nalipa
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sabato 18 settembre 2010
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durissimo...
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film sul carcere, o meglio sulla - giustizia - in carcere.
Monzon punta l'attenzione su una prigione dove i poliziotti sono carogne a piede libero e, forse, nessuno di loro é migliore dei detenuti.
Il messaggio é chiaro, credo:
- potenzialmente, tutti gli uomini sono buoni e giusti e tutti sono aguzzini e ingiusti..dipende da dove ci si trova e come.
Bravissimi gli interprete perfettamente doppiati.
Da vedere!
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hi mate!
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martedì 7 settembre 2010
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carino ma.....
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Manca quel qualcosina in più per farne un ottimo film.Finale troppo rapido,magari 30 minuti in più avrebbero giovato.Insomma finisce sul più bello!!!
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jimmylsanto
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lunedì 30 agosto 2010
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veramente un bel film
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emozionante, coinvolgente, ben recitato e buona regia... forse pò esasperate le coicidenze negative per il protagonista.. ma il tutto non rovina la pellicola!
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cris2811
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venerdì 6 agosto 2010
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congiunzioni astrali...
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Bello per carità, avvincente e perfino emozionante. Sicuramente attrae e calamita l'attenzione anche grazie ad una suspence crescente e certamente ben costruita.
Non mi convince però affatto la trama. E' una di quelle storie tirate per la giacca affinchè si adegui il meno peggio possibile, sennò il film finirebbe dopo trenta minuti. Troppe coincidenze più o meno verosimili che oltre ad accanirsi tutte insieme sul malcapitato protagonista, condizionano in modo assoluto e determinante gli eventi ed il proseguo della vicenda.
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www.federicoremiti.com
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giovedì 5 agosto 2010
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emozionante ma ben poco credibile.
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Troppo costruito, nonché dimostrazione lampante che i premi nazionali sono la più grande masturbazione mentale (e non solo) dell'industria cinematografica (vincitore di 8 premi Goya). E' un problema tipico dei film tratti da libri, le storie che funzionano sotto l'aspetto "sospensione dell'incredulità" in un libro a volte non funzionano al cinema (uno certi dettagli nella lettura se li dimentica). Il regista qui ha spinto con numerosi colpi di scena per tenere su la tensione e la drammaticità della storia (e quindi l'interesse del pubblico), a discapito però della credibilità generale.
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Troppo costruito, nonché dimostrazione lampante che i premi nazionali sono la più grande masturbazione mentale (e non solo) dell'industria cinematografica (vincitore di 8 premi Goya). E' un problema tipico dei film tratti da libri, le storie che funzionano sotto l'aspetto "sospensione dell'incredulità" in un libro a volte non funzionano al cinema (uno certi dettagli nella lettura se li dimentica). Il regista qui ha spinto con numerosi colpi di scena per tenere su la tensione e la drammaticità della storia (e quindi l'interesse del pubblico), a discapito però della credibilità generale.
I protagonisti hanno aiutato il regista con ottime prestazioni, ma ciò non è bastato a mio avviso... quando la storia non funziona del tutto, puoi fare tutto quello che vuoi, la storia non funziona del tutto (problema tipico dei film spettacolari americani, ma lì già lo sai ancora prima di entrare in sala).
A circa metà del film io ho perso l'interesse. A questo punto vorrei chiedervi perché di tutte queste esaltanti recensioni sui blog, riviste e giornali come ad esempio il corriere della sera. Ognuno si faccia la domanda e si dia la risposta, come diceva il buon Marzullo (buon?!).
Dal punto di vista della sceneggiatura ci sono degli spunti interessanti, mentre, mi ripeto, la recitazione nonchè le scenografie sono ottime. Un grande dispendio di mezzi, per la gran carità (e quando c'è un grande dispendio fioccano premi e buone recensioni). Ma il personaggio del cattivo ad esempio, ovvero il poliziotto che ama picchiare, ha un qualcosa che manca. E' fin troppo antagonista e conosciamo troppo poco la sua storia. Non è caratterizzato a sufficienza. E' lì per fare il suo compitino in sceneggiatura, ma non ha nulla che lo muove veramente. E' un sadico, ma non abbastanza. E' l'autore della prima svolta del film, quando durante una rivolta con una manganellata manda in ospedale la moglie di Juan e questi diventa uno che non ha nulla da perdere, uno dei disperati del carcere. I buoni diventano cattivi e i cattivi buoni, e Juan ne è l'eroe. L'evoluzione del personaggio Juan è centrale in questa storia, quello che avviene nel carcere è a corredo di questa sua rivoluzione interiore.
