catia p.
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lunedì 1 febbraio 2010
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per non dimenticare
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Questo film, particolarmente bello, parla della Storia, quella che pochi di noi conoscono davvero, mentre i più ne hanno a malapena un vago ricordo o ne hanno solo sentito parlare.
La Storia di un'Italia in cui affondiamo le radici senza neanche saperlo.
La Storia che non si può cambiare.
La Storia che si può e si deve raccontare, ma su cui piangere sarà inutile, perché la Storia quella è e quella rimane.
Attoniti spettatori la staremo a guardare, in buona parte attraverso gli occhi di una bambina (straordinaria e meravigliosa l'esordiente Greta Zuccheri Montanari) che per scelta resta muta di fronte alle tragedie della vita.
Ce l'hanno insegnato i nostri nonni (o bisnonni), per chi ha avuto la fortuna di starli a sentire, che stare al mondo è anche fatica e dolore, ma non serve sprecarci sopra tante parole, serve solo continuare a vivere.
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Questo film, particolarmente bello, parla della Storia, quella che pochi di noi conoscono davvero, mentre i più ne hanno a malapena un vago ricordo o ne hanno solo sentito parlare.
La Storia di un'Italia in cui affondiamo le radici senza neanche saperlo.
La Storia che non si può cambiare.
La Storia che si può e si deve raccontare, ma su cui piangere sarà inutile, perché la Storia quella è e quella rimane.
Attoniti spettatori la staremo a guardare, in buona parte attraverso gli occhi di una bambina (straordinaria e meravigliosa l'esordiente Greta Zuccheri Montanari) che per scelta resta muta di fronte alle tragedie della vita.
Ce l'hanno insegnato i nostri nonni (o bisnonni), per chi ha avuto la fortuna di starli a sentire, che stare al mondo è anche fatica e dolore, ma non serve sprecarci sopra tante parole, serve solo continuare a vivere.
E' con questo spirito, asciutto e parsimonioso, senza gli sprechi tipici di certo cinema melodrammatico, che Giorgio Diritti, poeta del grande schermo, ci racconta microcosmo e macrocosmo della campagna emiliana del 1944 alle soglie di un eccidio realmente avvenuto.
Il microcosmo è quello inventato, ma ricostruito minuziosamente e fedelmente nei dettagli quotidiani, di una famiglia che fa da filo conduttore. Prima ci ricorda com'eravamo e da dove veniamo, perché se siamo vivi lo dobbiamo alla terra e ai contadini che l'hanno lavorata e per essa sono morti.
Poi ci traghetta verso una tragedia annunciata, frutto di un'infausta stagione, e quella non è per niente inventata: la stagione della guerra. Se l'uomo decide di farla, non importa da che parte starà perché diventerà per forza ingiusto, spietato e crudele.
Spietato e crudele è anche lo stile che sceglie il regista nella presentazione ultima dei fatti: la sua innata maestria - perfetti movimenti di macchina ad altezza bambino, perfetta e nitida fotografia, perfetta resa degli attori e della presa diretta del dialetto locale...- è senza compiacimenti, ma è una perfezione che non ci consola.
Come per i 770 morti della strage di Monte Sole non vi è stata possibilità di appello, così pure lo spettatore non troverà un attimo di tregua nel montaggio serrato che non vuole regalarci dissolvenze romantiche nel drammatico susseguirsi degli eventi. Spesso invece si spezza, rapido e brusco, come rapidamente e bruscamente si spezzano le vite di quegli innocenti.
L'Uomo Che Verrà è una stupenda pellicola che all'emozione tipica del buon cinema unisce il valore di un reperto storico: la sua visione ci arricchisce. Un'occasione da non perdere.
