anche nelle crisi depressive - dalla protagonista Michelle Williams: una "ragazzina" indifesa di 30 anni, che ispira simpatia e tenerezza e che così giovane era arrivata al 3° marito, Arthur Miller, colui che avrebbe dovuto "frantumare le sue insicurezze". Eppure questi mariti "sembrano tutti adatti all'inizio...".
Marilyn si trova in Inghilterra nel '56, alla "corte" del severo regista Laurence Olivier, il quale "sognava di rinnovarsi attraverso di lei" e che confessa a Colin Clark (Eddie Redmayne) che dopo aver lavorato con quel talento naturale non serve fare il regista, tornerà a recitare. Colin è colui che ha scritto le sue memorie in "My week with Marilyn" (titolo originale), un ragazzo 23enne che caparbiamente si è fatto assumere come 3° aiuto regista, o come "galoppino" confessa a quella che per lui è ancora la "signora Monroe", sorprendentemente capace di entrare in sintonia con tutti nel set: con la costumista Lucy (Emma Watson) di cui s'innamora, con il regista "Larrie" (Kenneth Branagh) e con sua moglie Vivienne Leigh (Julia Ormond), con l'attrice anziana del film che con Marilyn si stà girando, Sybil (Judi Dench) e con la grande show-girl che in quella settimana non potrà più fare a meno della compagnia del ragazzo.
Lui è quello che fa sentire la fragilissima stella una persona vera, non Hollywood dove "c'è tanta gente anziana", non tutti quelli che vogliono averla o lavorare con lei per brillare di luce riflessa, coloro che vedono solo il mito - "non vedono che Marilyn Monroe e davanti alla persona si allontanano", gli confessa - con lui vuole rivivere il primo appuntamento mai più rivissuto dai suoi 13 anni, con lui parla come una ragazza normale, dei bambini che fortemente sembra desiderare e dei genitori che le sono mancati (la madre entrò presto in manicomio), con il ragazzo vuole passeggiare nella campagna inglese, fare delle cose da semplice turista, come vedere un college o il castello di Windsor.
Colin vorrebbe proteggerla dal mondo scintillante ma falso che ha attorno, ma questa oasi felice e vera per Marilyn dura solo una settimana e dopo lei per quegli inglesi che la videro non è altro che un'apparizione, svanita nelle fauci del business o del mito. Una creatura anche un pò inverosimile da come nel film è rappresentata, così eccitata e trasgressiva, persino sfrontata quando davanti ha una folla di pubblico, quale che sia, e con così poca fiducia in sé stessa quando è sola.
E' difficile concepire come persone così dotate nell'arte siano al tempo stesso così deboli nel mondo, prede di droga o psicofarmaci. Una malvagia dietrologia fa pensare che M.M. possa essere stata eliminata, magari per conto dei fratelli Kennedy che la frequentarono e ne godettero, a lei il mito e l'eterna giovinezza, a loro la rispettabilità e la coltivazione del mito che si autoalimenta. L'ultimo servizio fotografico 6 settimane prima della morte la mostra come un meraviglioso "animale" compiaciuto della sua bellezza e proteso alla vita. Sia consentito un accostamento con due film recenti: uno è "Bobby Fischer against the world", il divo scacchista, che riferendosi a un complimento ricevuto dal suo avversario Spassky dice "Nulla è più curativo di un gesto umano"; l'altro è
"Habemus Papam", dove il "divo" papa prescelto mostra un gran bisogno di naturalezza, di umanità, piuttosto che della scena.
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