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matteobaldan
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domenica 11 aprile 2010
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realismo dallo sguardo attonito
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La ricostruzione degli Appennini bolognesi e della loro umanità terrigna che si esprime in emiliano stretto e sottotitolato, è ammirevole. A conferma della buona impressione fatta da il vento fa il suo giro, film d’esordio del cinquantenne regista bolognese con un passato in Ipotesi Cinema.
Il senso di realismo è molto importante per Giorgio Diritti. Realismo inteso come realismo dello sguardo di un personaggio. Nell’uomo che verrà sono gli occhi di una bimba, Martina, che guardano senza comprendere la morte e la distruzione che la guerra comporta.
Lo sguardo di Martina è accentuato dal fatto che non parla. Martina, 8 anni, è l’unica figlia di una famiglia di contadini. Ha smesso di parlare da quando, anni prima, ha perso il suo fratellino.
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La ricostruzione degli Appennini bolognesi e della loro umanità terrigna che si esprime in emiliano stretto e sottotitolato, è ammirevole. A conferma della buona impressione fatta da il vento fa il suo giro, film d’esordio del cinquantenne regista bolognese con un passato in Ipotesi Cinema.
Il senso di realismo è molto importante per Giorgio Diritti. Realismo inteso come realismo dello sguardo di un personaggio. Nell’uomo che verrà sono gli occhi di una bimba, Martina, che guardano senza comprendere la morte e la distruzione che la guerra comporta.
Lo sguardo di Martina è accentuato dal fatto che non parla. Martina, 8 anni, è l’unica figlia di una famiglia di contadini. Ha smesso di parlare da quando, anni prima, ha perso il suo fratellino.
Nel dicembre del 1943 la mamma rimane nuovamente incinta. Martina vive i 9 mesi di gravidanza nell’attesa del bimbo che verrà, mentre le operazioni di guerra di intensificano e le condizioni di vita degli abitanti di Monte Sole diventano sempre più difficili.
La notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il piccolo viene al mondo. Intanto l’esercito tedesco dà il via a un’operazione militare volta a stroncare la resistenza partigiana infierendo sulla popolazione civile.
All’uomo che verrà va il merito di essere riuscito ad affrontare un tema delicato come la strage di Marzabotto senza cadere nella retorica resistenziale: “Marzabotto preferì ferro, fuoco e distruzioni piuttosto che cadere all’oppressore…”, recita la motivazione per il conferimento della Medaglia d’Oro al valor militare nel 1946.
La focalizzazione attraverso lo sguardo della bimba fa, tuttavia, di Marzabotto un simbolo astorico di tutte le guerre in cui periscono civili inermi e inconsapevoli, senza render conto delle ragioni di quel massacro che gli storici hanno appurato.
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giacomogabrielli
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venerdì 22 ottobre 2010
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forte. ****
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Il massacro nazista di Marzabotto visto attraverso la macchina da presa di Diritti, è una storia curatissima e piena di bei particolari che la rendono ancor più intensa.
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Il massacro nazista di Marzabotto visto attraverso la macchina da presa di Diritti, è una storia curatissima e piena di bei particolari che la rendono ancor più intensa. Girato in un digitale funzionale allo stile descrittivo del regista, il film presenta scene al cardiopalma che regalano forti sensazioni e grandi emozioni anche allo spettatore più esigente. Girato in stretto dialetto bolognese. FORTE | ****
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oblomovita
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giovedì 22 luglio 2010
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evviva il cinema italiano!
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Bravo Giorgio Diritti, dopo "e il vento fa il suo giro" un altro splendido film. Personaggi, luoghi, situazioni talmente credibili, talmente curati che scompare del tutto l'idea della finzione cinematografica. Le storie raccontate da Diritti sono estremamente verosimili.
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tiamaster
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mercoledì 19 giugno 2013
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uno dei migliori film italiani degli ultimi anni
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Probabilmente l'uomo che verrà ė uno dei migliori film italiani degli ultimi anni. Probabilmente è così straziante perchè la strage che narra è accaduta veramente a marzabotto nel 1944.A ogni modo non si può che riconoscere al regista Giorgio Diritti un talento drammaturgico non comune.La sceneggiatura, a dir poco perfetta, è abile nel descriverci per oltre un'ora la vita contadina nel luogo.Vuole che entriamo nella quotidianità dei protagonisti e c'è la descrive in un modo che ricorda molto il cinema di Ermanno Olmi.Dopo la calma della quotidianità, lo script fà subentrare l'inferno.I nazisti, la guerra e le inevitabili conseguenze.