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il sora
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giovedì 28 gennaio 2010
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diritti d'autore
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“Volevo far fare agli spettatori un viaggio nel 1944”. Questo ha detto Giorgio Diritti alla presentazione del suo “L’uomo che verrà”. E questo ha fatto. Possiamo dividere il film in due parti: la prima narra la guerra dalla parte di alcuni contadini bolognesi, la seconda mette gli stessi personaggi al centro della strage di Marzabotto. Fattor comune è, per l’appunto, la ricostruzione storica ricchissima di particolari anche minimi perfezionata dal dialetto bolognese che obbliga ai sottotitoli per tutta la durata del lungometraggio ma che non infastidisce, anzi è un po’ come la ciliegina sulla torta. Con queste premessa l’opera si presenta rischiosissima, potenzialmente noiosa e con il pericolo di cadere nella retorica o nella banalità.
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“Volevo far fare agli spettatori un viaggio nel 1944”. Questo ha detto Giorgio Diritti alla presentazione del suo “L’uomo che verrà”. E questo ha fatto. Possiamo dividere il film in due parti: la prima narra la guerra dalla parte di alcuni contadini bolognesi, la seconda mette gli stessi personaggi al centro della strage di Marzabotto. Fattor comune è, per l’appunto, la ricostruzione storica ricchissima di particolari anche minimi perfezionata dal dialetto bolognese che obbliga ai sottotitoli per tutta la durata del lungometraggio ma che non infastidisce, anzi è un po’ come la ciliegina sulla torta. Con queste premessa l’opera si presenta rischiosissima, potenzialmente noiosa e con il pericolo di cadere nella retorica o nella banalità. Ma il regista riconferma la sua bravura dopo il caso cinematografico del precedente “Il vento fa il suo giro” e non cade in nessuna insidia. Anzi, il risultato è un eccellente affresco storico con riflessioni per nulla banali .Ma procediamo con calma. Si presenta molto coraggiosa sin dall’inizio la scelta di prendere come punto di vista un gruppo di contadini (tra l’altro quasi tutti sono davvero tali ed imparentati con i veri protagonisti della strage). Di solito siamo stati abituati a vivere la guerra al cinema con bombardamenti cittadini, o grandi battaglie militari. Invece Diritti pone l’accento su quella parte di popolazione che durante i conflitti non è solita vedere molti soldati, alleati o nemici, e quando li incontra non li priva di pane e acqua qualsiasi sia il colore della loro divisa. E questo è un altro punto importante su cui il regista vuole farci riflettere: è inutile vedere una guerra come un confronto tra buoni e cattivi nessuno appartiene completamente ad uno schieramento né ad una altro. Tra i contadini analfabeti, lo sguardo della macchina da presa si sofferma in particolare su una bambina di otto anni che non parla più da quando si è vista morire il suo fratellino tra le braccia ed attraverso la quale la stupidità e l’assurdità delle azioni belliche sono messe ancor più in risalto. All’inizio il film ci coglie un po’ spaesati appunto per l’insolita ambientazione, e per tutta la prima parte Diritti ci fa gradualmente affezionare a persone ma soprattutto ai luoghi della vicenda e quando nell’ultima scena ripercorriamo le scale ed entriamo nelle stanze in cui abbiamo “alloggiato” per più di un’ora e mezza e le vediamo (in realtà è la seconda volta che ci viene proposta la medesima inquadratura perché il film si apre esattamente così senza però dirci che quelli saranno i luoghi della narrazione) diroccate, disordinate, un po’ insanguinate, il cuore fa un sussulto e l’emozione, quasi come fosse quella di un lutto familiare, prevale. Insomma, Diritti fa grande un cinema che si nutre di inquadrature perfettamente bilanciate, tantissime serie riflessioni e mai di retorica. L’unico interrogativo che rimane è la scelta del titolo, l’uomo che verrà è accostato al neonato fratellino della piccola protagonista? Oppure l’uomo che verrà dovrà tenere sempre conto dei fatti commessi dall’uomo che fu ed il regista si propone come testimone di tali vicende? Non è fondamentale pretendere una risposta anche perché, usciti dalla sala con il cuore a mille e gli occhi appagati, Diritti ci lascia molte e più importanti questioni su cui riflettere. Speriamo che abbia più risonanza del film che lo precede . Lo meriterebbe.