Mi è piaciuto molto, l'inizio, d'effetto devo dire, ripeto la regia ottima, con ottimi spunti. Ma lo sceneggiatore con le mani legate fa le sue marchette e si vede. Film franco-spagnolo buono in questo genere tipicamente americano, ma se si vuole competere con i film di oltreoceano bisogna fare di più. Lo sconsiglio a persone dai gusti raffinati, mentre per il pubblico medio va più che bene.
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[+] approvo in toto!
(di cris2811)
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[+] una buona critica
(di chrisbots)
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doni64
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domenica 4 luglio 2010
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film...poco sorprendente
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Film schietto,crudo ma...poco interessante per l'argomento trattato.La trama e' sufficente come l'interpretazione.Nel complesso un film piu' che discreto ma poco sorprendente.Voto 6+
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eugenio
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domenica 13 giugno 2010
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luci e ombre
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Immagginate due uomini dalle diverse estrazioni sociali: il primo un "capo carismatico" e impulsivo,il secondo un neo-secondino apparentemente timido e insicuro ma dallo spiccato autocontrollo e intelligenza ; supponete ora di considerare come ambientazione un microcosmo carcerario,nel quale alberga violenza,caos e sopraffazione a seguito di una rivolta mossa dai detenuti; ipotizzate, infine, che il giovane guardiano sia costretto, per sopravvivere,a fingersi galeotto. Mischiate il tutto, condendo con una buona dose di violenza esercitata anche dai fieri tutori della legge, e teneri flashback concernenti il dolce rapporto tra la guardia e la moglie (in attesa del bambino)e otterrete Cella 211, un robusto quanto "sugoso" film carcerario che esplora sottoforma drammatica, le pulsioni vitali dell'essere umano in un ambiente stretto e chiuso, dai pochi barlumi di luce e (speranza): il carcere.
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Immagginate due uomini dalle diverse estrazioni sociali: il primo un "capo carismatico" e impulsivo,il secondo un neo-secondino apparentemente timido e insicuro ma dallo spiccato autocontrollo e intelligenza ; supponete ora di considerare come ambientazione un microcosmo carcerario,nel quale alberga violenza,caos e sopraffazione a seguito di una rivolta mossa dai detenuti; ipotizzate, infine, che il giovane guardiano sia costretto, per sopravvivere,a fingersi galeotto. Mischiate il tutto, condendo con una buona dose di violenza esercitata anche dai fieri tutori della legge, e teneri flashback concernenti il dolce rapporto tra la guardia e la moglie (in attesa del bambino)e otterrete Cella 211, un robusto quanto "sugoso" film carcerario che esplora sottoforma drammatica, le pulsioni vitali dell'essere umano in un ambiente stretto e chiuso, dai pochi barlumi di luce e (speranza): il carcere. In questo triste luogo si svolgerà l'iniziazione del giovane Juan Olivier (un bravo Alberto Ammann) alla violenza e alla lotta contro i soprusi del regime carcerario. Il secondino,infatti, dalla personalità non meno attraente e forte del rivale (e poi compagno di lotta) Malamadre (dalla classica voce rude resa nel doppiaggio italiano dal simpatico Francesco Pannofino), subirà una profonda trasformazione interiore, che dettata da motivi personali (la morte della moglie a seguito degli scontri tra civili e soldati),lo condurrà a una presa di posizione ferma e decisa nella rivolta che ne conseguirà.Definire, tuttavia, Cella 211, un semplice show di violenza gratuita carceraria, è riduttivo:la pellicola infatti, al di la' degli intenti moralistici e della dicotomia bene/poliziotti e male/carcerati, sottolinea nel tumulto motivi di forte connotazione politica, legati alla presenza nel carcere di terroristi dell'ETA. L'astio presente tra gli stessi prigionieri permette cosi' al regista un'analisi,fin troppo incisiva e dai dialoghi non sempre originali, dei difficili e delicati rapporti diplomatici esistenti con il governo basco,collocando su tale sfondo la figura del detenuto Malamadre,solido esempio di duro che esercita un regime autarchico di violenza e repressione. Nella densità delle azioni dei protagonisti che verranno a mano a mano guidate dalla lucida mente di Juan, il cineasta ritrae la realtà delle carceri spagnole, non meno violenta di quella americana, ponendo in evidenza l’incapacità di distinzione tra amici e nemici. Juan e Malamadre, infatti, non sono descritti come rappresentanti del bene in lotta contro il male, sono nemici per natura, ma si ritrovano coalizzati nella rivolta.Dal film emerge,dunque, la bivalenza della natura umana,le sue luci e ombre,ben espressa dalla particolare scelta delle inquadrature:per le azioni corali dei detenuti, il cineasta predilige le riprese dall’alto quasi a voler comunicare la sensazione claustrofobica di chi è costretto a passare la sua esistenza all’interno delle pareti di una triste cella. Di converso,le azioni dei due protagonisti sono mostrate mediante il semplice utilizzo di una telecamera a mano, esacerbando, in tal modo, il senso di squallore dell’intera vicenda che permette di rendere piu’ coinvolgente agli occhi dello spettatore la crudeltà della rivolta.In conclusione,Cella 211, costituisce un buon esempio di cinema carcerario,dalla solidità asciutta,che malgrado la forte enfasi di alcune scene, raggiunge il cuore dello spettatore, emozionandolo e facendolo riflettere nello stesso momento.