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Probabilmente l'uomo che verrà ė uno dei migliori film italiani degli ultimi anni. Probabilmente è così straziante perchè la strage che narra è accaduta veramente a marzabotto nel 1944.A ogni modo non si può che riconoscere al regista Giorgio Diritti un talento drammaturgico non comune.La sceneggiatura, a dir poco perfetta, è abile nel descriverci per oltre un'ora la vita contadina nel luogo.Vuole che entriamo nella quotidianità dei protagonisti e c'è la descrive in un modo che ricorda molto il cinema di Ermanno Olmi.Dopo la calma della quotidianità, lo script fà subentrare l'inferno.I nazisti, la guerra e le inevitabili conseguenze. In quel ora dove vediamo la vita contadina del luogo (un ora che scorre velocissima grazie al montaggio serrato) ci affezioniamo ai personaggi, e negli ultimi quaranta minuti di orrore questo serve a far si che il regista riesca a tirarci parecchi,dolorosi pugni nello stomaco.Tutti quei personaggi moriranno.Inoltre l'opera di Diritti ha anche una grande componente religiosa (la chiesa,la preghiera ricorrono molto frequentemente durante la visione).Il bambino di pochi giorni sarà l'unico sopravvisuto, come a rappresentare un messia che possa salvare il mondo lacerato dalle orribili ferite della guerra.Ottime le interpretazioni di tutto il cast, in particolare la giovanissima protagonista, ottimi movimenti di macchina,straordinaria la colonna sonora, delicata e poetica come il film.Un film comunque straziante che ci fà capire i mali della guerra come i migliori film, anche americani, su di essa.
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stefano capasso
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venerdì 6 giugno 2014
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la speranza nella tragedia
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Martina ha 10 anni, vive con la sua famiglia in un casolare sugli appennini emiliani. Martina non parla più da quando le è morto un fratellino appena nato tra le braccia, è vispa, osservatrice, aspetta la nascita del novo fratellino come volesse riparare all’evento occorsole. E’ lei che ci guida lungo i fatti che si svolgono. La sua è una famiglia di contadini, che poco ha a che fare con gli eventi drammatici della guerra che si sta svolgendo sullo sfondo. Lavorano la terra, allevano gli animali, e tra quelle montagne il senso di quel conflitto in corso non si coglie. La loro unica preoccupazione è di preservare l’integrità familiare.
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Martina ha 10 anni, vive con la sua famiglia in un casolare sugli appennini emiliani. Martina non parla più da quando le è morto un fratellino appena nato tra le braccia, è vispa, osservatrice, aspetta la nascita del novo fratellino come volesse riparare all’evento occorsole. E’ lei che ci guida lungo i fatti che si svolgono. La sua è una famiglia di contadini, che poco ha a che fare con gli eventi drammatici della guerra che si sta svolgendo sullo sfondo. Lavorano la terra, allevano gli animali, e tra quelle montagne il senso di quel conflitto in corso non si coglie. La loro unica preoccupazione è di preservare l’integrità familiare. Presto fanno la comparsa i partigiani, che hanno a cuore l'integrità del paese e dei diritti, e convincono gli uomini più giovani a seguirli per difendere le loro terre. Così il rapporto coi tedeschi che a loro volta hanno il bisogno di preservare la loro vita, giovani e in paese straniero, si deteriora sempre più. Se al principio, pur se con le dovute distanze esisteva un codice di rispetto per donne anziani e bambini, e addirittura si condivideva del cibo l’aumentare delle imboscate partigiane alimenta la paura dei tedeschi che cominciano a reagire con le stragi di massa.
Martina riuscirà a salvarsi da quella che è nota come la strage di Marzabotto e a salvare il neonato fratellino; questo compito così importante che si assume in un frangente così drammatico le restituisce la voce e la speranza.