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filmicus
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lunedì 15 febbraio 2010
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signore,tu hai visto,non tacere (sal 34,22)
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L'uomo che verrà è un'opera di grande valore.La padronanza della tecnica e del linguaggio cinemetografico,anche con capacità innovative, pongono Diritti nel novero dei migliori registi italiani. Con la forza che può scaturire solo da un discorso autentico ripropone alla nostra memoria ed alla nostra coscienza uno dei più tragici fatti della seconda guerra mondiale sul suolo italiano: l'eccidio di Monte Sole,che tutti conosciamo con il nome di Marzabotto.
La riproposizione avviene con una grande intuizione: a raccontare sono gli occhi e non le parole della giovanissima testimone,bimba di sette anni,che da tempo ha perso la capacità di parlare a causa della morte,sotto i suoi occhi, del fratellino.
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L'uomo che verrà è un'opera di grande valore.La padronanza della tecnica e del linguaggio cinemetografico,anche con capacità innovative, pongono Diritti nel novero dei migliori registi italiani. Con la forza che può scaturire solo da un discorso autentico ripropone alla nostra memoria ed alla nostra coscienza uno dei più tragici fatti della seconda guerra mondiale sul suolo italiano: l'eccidio di Monte Sole,che tutti conosciamo con il nome di Marzabotto.
La riproposizione avviene con una grande intuizione: a raccontare sono gli occhi e non le parole della giovanissima testimone,bimba di sette anni,che da tempo ha perso la capacità di parlare a causa della morte,sotto i suoi occhi, del fratellino.Le atrocità della guerra,per una paradossale vicenda dell'animo umano, tolgono forza e suono alle parole e riconferiscono queste facoltà al silenzio ed all'immagine.Perchè il silenzio? Qui l'opera di Diritti va più nel profondo e ricolloca la vicenda di quei casolari dell'appennino tosco-emiliano (stragi analoghe a quella di Marzabotto vi erano già state,poco prima, in Toscana) non in un generico scontro tra nemici, fra uomini di schieramenti opposti in armi, ma nella contrapposizione,assolutamente impari, fra simboli,divise ed armi ed una collettività contadina che non combatte contro uomini ma contro la povertà, le stagioni avverse, il raccolto insufficiente,contro la fatica del vivere quotidiano.Vi è anche lo scontro, e questo va sottolineato con forza, con una comunita impregnata di fede cristiana. I sacerdoti uccisi sull'altare, i bimbi offerti in primo piano per la mitragliatrice,gli stessi che fra pochi giorni sarebbero stati in prima fila per la cerimonia della Prima comunione,gli innocenti radunati nella chiesa nella ingenua speranza che potesse costituire una protezione pongono a tutti noi una domanda che inquieta. Perchè quella croce di una canonica di campagna,che si staglia nel cielo, non riesce a fermare,come pure riuscì in passato, questi Attila del XX secolo? Che cosa si è prodotto nella coscienza degli uomini contemporanei che ha portato alcuni a negare agli altri non solo la vita ma la dignità di uomini sì da ridurli a vittime sacrificali, cioè a quegli animali che si sacrificavano sugli altari pagani? Così l'opera di Diritti ci costringe ancora a riflettere su quel che è stato il nazimo.Invita a non dimenticare e vuole rendere testimonianza in modo corretto di quei fatti: non per riaprire odi e ferite ma nella convinzione che solo il rispetto della verità storica può fondare ed edificare stabilmente la pace di una comunità.
La prima immagine del film è un'edicola campestre con la raffigurazione della Madonna del parto di Pier della Francesca.Qui vi è una indubbia, oggettiva ispirazione religiosa che non può essere tralasciata. L'uomo che verrà è Cristo ed è pure il neonato che il regista, come segno di speranza fa sopravvivere, ma che nella storia reale e stato trucidato alla "età" di quattordici giorni. Così come Cristo che si è fatto uomo "fino alla morte".
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ucciolibero
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sabato 13 febbraio 2010
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la vita contro la stupidità della guerra.
