figliounico
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mercoledì 22 febbraio 2023
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dramma mancato
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Un film carcerario spagnolo del 2009 diretto da Daniel Monzon che si ispira per il soggetto ad un classico del genere, Brubaker di Rosenberg del 1980 con Redford. Protagonisti Luis Tosar e Alberto Ammann, i due antagonisti perfetti, anche fisionomicamente, l’uno, il prototipo del bravo ragazzo, fresco sposo con moglie incinta, al suo primo giorno di lavoro, l’altro, il criminale psicopatico rinchiuso nel braccio di massima sicurezza della prigione di Zamora, lo stereotipo del villain dal cuore d’oro, l’angelo precipitato all’inferno da una sorte malevola o da un dio distratto o come, si vedrà, da una società ingiusta. Il meccanismo del romanzo da cui è tratto il film si basa sul cambio di ruolo improvviso, dovuto ad un fatto fortuito ed imprevedibile.
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Un film carcerario spagnolo del 2009 diretto da Daniel Monzon che si ispira per il soggetto ad un classico del genere, Brubaker di Rosenberg del 1980 con Redford. Protagonisti Luis Tosar e Alberto Ammann, i due antagonisti perfetti, anche fisionomicamente, l’uno, il prototipo del bravo ragazzo, fresco sposo con moglie incinta, al suo primo giorno di lavoro, l’altro, il criminale psicopatico rinchiuso nel braccio di massima sicurezza della prigione di Zamora, lo stereotipo del villain dal cuore d’oro, l’angelo precipitato all’inferno da una sorte malevola o da un dio distratto o come, si vedrà, da una società ingiusta. Il meccanismo del romanzo da cui è tratto il film si basa sul cambio di ruolo improvviso, dovuto ad un fatto fortuito ed imprevedibile. Dai Menecmi di Plauto al Principe ed il povero di Twain, sebbene pensato come duplice inversione della personalità, il fraintendimento sulla vera identità del protagonista è all’origine sia della commedia degli equivoci che del dramma psicologico della trasformazione involontaria in altro da sé, immaginata prima che nel cinema, con La mosca di Cronenberg, da Kafka nel La metamorfosi. In questo caso il dramma individuale del cambiamento interiore del protagonista passa in secondo piano e si preferisce spettacolarizzare il mutamento ormai avvenuto nella sequenza della cruenta eliminazione del poliziotto sadico. Monzon si concentra sull’azione e abbandona l’approfondimento psicologico dei personaggi che restano bidimensionali e grossolanamente caratterizzati fino alla fine nonostante la potenziale valenza tragica di ognuno di loro. Prevale sul dramma personale il messaggio sociologico di fondo, il teorema da dimostrare, di facile lettura e banalmente retorico, del reato come conseguenza di una società ingiusta, con buona pace del libero arbitrio. Morale della favola: chiunque di noi, anche il più bravo e onesto dei cristiani, si può trasformare in un criminale se la società, rappresentata da microcosmo del carcere, lo mette in condizioni tali da non poter agire diversamente. E’ chiaro che con questi presupposti ideologici Monzon non poteva mettere in scena la tragedia dell’individuo, per farlo occorre pensare in modo classico e non moderno, credere che la coscienza individuale sia un valore assoluto, con i giusti corollari della libertà e della responsabilità personale, e non un semplice derivato della società.
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giorpost
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martedì 6 settembre 2016
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buona l'idea,scarso il risultato:colpa del budget?
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Juan Oliver è un giovane sposato, in attesa di diventare padre, che ha appena trovato un impiego come secondino; un giorno prima del debutto nel nuovo incarico si reca sul luogo di lavoro per far colpo sul direttore del carcere, ma la sua scelta si dimostrerà poco azzeccata in quanto proprio negli istanti in cui i veterani gli stanno spiegando come funziona l'attività penitenziaria, scoppia una rivolta tra i detenuti: Juan, portato nella cella 211 per essere medicato a seguito di una caduta di calcinacci provocata dai rivoltosi, si troverà suo malgrado catapultato in un incubo dal quale dovrà cercare di scappare adoperandosi come mai prima nella sua vita, giocando una partita fatta di fantasia per poter prendere alla svelta decisioni utili alla sua stessa sopravvivenza.
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Juan Oliver è un giovane sposato, in attesa di diventare padre, che ha appena trovato un impiego come secondino; un giorno prima del debutto nel nuovo incarico si reca sul luogo di lavoro per far colpo sul direttore del carcere, ma la sua scelta si dimostrerà poco azzeccata in quanto proprio negli istanti in cui i veterani gli stanno spiegando come funziona l'attività penitenziaria, scoppia una rivolta tra i detenuti: Juan, portato nella cella 211 per essere medicato a seguito di una caduta di calcinacci provocata dai rivoltosi, si troverà suo malgrado catapultato in un incubo dal quale dovrà cercare di scappare adoperandosi come mai prima nella sua vita, giocando una partita fatta di fantasia per poter prendere alla svelta decisioni utili alla sua stessa sopravvivenza. Non tutto filerà liscio, e non solo per colpa dei carcerati, capitanati da Malamadre...