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ultimoboyscout
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domenica 6 giugno 2010
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non è un detenuto!
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E' di una durezza incredibile! Crudo e aspro di quelli che lasciano il magone alla fine della visione. Per me regista e attori erano tutti emeriti sconosciuti e devo dire che sono tutti piuttosto bravi e convincenti. A me è piaciuto molto, mi ha tenuto incollato allo schermo, e mi è piaciuta la costruzione col doppio punto di vista, rivoltosi e Polizia. Non per fare la solita polemica sterile da benpensante, ma se fosse stata una produzione di grido e un regista americano ad aver fatto sto film si sarebbe gridato al capolavoro assoluto e avrebbe avuto molto più successo e uno spazio più ampio sui media. Sui media e anche nei cinema, questo mi sembrava più che ovvio! Finale acidissimo, Luis Tosar nei panni di Malamadre è davvero eccellente!
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francescol82
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domenica 6 giugno 2010
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che film!!!
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Non avendo letto la trama lo immaginavo molto diverso, credevo fosse un film più "leggero" fatto di risse alla Vin Diesel. Sono invece rimasto piacevolmente sorpreso quando ho capito che invece stavo guardando un film più serio che porta a riflettere sulla vita nelle carceri. Bella la sceneggiatura e bravi gli attori. Vi terrà col fiato sospeso dall'inizio alla fine.
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alespiri
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venerdì 21 maggio 2010
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avvincente e spettacolare thriller claustrofobico
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Una situazione paradossale, resa estremamente credibile, è lo spunto per il claustrofobico thriller del regista spagnolo Daniel Monzon.
Juan Olivier, un neoassunto in un carcere di massima sicurezza, ale presentazioni, viene coplito alla testa: è l’inizio di una rivolta carceraria sanguinosa. Altri agenti vengono feriti nel tentativo di arginare la sommossa. Grazie anche alla prontezza di riflessi, alla scaltrezza, del protagonista questi si troverà ad affrontare un involontario "passaggio" nella schiera dei rivoltosi perché scambiato per un detenuto e riuscirà a mettersi in buona luce, coi suoi suggerimenti strategici per evitare alle forze dell’ordine di avere la meglio, con il pluriomicida e più temibile tra tutti: Malamadre (Luis Tosar), semisconosciuto in Italia ma già vincitore di un premio Goya in Spagna e candidato per questo film come attore protagonista.
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Una situazione paradossale, resa estremamente credibile, è lo spunto per il claustrofobico thriller del regista spagnolo Daniel Monzon.
Juan Olivier, un neoassunto in un carcere di massima sicurezza, ale presentazioni, viene coplito alla testa: è l’inizio di una rivolta carceraria sanguinosa. Altri agenti vengono feriti nel tentativo di arginare la sommossa. Grazie anche alla prontezza di riflessi, alla scaltrezza, del protagonista questi si troverà ad affrontare un involontario "passaggio" nella schiera dei rivoltosi perché scambiato per un detenuto e riuscirà a mettersi in buona luce, coi suoi suggerimenti strategici per evitare alle forze dell’ordine di avere la meglio, con il pluriomicida e più temibile tra tutti: Malamadre (Luis Tosar), semisconosciuto in Italia ma già vincitore di un premio Goya in Spagna e candidato per questo film come attore protagonista.
L’amicizia tra i due è il fulcro del film, che si regge sui due interpreti (Juan e Malamadre) che riescono a far passare emozioni autentiche e forti allo spettatore.
Nella consapevolezza di una fine prossima il loro legame diventerà intenso ed il valore di quest’amicizia rappresenterà l’unico elemento umano della narrazione.
"Cella 211" è un film che ci fa riflettere sulla sindacabilità di ogni giudizio, dove i valori invertono i poli di continuo e quello che c’è fuori dal carcere, ad un certo punto, apparirà meno rassicurante di quello che c’è dentro.
Luis Tosar (Malamadre) trascina col suo sguardo carismatico, in un labirinto di emozioni , ma tutti gli interpreti sono all’altezza della situazione. Il livello di tensione narrativa risulta essere alto fino all’ultimo secondo. Un senso di frustrante amarezza ci lascia l’inevitabile finale nella consapevolezza che la corruzione umana si trasferisce sempre più spesso ai vertici sociali, mascherata abilmente da parole prive di verità.
E questa, ancora una volta, è di chi la sa raccontare meglio.
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