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Il film è fatto molto bene, ben strutturato, con attori "autentici" ma con
facce ed espressioni "tipicamente contadine", che danno all'opera un tratto di
"veridicità" talmente forte da sfiorare, a tratti, il documentario storico.
La protagonista è una bambina con un carattere deciso e ribelle che, a causa
di uno shock, ha perso l'uso della voce, saranno perciò i suoi occhi e le sue
gambe magre a condurre lo spettatore attraverso il film, e così seguiremo il
dialetto (sottotitolato) degli altri protagonisti, ma anche il parlato tedesco
senza traduzione, e ci immergeremo, pian piano, nel suo mondo (muto, appunto,
come siamo noi al cinema).
Dritti rappresenta la vicenda in modo asciutto, senza cedere alla retorica
della guerra ma neppure a quella del mondo contadino, il mondo che il regista
ci mostra è duro, senza sconti, senza vincitori, e la storia che ci racconta
non vuole essere una storia "epica" ma una storia di guerra.
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Il film è fatto molto bene, ben strutturato, con attori "autentici" ma con
facce ed espressioni "tipicamente contadine", che danno all'opera un tratto di
"veridicità" talmente forte da sfiorare, a tratti, il documentario storico.
La protagonista è una bambina con un carattere deciso e ribelle che, a causa
di uno shock, ha perso l'uso della voce, saranno perciò i suoi occhi e le sue
gambe magre a condurre lo spettatore attraverso il film, e così seguiremo il
dialetto (sottotitolato) degli altri protagonisti, ma anche il parlato tedesco
senza traduzione, e ci immergeremo, pian piano, nel suo mondo (muto, appunto,
come siamo noi al cinema).
Dritti rappresenta la vicenda in modo asciutto, senza cedere alla retorica
della guerra ma neppure a quella del mondo contadino, il mondo che il regista
ci mostra è duro, senza sconti, senza vincitori, e la storia che ci racconta
non vuole essere una storia "epica" ma una storia di guerra.
L'occupazione nazista non è mai angosciante (anche se è sempre presente e
violenta), i partigiani non sono gli eroi buoni senza macchia e senza paura, e
gli accadimenti che si susseguono non hanno un legame definito, cioè non sono
legati necessariamente da un rapporto di causa-effetto.
Dritti prende atto della situazione quasi senza prendere posizione, quasi
senza parteggiare, (di qui alcune aspre critiche) mostrando solo sgomento e
rabbia per la violenza della guerra e la stupidità degli uomini
L'eccidio di Marzabotto viene raccontato senza enfasi, ma senza risparmiare
nulla allo spettatore, e i morti (tutti i morti, anche quelli tedeschi) vengono
vissuti come una ferita che non si rimargina.
Spetterà alla piccola Martina il compito di condurci fuori dalla guerra e
dalle cattiverie degli uomini, sarà lei a salvare l'uomo che verrà e, in
definitiva, a salvare tutti noi.
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francesca meneghetti
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domenica 21 febbraio 2010
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la streghetta martina contro la guerra
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Si è parlato di neo-neo realismo. Forse è vero che sia nel cinema italiano sia nella letteratura sta emergendo un gruppo di autori che individuano il senso della loro missione nella riflessione sulla realtà. In tempi dominati dal bisogno di un eterno carnevale, di bellezza fittizia o di forti emozioni, attraverso effetti speciali e situazioni estreme, è una boccata d’aria pura la scelta dell’autenticità. E la storia, fittissimo repertorio di situazioni tragiche ed estreme, specie nei momenti di guerra, offre molti spunti per questo (come sapeva il vecchio Manzoni).
Giorgio Diritti è su questa linea e gli fa onore l’impegno civile che trasferisce nel cinema, specie in tempi in cui le tendenze revisioniste tendono a cancellare il passato.