Eccezion fatta per Almodovar, chi vi scrive non è un grande appassionato di Cinema iberico, non fosse altro che per quella qualità visiva mai troppo elevata, sempre assimilabile a film di second'ordine. Un esempio degli ultimi anni è quel Apri gli occhi (imitato a breve distanza temporale da Hollywood con Vanilla Sky) nel quale si trovano interessanti spunti autoriali ma dove scarseggiano fotografia, montaggio e via dicendo.
Cella 211 (Spa, 2009) purtroppo non si discosta troppo da questo discorso pur avendo, al suo interno, delle note positive, alternate a diverse criticità. L'opera è riuscita nel suo complesso, ma a mio avviso se fosse stata prodotta interamente in Francia o, perché no, persino in Italia, avrebbe potuto godere di una qualità decisamente migliore. Il cast è comunque buono, specialmente per quanto riguarda i cattivi, ovvero il telegenico Luis Tosar, nei panni del capo-popolo, e l'efficace Antonio Resines, in quelli del poliziotto frustrato incline alla violenza che non risparmia nemmeno le donne, finanche incinte.
In pratica, negli anni correnti, il Cinema in lingua ispanica parla messicano con Cuaron, Iñárritu e compagnia bella, mentre quello made in Spain lascia ancora a desiderare. Peccato: con un pizzico d'impegno in più (ma anche con maggiori coperture economiche) con Celda 211 poteva uscir fuori un prodotto di livello, considerando l'impianto generale e la presenza di argomenti importanti come le condizioni delle carceri perché, come recita la famosa citazione, non si conosce veramente una nazione finché non si sia stati nelle sue galere...
Voto: 6+
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contrammiraglio
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domenica 19 gennaio 2014
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si fa quel che si può
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Genere inflazionato, film davvero ben fatto; assolutamente da vedersi.
Lo so, critica stringata, come al solito, ma si sa: si fa quel che si può!
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paride86
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lunedì 9 dicembre 2013
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davvero bello
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Appassionante e imprevedibile film completamente ambientato all'interno di un carcere, denso di metafore sul potere e sulla repressione. Bravissimo l'attore che interpreta Malamadre.
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stefano bruzzone
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lunedì 11 novembre 2013
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originale
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film spagnolo sul genere carcerario ben fatto e interpretato e che esce da quel clichè solito di altri films sul genere. certo il frasario e le scene di violenza ci sono, ma la pensata di coinvolgere una guardia carceraria in una rivolta di detenuti e un finale privo del solito buonismo, ne accresce l'originalità e l'interesse.
Voto: 6,5
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il donn
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lunedì 30 settembre 2013
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buon film anche se il genere è assai inflazionato
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Il film è godibilissimo, anche se il genere è assai inflazionato!
Buona la sceneggiatura e la prova degli attori protagoniosti.
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andrea zagano
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venerdì 3 maggio 2013
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finalmente un ottimo film spagnolo,oramai un cult!
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Cella 211 è un film spagnolo che ha avuto grandissimo successo in patria e un discreto successo internazionale. Questo clamore attorno alla pellicola è più che giustificato dato che la trama di base è buona, anche se già vista, mentre ciò che rende il film davvero speciale è l’alto livello di suspense. C'è anche spazio per un timido confronto sulla "questione basca".
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Cella 211 è un film spagnolo che ha avuto grandissimo successo in patria e un discreto successo internazionale. Questo clamore attorno alla pellicola è più che giustificato dato che la trama di base è buona, anche se già vista, mentre ciò che rende il film davvero speciale è l’alto livello di suspense. C'è anche spazio per un timido confronto sulla "questione basca".
Lo spettatore si immedesima fin da subito nel personaggio di Juàn: all’inizio è inevitabilmente preoccupato per sé stesso, successivamente il suo unico pensiero è rivolto alla moglie incinta.
Juàn col susseguirsi degli eventi diventa spietato e perde la testa, guidando la rivolta contro il carcere e le varie organizzazioni politiche(che lo abbandonano come un cane). La scena nella quale lo spettatore capisce che “Mutanda” verrà ricordato (nonostante non fosse uno di loro) è racchiusa nella scritta all’interno della 211: “Aquì muriò Mutanda”.