Film che racconta la guerra rigorosamente dalla parte di chi non c'entra nulla. Giorgio Diritti accentua questo distacco facendo recitare i suoi attori tutti in stretto dialetto emiliano sottotitolato. E gli eventi tragici della violenza della guerra sono descritti con un lento avvicinamento del campo di ripresa della macchina: in campo lungo, quasi in modo asettico al principio, per spostarsi sul volto delle vittime e dei carnefici nel finale. Non c' spazio per sentimentalismi, tutto scorre n modo asciutto e cruento, e la sensazione che si respira che tutti, donne, bambini, uomini, partigiani, e tedeschi, siano tragicamente partecipi di eventi più grandi di loro, rende speciale questo film sui fatti di guerra del 1943 nell'appennino emiliano. Una vista diversa per un film molto bello che descrive il dolore atroce di quei momenti e invita a sospendere il giudizio sulle azioni e sui personaggi mostrati
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greatsteven
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lunedì 10 aprile 2017
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lo sterminio di monte sole visto da una frugoletta
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L'UOMO CHE VERRà (IT, 2009) diretto da GIORGIO DIRITTI. Interpretato da GRETA ZUCCHERI MONTANARI, MAYA SANSA, ALBA ROHRWACHER, CLAUDIO CASADIO, ORFEO ORLANDO, STEFANO BICOCCHI (VITO)
Dicembre 1943, Monte Sole, nei pressi di Bologna.
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L'UOMO CHE VERRà (IT, 2009) diretto da GIORGIO DIRITTI. Interpretato da GRETA ZUCCHERI MONTANARI, MAYA SANSA, ALBA ROHRWACHER, CLAUDIO CASADIO, ORFEO ORLANDO, STEFANO BICOCCHI (VITO)
Dicembre 1943, Monte Sole, nei pressi di Bologna. Martina (G. Zuccheri Montanari) è una bambina di otto anni che ha smesso di parlare da quando il fratellino le è morto fra le braccia, a soli pochi giorni di vita. Vive nelle campagne emiliane insieme al padre Armando (Casadio), agricoltore, alla madre Lena (Sansa) e alla zia Beniamina (Rohrwacher). La guerra sembra ancora molto lontana, e la gente del paesello continua a condurre la propria esistenza all’insegna della miseria, della parsimonia e della collaborazione reciproca, ma già i disertori e i ribelli dell’Esercito Italiano cominciano a sobillare i contadini alla rivolta. Per Martina tutti questi eventi hanno poca importanza, in quanto il suo unico desiderio, che sta per realizzarsi poiché Lena è ancora incinta, quello di abbracciare un fratello nascituro. Trascorrono senza scossoni la primavera e l’estate del 1944, ma ai primi dell’autunno le SS cominciano metodicamente i rastrellamenti nel bolognese, uccidendo più di 700 persone in quell’evento tragico che è stato consegnato alla Storia come la strage di Marzabotto. Lena viene assassinata poco dopo il parto, e il neonato viene tratto in salvo da Martina. Armando riesce a scampare ad uno sterminio operato nella chiesa parrocchiale, ma poi due nazisti gli sparano nel bosco. Beniamina, sopravvissuta al sopracitato sterminio, viene curata dalle proprie ferite da un tedesco che poi accoltella e viene subito freddata da un commilitone di questi. A strage conclusa, Martina rimane sola col pargoletto fra le braccia, e parla per la prima volta dopo tre anni, cantandogli una ninna nanna. Parlato in stretto dialetto emiliano, con persone del luogo per i ruoli secondari e attori professionisti per quelli principali, è un film storico che il cinema italiano necessitava da tantissimo tempo, giacché s’era arenato in modo molto indecoroso nelle commedie ristagnanti e nei drammi smancerosi privi di sostanza. Diritti, che già aveva fatto sentire la sua bravura di cineasta col bellissimo Il vento fa il suo giro (2005), affina qui ulteriormente la sua tecnica narrativa consegnando al pubblico, e soddisfacendolo insieme alla critica, un capolavoro che guarda ad un evento terrificante della Seconda Guerra Mondiale con un occhio che evita di esprimere giudizi per concentrarsi sull’umanità delle sue vittime: persone semplici, individui impiegati nel settore primario da svariate generazioni, uomini, donne, vecchi e bambini ancora affezionati e attaccati ad una saggezza primigenia, ma pronti a farsi valere e a combattere di fronte alla peggiore