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Si è parlato di neo-neo realismo. Forse è vero che sia nel cinema italiano sia nella letteratura sta emergendo un gruppo di autori che individuano il senso della loro missione nella riflessione sulla realtà. In tempi dominati dal bisogno di un eterno carnevale, di bellezza fittizia o di forti emozioni, attraverso effetti speciali e situazioni estreme, è una boccata d’aria pura la scelta dell’autenticità. E la storia, fittissimo repertorio di situazioni tragiche ed estreme, specie nei momenti di guerra, offre molti spunti per questo (come sapeva il vecchio Manzoni).
Giorgio Diritti è su questa linea e gli fa onore l’impegno civile che trasferisce nel cinema, specie in tempi in cui le tendenze revisioniste tendono a cancellare il passato. Ha voluto raccontare uno degli episodi più brutali della seconda guerra: l’eccidio di Monte Sole (Marzabotto). Scelta molto impegnativa. Comporta il rischio di essere prevedibili nella narrazione della brutalità, o di imitare strategie narrative già collaudate in passato. Il regista si rivela un ottimo allievo: non solo di Olmi e dei fratelli Taviani (con La notte di San Lorenzo), come è stato detto, ma anche di Bertolucci, con il suo Novecento, e di Rossellini con Roma Città Aperta (e alle Fosse Ardeatine). Ne rinnova però il linguaggio, con inquadrature originali, a volte magistrali, un’inquietante fotografia dai toni freddi che rende le atmosfere crepuscolari, e un ottimo sonoro, così da aggiungere una cifra personale alla tradizione.
Quanto all’idea di raccontare la vicenda da un punto di vista infantile, non è una novità assoluta, nemmeno per il cinema (v. i fratelli Taviani): anche Italo Calvino, nel Sentiero dei nidi di ragno si cala nel punto di vista di Pin, che scruta la guerra con sguardo bambino. Ma qui, e la scelta si è rivelata felicissima, si tratta di una bambina colpita da diverse forme di violenza: quella insita in una guerra totale, come è stato il secondo conflitto mondiale, che si accanisce per la prima volta contro inermi civili; ma anche quella dei maschi, che la esercitano con adescamenti sessuali, se adulti. Se coetanei, giocano ai soldati (terribile la scena della finta fucilazione delle bambine) o riproducono ataviche forme di aggressività verso “le streghe” di sempre. E Martina (Greta nella realtà) è una bellissima e selvaggia streghetta, muta come Lisa, la protagonista della favola di Andersen, costretta a tessere tuniche di ortiche per liberare i fratelli, tramutati in cigni, dall’incantesimo. Ma, in quanto donna, è anche custode della vita: sarà lei, con grande istinto di sopravvivenza, a salvare l’uomo che verrà. Per ora è solo un neonato che ha bisogno di una ninna nanna: e Martina, sapendolo, scioglierà per lui il suo mutismo.
Questa storia è bellissima. Ma il film ha, tra tanti meriti, un difetto di focalizzazione: non si poteva certo isolare la vicenda della bambina da quella della sua famiglia e dal suo ambiente. Ma forse la cura antropologica con cui è ricostruito tutto il mondo contadino di Monte Sole poteva entrare in un altro film: qui si poteva e forse di doveva alleggerire la materia per far risaltare la favola bella di Martina. Senza per ciò compromettere l’impegno civile e l’autenticità.
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m. cristina lucchetta
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sabato 16 ottobre 2010
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l'uomocheverrà e che già è nel sempre della storia
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L'uomo che verrà, Gran Premio della giuria all'ultimo festival di Roma, vince il David di Donatello come miglior film. Giorgio Diritti ci regala ancora una volta un piccolo capolavoro dove poesia e Storia si fondono senza retorica. La vita quotidiana di una piccola comunità contadina raccontata attraverso gli occhi di una bambina che conosce l'orrore della guerra, che rinuncia a parlare quasi in segno di resa alla morte, ma riprende a cantare in ossequio alla vita "che verrà" e alla sua attesa di futuro, alla sua promessa di speranza. Volti antichi scolpiti dal tempo. Parole misurate nella lingua parlata di ogni giorno. Sentimenti offerti alla macchina da presa nella bellezza di un pudore ormai dimenticato.