Davvero interessante il personaggio di Malamadre, interpretato da un grande Luis Tosar, l’unico attore non esordiente: fin da subito, senza una spiegazione logica, lo spettatore vede nei suoi occhi qualcosa di positivo e non lo teme. Nel finale esce fuori il suo lato umano: non uccide Juàn perché ammira il suo coraggio e si rende conto che comunque non è stata una sua scelta ritrovarsi in quella scomoda situazione.
Cella 211 ha vinto 8 premi Goya confermando soprattutto il talento di Daniel Monzòn come regista. La pellicola ha pochi difetti, irrilevanti. E’ cruda al punto giusto e fa respirare allo spettatore l’aria pesante presente all’interno di questo thriller claustrofobico.
Un bel film, di culto.
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filippo catani
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venerdì 19 aprile 2013
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dramma carcerario ben congegnato
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Un giovane ragazzo spagnolo ottiene un lavoro come secondino. Per fare buona impressione ai suoi superiori il giorno prima di prendere servizio si presenta per fare un po' il giro della struttura carceraria. Rimasto vittima di un banale incidente, il ragazzo viene temporaneamente messo in una cella libera per ricevere le cure del caso. Proprio in quel momento però lui perderà i sensi e una rivolta porterà i prigionieri a controllare il braccio. Una volta risvegliato, l'unica speranza per il ragazzo sarà fingersi un prigioniero.
Un bel thriller carcerario quello proposto da Monzòn che riflette su diversi aspetti della vita carceraria. Intanto sul carisma che determinati criminali (vedi malamadre) riescono e devono esercitare sugli altri detenuti.
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Un giovane ragazzo spagnolo ottiene un lavoro come secondino. Per fare buona impressione ai suoi superiori il giorno prima di prendere servizio si presenta per fare un po' il giro della struttura carceraria. Rimasto vittima di un banale incidente, il ragazzo viene temporaneamente messo in una cella libera per ricevere le cure del caso. Proprio in quel momento però lui perderà i sensi e una rivolta porterà i prigionieri a controllare il braccio. Una volta risvegliato, l'unica speranza per il ragazzo sarà fingersi un prigioniero.
Un bel thriller carcerario quello proposto da Monzòn che riflette su diversi aspetti della vita carceraria. Intanto sul carisma che determinati criminali (vedi malamadre) riescono e devono esercitare sugli altri detenuti. Vediamo poi le pessime condizioni igeniche e delle strutture delle carceri spagnole (e da noi la situazione se possibile stando ai vari rapporti è anche peggiore). Quindi troviamo la storia di un giovane ragazzo futuro padre che nell'arco di alcune giornate vedrà la sua vita capovolgersi completamente e lui stesso subirà una incredibile trasformazione da vittima a carnefice. In tutto questo un ruolo non certo secondario lo giocano funzionari arrivisti o doppiogiochisti o intenti solo a cercare di salvare i delicati equilibri con i prigionieri baschi (altra sfaccettatura che viene messa in risalto nel film come una questione eternamente irrisolta). Molto bene anche le interpretazioni dei protagonisti per un film che ha fatto incetta di premi spagnoli e che merita un'ottima considerazione così come era successo per il francese il Profeta segnale che il filone carcerario, quando ben sfruttato, può ancora regalare ottime storie.
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amandagriss
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lunedì 15 aprile 2013
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nella 'città',l'inferno
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Il cinema torna a raccontare,appassionato,della reclusione detentiva,dello spietato crudo e crudele inferno che ribolle entro le alte mura di cinta dei penitenziari e lo fa con due opere europee,Il profeta del francese Jacques Audiard e Cella 211 dello spagnolo Daniel Monzón: pellicole entrambe robuste,radicali,che nobilitano ulteriormente il nutrito genere del prison movie confermando quanto ancora una volta le storie carcerarie ben si prestino al racconto per immagini rinnovandone quella forte fascinazione che ha sempre esercitato sullo spettatore.Qui si narra la tragica disavventura di un giovane secondino che,alla vigilia del suo primo giorno di lavoro,giunto nel (suo) carcere per meglio ambientarsi e 'fare una buona impressione',si ferisce alla testa a causa delle condizioni dissestate degli ambienti e,riposto momentaneamente in una cella libera -la 211- in attesa di cure mediche,si ritrova coinvolto,senza possibilità di fuga,nell'improvvisa rivolta dei detenuti del braccio più violento.