invasione di sempre, relativamente al panorama storico italiano. Dal canto loro, le SS naziste non vengono dipinte come spietati e stupidi macellai ed esecutori di ordini che non comprendevano, e in questo gli sceneggiatori evitano una facile trappola: le "squadre di protezione" (traduzione letterale dal tedesco) obbediscono sì a dei comandi, ma sanno anche mostrare brandelli di comprensione e benevolenza nei confronti di esseri umani a loro stranieri, e diversi da loro in tutto e per tutto, senza manifestare forzatamente un odio scellerato e incondizionato. Un cast di interpreti di tutto rispetto, in cui spiccano una M. Sansa intensa, un’A. Rohrwacher un po’ più tornita degli anni recenti e già assai efficace e un C. Casadio alquanto azzeccato nelle vesti del contadino padre di famiglia che è costretto ad imbracciare il fucile per difendere i suoi famigliari, pur non condividendo l’ideologia partigiana. E finalmente abbiamo uno S. Bicocchi, meglio noto come Vito, in una parte drammatica, senza nulla togliere alle sue precedenti performances comiche. E la piccola Zuccheri Montanari? Straordinaria. La scelta di tenerla muta per le quasi due ore di durata della pellicola e di restituirle la parola soltanto nella poetica ed eterea sequenza finale, si rivela una scelta stilistica di una profondità meravigliosa. Del resto, l’uomo che verrà è proprio il fanciullo appena venuto al mondo cui lei dedica il suo immenso affetto, dal momento che aspettava da tempo il suo arrivo. Diritti ci mette del suo dirigendo i contributi tecnici ed artistici e stendendo un magnifico velo di sensibilità e lucidità su un’opera corale obiettiva, che non fornisce risposte né pretende di dare spiegazioni filosofiche all’atavica violenza umana, ma conquista il suo merito fondamentale nel tenere in primo piano la storia. Che viene a sua volta inserita nel contesto della Storia con la S maiuscola, senza però per questo rivestire un’importanza minore: è opportuno rammentare che il cammino dell’uomo sulla Terra è composto anche e soprattutto dalle vicende della povera gente, di coloro che magari non vincono le guerre né dimostrano doti stratosferiche, ma offrono comunque un aiuto sostanzioso, nel proprio piccolo, per permettere all’uomo di prolungare la sua sopravvivenza. Passando anche attraverso i conflitti armati che, soprattutto nella guerra 1939-45, hanno decimato, impoverito e perseguitato una lista infinita di innocenti.
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stenoir
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martedì 31 dicembre 2019
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l'eccidio di monte sole
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Una delle vicende più tragiche del nostro Paese, l’eccidio di Monte Sole - più famoso come “Strage di Marzabotto” -, raccontata da Martina e dalla sua famiglia di contadini; raccontata, non a voce, ma attraverso gli occhi di questa bambina, rimasta muta a seguito di una disgrazia. Nove mesi (periodo di tempo scelto volutamente…), a partire dal dicembre ’43, tra casolari e cascine sui colli bolognesi, trascorrono con l’unico pensiero di riuscire a sopravvivere, più che a vivere, con l’ansia imperterrita dell’arrivo in qualsiasi momento dei soldati nazisti. Fotografia tenue, sommessa, pallida che trova “vivacità” solamente nei colori della natura primaverile.
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Una delle vicende più tragiche del nostro Paese, l’eccidio di Monte Sole - più famoso come “Strage di Marzabotto” -, raccontata da Martina e dalla sua famiglia di contadini; raccontata, non a voce, ma attraverso gli occhi di questa bambina, rimasta muta a seguito di una disgrazia. Nove mesi (periodo di tempo scelto volutamente…), a partire dal dicembre ’43, tra casolari e cascine sui colli bolognesi, trascorrono con l’unico pensiero di riuscire a sopravvivere, più che a vivere, con l’ansia imperterrita dell’arrivo in qualsiasi momento dei soldati nazisti. Fotografia tenue, sommessa, pallida che trova “vivacità” solamente nei colori della natura primaverile. Premiato come miglior film ai David di Donatello, L’ Uomo che verrà è un film forse sottovalutato, sicuramente non conosciuto/famoso, quanto invece meriterebbe.