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L'uomo che verrà, Gran Premio della giuria all'ultimo festival di Roma, vince il David di Donatello come miglior film. Giorgio Diritti ci regala ancora una volta un piccolo capolavoro dove poesia e Storia si fondono senza retorica. La vita quotidiana di una piccola comunità contadina raccontata attraverso gli occhi di una bambina che conosce l'orrore della guerra, che rinuncia a parlare quasi in segno di resa alla morte, ma riprende a cantare in ossequio alla vita "che verrà" e alla sua attesa di futuro, alla sua promessa di speranza. Volti antichi scolpiti dal tempo. Parole misurate nella lingua parlata di ogni giorno. Sentimenti offerti alla macchina da presa nella bellezza di un pudore ormai dimenticato. L' assurdità smisurata del Male raccontata come in una favola che sottende l'"in-credibile" e l'attesa di una fine buona e lieta. Una sceneggiatura intelligente e misurata che riesce a descrivere in maniera lirica, quasi pittorica gli "ossimori" dell'esistenza e della Storia. Un film pacificante come la "grazia " nascosta negli occhi di una bambina avvolta in un velo da sposa, inteso come una preghiera pronunciata alla fine della sera, al cadere delle bombe. Un film dal sapore antico come la civiltà contadina che la mdp affresca con una forza e una limpidezza tale da abolire la distanza temporale e restituire allo spettatore la prossimità storica. Ci sembra di abitarla quella natura che si offre allo sguardo incontaminata, ancora vergine, e quelle case di pietra, quelle stanze sobrie e spoglie eppure ricolme di rispetto, del pudore di relazioni sacre. Ci sembra di sentirlo il calore di quell’umanità forse oggi a noi sconosciuta che sa rendere onore al ventre gravido di una donna perché contiene il mondo. E siamo gli occhi di un vecchio immobile nel suo giaciglio che osserva l’andare delle stagioni e incontra uccelli e boschi attraverso i vetri di una finestra e le sue nebbie. Siamo lo sguardo e l’incanto, il silenzio-parola di una bambina che osserva il mondo e la sua guerra. Diritti ci restituisce l’infanzia dello sguardo, ci rende contemporanei di un mondo di cui forse serbiamo nostalgia con una intensità senza uguali. Il suo linguaggio filmico penetra il reale e filma l’invisibile. L’invisibile disperazione che seppellisce i morti e i Santi, l’ Assente ; l’invisibile speranza di chi sembra dire che Dio c’è, c’è ancora, non ha avuto paura delle bombe: è nel canto di una ninna nanna e una bimba lo stringe alle sue braccia.
Un film limpido e poetico “l’uomo che verrà”,onesto, come il nostro Cinema non ricordava da anni.Una visione irrinunciabile
M. Cristina Lucchetta
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domenico a
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martedì 9 febbraio 2010
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l'orrore visto con gli occhi di una bambina
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Sulla scia del miglior Olmi, del migliore dei film dei fratelli Taviani ed è un film che meriterebbe la corsa agli Oscar. l film ci racconta la guerra, l’orrore di un esercito occupante (in questo caso nazista), ma anche la fame contadina, la paura dei bimbi e degli adulti per una violenza incomprensibile e incontrollata; ci racconta di facce pulite e giovani che prive di coscienza e di moralità si possono macchiare di crimini innominabili con la stessa leggerezza di un branco sbandato ma in divisa. Questo modo di raccontare un “piccolo” fatto di cronaca di guerra lo hanno provato a fare in tanti, in pochi riuscendoci veramente, i fratelli Taviani e Montaldo in Italia e Malick, Fuller, Eastwood negli Stati Uniti, Kon Ichikawa e Tanovic per citarne altri.