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Il cinema torna a raccontare,appassionato,della reclusione detentiva,dello spietato crudo e crudele inferno che ribolle entro le alte mura di cinta dei penitenziari e lo fa con due opere europee,Il profeta del francese Jacques Audiard e Cella 211 dello spagnolo Daniel Monzón: pellicole entrambe robuste,radicali,che nobilitano ulteriormente il nutrito genere del prison movie confermando quanto ancora una volta le storie carcerarie ben si prestino al racconto per immagini rinnovandone quella forte fascinazione che ha sempre esercitato sullo spettatore.Qui si narra la tragica disavventura di un giovane secondino che,alla vigilia del suo primo giorno di lavoro,giunto nel (suo) carcere per meglio ambientarsi e 'fare una buona impressione',si ferisce alla testa a causa delle condizioni dissestate degli ambienti e,riposto momentaneamente in una cella libera -la 211- in attesa di cure mediche,si ritrova coinvolto,senza possibilità di fuga,nell'improvvisa rivolta dei detenuti del braccio più violento.Unica carta da giocare per uscirne vivo è fingersi anch'egli un detenuto e tuffarsi nella feroce mischia di facce e corpi che nulla più hanno da perdere.Questo l'interessante avvio di una storia estrema dove l'aderenza al reale fortemente ricercata è attinta non tanto dall'intreccio, quasi mai convincente e credibile -troppe forzature,spessore psicologico sacrificato a favore del ritmo veloce - quanto dallo stile ruvido,grezzo,scarno,che sceglie l’’instabilità’ della ripresa con camera a mano affinché restituisca l'immediatezza degli eventi,e da una fotografia ‘neutra’,volta ad esaltare lo squallore ed il degrado di siffatti luoghi coatti.E nessuna propensione a mitizzare ambienti e volti,a rendere il criminale di turno un eroe in cui identificarsi,teso unicamente alla fuga (cliché USA) che qui,invece,resta un rifiuto della società,rinchiuso a lottare e pretendere un trattamento più dignitoso,civile,umano.Il tono è palesemente polemico,di denuncia,che rimanda al polar d’oltralpe,soprattutto alle opere di José Giovanni,che molto ha dedicato al genere (vedi Due contro la città,Il figlio del gangster,Ultimo domicilio conosciuto),teso a scandagliare le perverse intrinseche dinamiche del sistema giudiziario/carcerario,microcosmo governato da proprie regole,leggi non scritte,subdoli compromessi,in cui i detenuti non sono che l'ago della bilancia di delicatissimi equilibri di potere,pedine sacrificabili di un gioco più grande e pericoloso,condotto da quelli che sono i veri 'lupi',così terribili e spietati che al confronto il pluripregiudicato -re delle celle- leader indiscusso della rivolta,l’etico Malamadre,fa la figura di una monaca missionaria.E il 'puro' secondino (i nostri occhi nella terra straniera della galera),che non vive (ancora) di prigione,che non è perciò negoziabile, finisce,suo malgrado,per trasformarsi in un giustiziere-cane sciolto.Quale il suo destino se non quello di spezzarsi piuttosto che piegarsi.
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lore64
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domenica 20 gennaio 2013
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filmetto d'azione
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Accettabile come film d'azione, inesistente sotto il profilo della verosimiglianza. I colpi di scena si susseguono e si incastrano perfettamente l'uno coll'altro per produrre il rovesciamento finale delle parti, tipico del polpettone all'americana. Quando mai un capo rivoltoso si sceglierebbe un luogotenente perfettamente sconosciuto e di incerta provenienza? Quando mai un poliziotto perduto nel mezzo della rivolta si metterebbe al centro dell'attenzione invece di fare di tutto per perdersi nell'anonimato?<br><br>
In questo contesto i detenuti dell'ETA hanno la funzione di nobilitare il film con una patina di attualità politica. Un altro problema è che il doppiaggio italiano è inascoltabile: a parte bestemmie e parolacce, i detenuti scandiscono un italiano quasi perfetto, privo di frasi mozze, parole biascicate e di ogni tinta dialettale.
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Accettabile come film d'azione, inesistente sotto il profilo della verosimiglianza. I colpi di scena si susseguono e si incastrano perfettamente l'uno coll'altro per produrre il rovesciamento finale delle parti, tipico del polpettone all'americana. Quando mai un capo rivoltoso si sceglierebbe un luogotenente perfettamente sconosciuto e di incerta provenienza? Quando mai un poliziotto perduto nel mezzo della rivolta si metterebbe al centro dell'attenzione invece di fare di tutto per perdersi nell'anonimato?<br><br>
In questo contesto i detenuti dell'ETA hanno la funzione di nobilitare il film con una patina di attualità politica. Un altro problema è che il doppiaggio italiano è inascoltabile: a parte bestemmie e parolacce, i detenuti scandiscono un italiano quasi perfetto, privo di frasi mozze, parole biascicate e di ogni tinta dialettale. Non dico in prigione, ma nemmeno al mercato la gente parla così.<br><br>
Un film accettabile solo per chi sia abituato alle grossolanità della televisione e della cinematografia di massa.
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