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jonnylogan
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giovedì 10 ottobre 2024
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la speranza è nel futuro
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Pellicola che definire bellica sarebbe riduttivo grazie al tocco narrativo che permette di osservare le vicende di una delle pagine più sanguinose dell’ultimo conflitto, vista tramite lo sguardo della piccola Martina; l'esordiente Greta Zuccheri Montanari che all'epoca delle riprese aveva appena 10 anni.
Il regista Bolognese Giorgio Diritti, recentemente rivisto a dirigere Elio Germano nei panni di Antonio Ligabue in Volevo nascondermi (id.; 2020), nel 2009 riuscì a confezionare un film che non desiderava assolutamente gettare ombre sulle vicende verificatesi a Monte Sole, ma narrarle da un differente punto di vista.
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Pellicola che definire bellica sarebbe riduttivo grazie al tocco narrativo che permette di osservare le vicende di una delle pagine più sanguinose dell’ultimo conflitto, vista tramite lo sguardo della piccola Martina; l'esordiente Greta Zuccheri Montanari che all'epoca delle riprese aveva appena 10 anni.
Il regista Bolognese Giorgio Diritti, recentemente rivisto a dirigere Elio Germano nei panni di Antonio Ligabue in Volevo nascondermi (id.; 2020), nel 2009 riuscì a confezionare un film che non desiderava assolutamente gettare ombre sulle vicende verificatesi a Monte Sole, ma narrarle da un differente punto di vista. Ovvero quello di chi, da quell'eccidio sanguinoso, poteva e doveva trovare la forza per rialzarsi e andare avanti.
Il microcosmo creato vicino Monte San Pietro, poco distante dai luoghi della strage, risulta essere un prefetto mix di tradizioni e riferimenti storici, dove il trascorrere del tempo è scandito dal variare delle stagioni e nel quale nessuno degli attori presenti sa svettare rispetto a una vicenda non inventata ma riadattata per permettere a Martina e alla sua famiglia di rappresentare un tramite per narrare un evento storico di così grande brutalità nel quale tutti gli interpreti, da Maya Sansa sino ad Alba Rohrwacher, inaspettatamente abili con il dialetto del luogo, riescono a incastrarsi alla perfezione in un meccanismo ricalcato fedelmente sulle reali vicende dell’Ottobre del’44.
Diritti, alla sua seconda prova da regista, riesce quindi a vergare un inno alla vita che non vuole trovare colpevoli o eroi, ma che desidera principalmente essere la narrazione delle genti di quella zona dell’Appennino tanto vicina alla sua Bologna quanto distante in termini anagrafici. E dove solamente un orecchio abituato al dialetto di questi luoghi è in grado di dribblare l’uso dei sottotitoli.
Un film da non perdere, una speranza di rinascita e di vita. Un obiettivo che un regista affermato come Spike Lee con il suo Miracolo a Sant’Anna (Miracle at St. Anna; 2008) non era riuscito completamente a catturare, ma che Diritti ha invece saputo focalizzare al primissimo colpo raccogliendo riconoscimenti di pubblico e critica; suo il David di Donatello 2010 per Miglior Film, Produttore e Fonico di presa diretta. Così come nel caso del Nastro D'Argento 2010 per il miglior produttore, scenografia e sonoro.
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rescart
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lunedì 6 settembre 2010
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un episodio paradigmatico del ‘900
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Diritti va al cuore del problema quando all’inizio del film il capo del gruppo di partigiani locale, "il Lupo", fa ai nuovi arrivati il "discorsetto di benvenuto”, ricordando loro che, trattandosi di guerra, dovevano considerarsi a tutti gli effetti militari. E come tali non farsi condizionare da nessuna personale convinzione ideologica ma limitarsi ad abbedire agli ordini, come appunto si addice ai veri militari. Sia la storia del film che la Storia con la “S” maiuscola ci dicono che così non fu perché i partigiani non accettavano di essere semplicemente esecutori di ordini provenienti da un comando centrale guidato e coordinato dagli alleati. Mentre a ben vedere erano gli amglo-americani i veri liberatori dell’Italia perché casualmente si trovavano in quel momento sul fronte italiano come i russi si trovavano invece su quello tedesco orientale.
