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S. Darko, la sorella di Donnie

Breve indagine sulle ragioni di un sequel che pare non averne.
di Marianna Cappi

La fenice che non nasce dalle ceneri
Jake Gyllenhaal (44 anni) 19 dicembre 1980, Los Angeles (California - USA) - Sagittario. Interpreta Donnie Darko nel film di Richard Kelly Donnie Darko.

mercoledì 19 agosto 2009 - Approfondimenti

La fenice che non nasce dalle ceneri
La pagina di MySpace di Richard Kelly è ripetitiva. Non perché ci abbia messo del suo, lui che di reiterazioni ne sa qualcosa, ma perché gli amici l'hanno invasa di "menomale" e "grazie" e "lo sapevo": che non c'entri nulla con il sequel, che non l'hai fatto, che non l'avresti mai fatto.
Perché c'era un'idea di non ritorno in Donnie Darko che il film di Chris Fisher tradisce con la sua sola esistenza, non importa che poi scelga di restare fedele alle premesse filosofiche o di scostarsi, provare ad essere altro, inscrivere in sé Donnie solo come ricordo o, peggio, modello.
"Credo che il senso di tutto sia nell'idea che, per fare breccia in un certo tipo di cultura americana fortemente repressiva, l'unica strada sia la distruzione", spiegava anni fa Kelly, in occasione dell'uscita italiana. Tra il film di un ragazzo che esce dalla scuola di cinema e si mette a scrivere qualcosa di ambizioso, personale e nostalgico sul tramonto degli anni Ottanta, per mettere la propria parola fine ad un periodo (in Donnie Darko, l'ingresso nell'età adulta chiede il sacrificio ultimo dell'adolescente) niente meno che con l'immagine del motore di un jet che si abbatte rovinosamente sulla casa di famiglia, e il film di una grande produzione, che ai personaggi di Kelly si ispira più per posa che per amor di verità, preferendo invece appoggiarsi alle sicure stampelle del genere (e sfruttando la compresenza della protagonista, Daveigh Chase, nel primo film e nel cult horror The Ring), la distanza si misura senza bisogno di commenti e forse nemmeno di giudizi di valore.

La distanza dal primo film
Da una parte un ventisettenne con la testa piena delle 12 scimmie di Terry Gilliam e l'ansia di Peter Weir di andare, con il mezzo apparentemente contraddittorio del cinema, oltre il fenomeno, usando giovani interpreti per comunicare grandi idee; dall'altra un regista con dieci anni in più, un background televisivo di rispetto, una buona sensibilità musicale, una grande occasione, ma non certo quella di fare il "suo" film. Ha accettato, a sua detta, solo alla condizione di avere Daveigh Chase e di poter dare continuità al progetto "Darko" spostando la prospettiva dal maschile al femminile. Tuttavia l'alienazione di Samantha manca irrimediabilmente di spessore e di slancio, non solo perché si limita ad un vagabondare in déshabillé per i marciapiedi di un luogo a lei sconosciuto e dunque estraneo per forza e non per natura, ma anche perché passa per inspiegata osmosi agli altri personaggi, facendo perdere centralità al suo personaggio e precipitando tutto in un'ovattata apatia, che poco ha a che vedere con lo sguardo allucinato del fratello maggiore cinematografico.

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