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Sulla scia del miglior Olmi, del migliore dei film dei fratelli Taviani ed è un film che meriterebbe la corsa agli Oscar. l film ci racconta la guerra, l’orrore di un esercito occupante (in questo caso nazista), ma anche la fame contadina, la paura dei bimbi e degli adulti per una violenza incomprensibile e incontrollata; ci racconta di facce pulite e giovani che prive di coscienza e di moralità si possono macchiare di crimini innominabili con la stessa leggerezza di un branco sbandato ma in divisa. Questo modo di raccontare un “piccolo” fatto di cronaca di guerra lo hanno provato a fare in tanti, in pochi riuscendoci veramente, i fratelli Taviani e Montaldo in Italia e Malick, Fuller, Eastwood negli Stati Uniti, Kon Ichikawa e Tanovic per citarne altri. Adesso lo ha fatto anche Diritti portando al termine un gran bel film realizzato con un budget “ridicolo” di soli tre milioni di euro (pensate ai trenta di Tornatore o ai trecento di qualche film statunitense).
Diritti ci racconta un anno di vita a Marzabotto, paesino sugli Appennini emiliani e il rastrellamento e l’eccidio che avverrà il 5 Ottobre del 1944. Prima che succeda l’eccidio (splendida la scelta di non indugiare sulla strage, ma di descriverla in modo delicato e privo di gran guignol) c’è l'interno di una comunità agreste dell'Appennino: ci sono la descrizioni del mondo contadino, dal vestirsi al mangiare, dai sogni delle ragazze per l’amore, alle donne anziane che le tengono sotto briglia, dai pretini delicati e gentili ai bambini che stanno a scuola, dai partigiani che vanno e vengono e che compiono azioni militari lontane dal paese al passaggio sempre inquietante delle truppe naziste che a volte prendono solo cibo ed altre minacciano anche stupri. Il tutto è visto attraverso gli occhi di Martina, una bambina di otto anni, incapace di parlare dopo la morte del fratellino appena nato e in attesa che la madre partorisca di nuovo (l’uomo che verrà). La vicenda è ambientata nel 1943 alle pendici del Monte Sole, qui i contadini lavorano intere giornate, tentando in ogni modo di sopravvivere al freddo e alla fame. A questo si aggiungono i rastrellamenti e la richiesta d’aiuti dei partigiani che hanno bisogno di cibo e di assistenza. La famiglia di Martina sopravvive come può sperando che tutto finisca al più presto.
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dorak
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domenica 27 giugno 2010
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il mondo dei vinti
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Ho visto il film come si riceve una sorpresa. Mi sono emozionata dal principio alla fine, e non solo per gli avvenimenti evocati: la narrazione del "mondo dei "vinti",- attraverso la ricostruzione accurata e filologica degli ambienti, dei gesti, delle cose, e financo delle parole, pronunciate con gli accenti del dialetto ( e grazie alla magnifica sottotitolazione)- mi ha suscitato una profonda commozione. Il tempo "della storia", che rende ancor più faticoso il vivere facendo i contadini come si faceva allora, è narrato come una crudele interferenza al procedere della vita e delle stagioni nella campagna. Mai una nota retorica o agiografica.
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Ho visto il film come si riceve una sorpresa. Mi sono emozionata dal principio alla fine, e non solo per gli avvenimenti evocati: la narrazione del "mondo dei "vinti",- attraverso la ricostruzione accurata e filologica degli ambienti, dei gesti, delle cose, e financo delle parole, pronunciate con gli accenti del dialetto ( e grazie alla magnifica sottotitolazione)- mi ha suscitato una profonda commozione. Il tempo "della storia", che rende ancor più faticoso il vivere facendo i contadini come si faceva allora, è narrato come una crudele interferenza al procedere della vita e delle stagioni nella campagna. Mai una nota retorica o agiografica. La naturalezza con cui i più si schierano dalla parte dei giusti è quella di chi si difende dalla secolare ingiustizia subita dai poveri della terra.
La cattiveria dei soldati tedeschi è terribile, gratuita. Ma non è mostrata direttamente, è suggerita, e non per questo meno drammatica.
Nuto Revelli ha lasciato una serie di interviste in presa diretta di contadini e montanari di altre zone del nostro paese, e ha intitolato "Il mondo dei vinti" quello di storie di guerre, di lavoro, di emigrazione del mondo contadino: ecco, questo film mi ha fatto venire in mente che le "tradizioni" di cui molti si sciacquano la bocca, resistono sì, in certe pagine, in certi film.