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Diritti va al cuore del problema quando all’inizio del film il capo del gruppo di partigiani locale, "il Lupo", fa ai nuovi arrivati il "discorsetto di benvenuto”, ricordando loro che, trattandosi di guerra, dovevano considerarsi a tutti gli effetti militari. E come tali non farsi condizionare da nessuna personale convinzione ideologica ma limitarsi ad abbedire agli ordini, come appunto si addice ai veri militari. Sia la storia del film che la Storia con la “S” maiuscola ci dicono che così non fu perché i partigiani non accettavano di essere semplicemente esecutori di ordini provenienti da un comando centrale guidato e coordinato dagli alleati. Mentre a ben vedere erano gli amglo-americani i veri liberatori dell’Italia perché casualmente si trovavano in quel momento sul fronte italiano come i russi si trovavano invece su quello tedesco orientale.
Ma come si poteva pretendere che dei giovani idealisti, alcuni dei quali finiti nella resistenza solo perché renitenti alla leva, potessero prescindere dalle loro convinzioni politiche? Come si poteva pretendere che nel clima ideologico diffuso che il fascismo prima e il nazismo poi avevano artificiosamente creato, non vi fosse una reazione uguale e contraria da parte di chi vedeva nei tedeschi la prosecuzione e la radicalizzazione del regime fascista?
Dopo la prigionia a Campo Imperatore, infatti, il duce era stato liberato dai tedeschi ma gli storici oggi ci dicono che per realizzare questa impresa i parà tedeschi non dovettero sparare nenache un colpo e non trovarono sulla loro strada neanche l’opposizione degli americani. Il ritorno del duce e la conseguente invasione nazista fu in realtà funzionale al completamento della guerra che avrebbe richiesto ancora un altro anno e mezzo, quanto durò la Repubblica di Salò. Questo nuovo ibrido di fascismo e nazismo sul territorio italiano avrebbe dovuto servire a traghettare l’Italia verso la fine della guerra e la definitiva sconfitta del nazifascismo. Senza la Repubblica di Salò l’Italia sarebbe stato un Paese totalmente allo sbando, senza forze dell’ordine né militari in grado di garantire la sicurezza, e la stessa Emilia Romaga sarebbe sprofondata in forme di brigantaggio che avrebbero fatto impallidire quelle dei tempi del bandito Giuliano.
Il Lupo diede ai suoi uditori l’unica bussola che avrebbe potuto portarli indolori alla meta finale ma come tutti i veri profeti in patria (il dialetto è testimonianza “eloquente” di questo appartenere tutti allo stesso ceppo culturale) non fu ben accolto.
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kondor17
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domenica 22 aprile 2012
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bello ma tristissimo
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Il vento fa il suo giro mi è piaciuto decisamente di più. Forse perchè era il primo e non c'erano aspettative, forse per la semplicità e la genuina maestria di descrivere storie e personaggi antichi, anche se attuali. Forse per l'argomento, non così triste, non così doloroso.
Tecnicamente il film non fa una piega, forse in alcuni tratti un pò lento, ma avvincente e ben fatto, dall'inizio alla fine. Diritti si dimostra un gran regista, ma spero che si sia trattato di un film e che, nonostanti i consensi ed i riconoscimenti ottenuti, non diventi un fan di questo filone. Concordo sì sul fatto che non si debba dimenticare, ma dissento invece sul fatto che si debba sempre ricordare.
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Il vento fa il suo giro mi è piaciuto decisamente di più. Forse perchè era il primo e non c'erano aspettative, forse per la semplicità e la genuina maestria di descrivere storie e personaggi antichi, anche se attuali. Forse per l'argomento, non così triste, non così doloroso.
Tecnicamente il film non fa una piega, forse in alcuni tratti un pò lento, ma avvincente e ben fatto, dall'inizio alla fine. Diritti si dimostra un gran regista, ma spero che si sia trattato di un film e che, nonostanti i consensi ed i riconoscimenti ottenuti, non diventi un fan di questo filone. Concordo sì sul fatto che non si debba dimenticare, ma dissento invece sul fatto che si debba sempre ricordare. Dal mio punto di vista, cerchiamo di imparare a perdonare, ad accettare, invece, anche. Lasciamo il martirio a chi l'ha vissuto, comprendiamolo e giriamo pagina. La vita ci aspetta. E non è sempre così, per fortuna :)
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