Cella 211 |
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Un film di Daniel Monzón.
Con Luis Tosar, Alberto Ammann, Antonio Resines, Marta Etura, Carlos Bardem.
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Titolo originale Celda 211.
Azione,
Ratings: Kids+16,
durata 110 min.
- Francia, Spagna 2009.
- Bolero Film
uscita venerdì 16 aprile 2010.
MYMONETRO
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dramma mancatodi figliounicoFeedback: 49076 | altri commenti e recensioni di figliounico |
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mercoledì 22 febbraio 2023 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un film carcerario spagnolo del 2009 diretto da Daniel Monzon che si ispira per il soggetto ad un classico del genere, Brubaker di Rosenberg del 1980 con Redford. Protagonisti Luis Tosar e Alberto Ammann, i due antagonisti perfetti, anche fisionomicamente, l’uno, il prototipo del bravo ragazzo, fresco sposo con moglie incinta, al suo primo giorno di lavoro, l’altro, il criminale psicopatico rinchiuso nel braccio di massima sicurezza della prigione di Zamora, lo stereotipo del villain dal cuore d’oro, l’angelo precipitato all’inferno da una sorte malevola o da un dio distratto o come, si vedrà, da una società ingiusta. Il meccanismo del romanzo da cui è tratto il film si basa sul cambio di ruolo improvviso, dovuto ad un fatto fortuito ed imprevedibile. Dai Menecmi di Plauto al Principe ed il povero di Twain, sebbene pensato come duplice inversione della personalità, il fraintendimento sulla vera identità del protagonista è all’origine sia della commedia degli equivoci che del dramma psicologico della trasformazione involontaria in altro da sé, immaginata prima che nel cinema, con La mosca di Cronenberg, da Kafka nel La metamorfosi. In questo caso il dramma individuale del cambiamento interiore del protagonista passa in secondo piano e si preferisce spettacolarizzare il mutamento ormai avvenuto nella sequenza della cruenta eliminazione del poliziotto sadico. Monzon si concentra sull’azione e abbandona l’approfondimento psicologico dei personaggi che restano bidimensionali e grossolanamente caratterizzati fino alla fine nonostante la potenziale valenza tragica di ognuno di loro. Prevale sul dramma personale il messaggio sociologico di fondo, il teorema da dimostrare, di facile lettura e banalmente retorico, del reato come conseguenza di una società ingiusta, con buona pace del libero arbitrio. Morale della favola: chiunque di noi, anche il più bravo e onesto dei cristiani, si può trasformare in un criminale se la società, rappresentata da microcosmo del carcere, lo mette in condizioni tali da non poter agire diversamente. E’ chiaro che con questi presupposti ideologici Monzon non poteva mettere in scena la tragedia dell’individuo, per farlo occorre pensare in modo classico e non moderno, credere che la coscienza individuale sia un valore assoluto, con i giusti corollari della libertà e della responsabilità personale, e non un semplice derivato della società.
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