Peccato che gli attori siano così belli: troppo!!
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micetto
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domenica 9 gennaio 2011
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un gran pugno nello stomaco!
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Dopo "il vento fa il suo giro", ero curioso di vedere se Diritti era in grado di riconfermarsi. La conferma l'ho avuta, eccome. E' un film che coglie nel segno, crudo, acre, violento, come sono i nazisti e le belve inferocite sanno essere. Emozionante come pochi, con una fotografia e una musica stupende, ti fa vedere la guerra con gli occhi di una bimba, divenuta muta dopo la morte del primo fratellino. Il film gira latente attorno all'attesa del secondo, al "l'UOMO che verrà", tratteggiando con toni tenui,a volte, e molto accesi, altre, i vari momenti di vita di una fattoria, di un paese, sotto la costante minaccia dei tedeschi, ma "protetto" dai partigiani.
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Dopo "il vento fa il suo giro", ero curioso di vedere se Diritti era in grado di riconfermarsi. La conferma l'ho avuta, eccome. E' un film che coglie nel segno, crudo, acre, violento, come sono i nazisti e le belve inferocite sanno essere. Emozionante come pochi, con una fotografia e una musica stupende, ti fa vedere la guerra con gli occhi di una bimba, divenuta muta dopo la morte del primo fratellino. Il film gira latente attorno all'attesa del secondo, al "l'UOMO che verrà", tratteggiando con toni tenui,a volte, e molto accesi, altre, i vari momenti di vita di una fattoria, di un paese, sotto la costante minaccia dei tedeschi, ma "protetto" dai partigiani. Tragico, ma positivo.
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il cinefilo
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sabato 26 marzo 2011
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l'uomo che verrà
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Il titolo del film riassume in sè l'immagine-simbolo che,indirettamente,viene posta al centro della storia:il nascituro che una delle donne porta nel grembo e che viene atteso con eccitazione anche(se non addirittura più)dalla piccola Martina:innocente protagonista di una realtà così cruda e feroce da esserle estranea fino alla fine.
Il regista Giorgio Diritti pone la bambina e il neonato al centro dell'orrendo dramma dell'eccidio di Monte Sole come rappresentazione dell'innocenza e della fanciullezza(ma c'è da supporre che un interpretazione circa l'importanza dello"sguardo"di Martina sulla violenza sia molto più difficile di quel che sembra)contrapposti alla durezza della guerra.
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Il titolo del film riassume in sè l'immagine-simbolo che,indirettamente,viene posta al centro della storia:il nascituro che una delle donne porta nel grembo e che viene atteso con eccitazione anche(se non addirittura più)dalla piccola Martina:innocente protagonista di una realtà così cruda e feroce da esserle estranea fino alla fine.
Il regista Giorgio Diritti pone la bambina e il neonato al centro dell'orrendo dramma dell'eccidio di Monte Sole come rappresentazione dell'innocenza e della fanciullezza(ma c'è da supporre che un interpretazione circa l'importanza dello"sguardo"di Martina sulla violenza sia molto più difficile di quel che sembra)contrapposti alla durezza della guerra...tuttavia il regista non sembra intenzionato a far emergere un qualsivoglia giudizio morale sulle immagini(specie quelle della strage)ma l'ambiguità che se ne può trarre(in quanto sembra impossibile,dinanzi a tragedie del genere,non prendere una precisa"direzione morale")è solo apparente poichè,in realtà,l'orrore che emerge dalla lunga sequenza appare come un"doveroso presupposto"e su cui"l'occhio del regista"non sembra soffermarsi più di tanto.
Il suo interesse è,semplicemente,quello di raccontare la storia nella maniera più attendibile possibile(e questo spiega l'impressionante realismo che si respira minuto per minuto fino all'ultima immagine del film in cui Martina,tenendo tra le braccia il neonato,sembra oltrepassare il suo mutismo e cantare una bellissima ma,contemporaneamente,angosciosa nenia).
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