paolp78
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sabato 28 luglio 2018
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molto meglio dell'originale
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Alcuni film che hanno avuto un buon successo nel loro paese, ma scarsa diffusione fuori, vengono subito rifatti a Hollywood con grande successo (ad esempio “The Departed” o “Scent of a woman”); altre volte si ha a che fare con classici della letteratura, che vengono trasposti al cinema più e più volte, in varie versioni (I tre moschettieri” o “Robin Hood” per dirne un paio).
Questi casi sono diversi da quelli di un remake di un film di successo (non tratto da un grande classico della letteratura) girato molti anni prima. In quest’ultima ipotesi il compito è particolarmente arduo, perché è gravoso il paragone col film originale, che avendo avuto successo, gode dell’affetto del grande pubblico, pronto a impallinare il remake alla prima sbavatura.
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Alcuni film che hanno avuto un buon successo nel loro paese, ma scarsa diffusione fuori, vengono subito rifatti a Hollywood con grande successo (ad esempio “The Departed” o “Scent of a woman”); altre volte si ha a che fare con classici della letteratura, che vengono trasposti al cinema più e più volte, in varie versioni (I tre moschettieri” o “Robin Hood” per dirne un paio).
Questi casi sono diversi da quelli di un remake di un film di successo (non tratto da un grande classico della letteratura) girato molti anni prima. In quest’ultima ipotesi il compito è particolarmente arduo, perché è gravoso il paragone col film originale, che avendo avuto successo, gode dell’affetto del grande pubblico, pronto a impallinare il remake alla prima sbavatura.
Certamente questo rischio poteva essere corso da “La fabbrica di cioccolato”, remake di un ben noto film del 1971 con Gene Wilder, ma il prodotto finale è talmente superiore al primo film da fare ammutolire ogni critica.
Lo straordinario risultato lo si deve indiscutibilmente al genio di Tim Burton, che con un soggetto del genere per le mani si trova a suo completo agio, potendo sbizzarrire la sua immaginifica fantasia, con ampio e sapiente uso degli straordinari mezzi tecnici ed effetti speciali di cui si può usufruire oggigiorno.
Il risultato finale è un film straordinario per impatto visivo. Burton riesce a creare in scena una deliziosa atmosfera fiabesca, azzeccatissima, che costituisce uno dei punti forti della pellicola.
Ottimo anche il ritmo della narrazione, briosa e accattivante. Il film scorre molto piacevolmente.
Segnalo infine, perché personalmente mi hanno divertito moltissimo, i servizi giornalistici dedicati ai bambini che avevano trovato il biglietto dorato: delle vere chicche.
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silverivy
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domenica 1 agosto 2010
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si poteva fare di meglio.
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Il film riesce a trasmettere le sensazioni di chi ha letto il libro. Nonostante la rielaborazione della trama, abbastanza inutile, e la poca efficacia da parte di gran parte degli attori di interpretare i personaggi ideati da Dahl, il film può comunque regalare delle emozioni ed essere apprezzato.
Se non fosse stata rielaborata la trama e (anche se sembra una sciocchezza) fossero stati fatti meglio gli umpa lumpa, avrebbe reso decisamente meglio.
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francesco
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giovedì 9 novembre 2006
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willy mani di forbice
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Chi e' il Willy Wonka di Tim Burton se non la versione piu' nera e crudele di Edward Mani di Forbice? Il ragazzo con le cesoie al posto delle mani, che il padre non ha finito di costruire, cerca invano il suo posto nell'oscena provincia Usa piangendo un amore che non puo' fisicamente scambiare, proprio a causa di quelle lame con cui ferisce e si ferisce. Willy si ritira dal mondo, tramuta il suo credito nei confronti di un padre crudele nell'abilita' nel fare dolci (come quella di potare le aiuole o rifare acconciature, deliziosa ma in un certo senso effimera quanto... il cinema), rifiuta il contatto fisico fin dalle mani guantate, e' un sadico-dark e non un romantico-dark. 'La fabbrica di cioccolato' ha si' un finale conciliatorio che e' il rovescio di 'Big Fish', perche' la' il 'diverso', l'eccentrico, l'artista stile-Burton era papa' ma lo prepara con una favola lisergica e gelida, pure troppo, in cui scorrono sangue nero, citazioni di Hitchcock, Ester Willams e Tim Burton, pezzi di carbone duro per quei bambini che riflettono gia' il peggio degli adulti, l'ingordigia, l'arrivismo, la mancanza di fantasia (e quanti ce ne sono.
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Chi e' il Willy Wonka di Tim Burton se non la versione piu' nera e crudele di Edward Mani di Forbice? Il ragazzo con le cesoie al posto delle mani, che il padre non ha finito di costruire, cerca invano il suo posto nell'oscena provincia Usa piangendo un amore che non puo' fisicamente scambiare, proprio a causa di quelle lame con cui ferisce e si ferisce. Willy si ritira dal mondo, tramuta il suo credito nei confronti di un padre crudele nell'abilita' nel fare dolci (come quella di potare le aiuole o rifare acconciature, deliziosa ma in un certo senso effimera quanto... il cinema), rifiuta il contatto fisico fin dalle mani guantate, e' un sadico-dark e non un romantico-dark. 'La fabbrica di cioccolato' ha si' un finale conciliatorio che e' il rovescio di 'Big Fish', perche' la' il 'diverso', l'eccentrico, l'artista stile-Burton era papa' ma lo prepara con una favola lisergica e gelida, pure troppo, in cui scorrono sangue nero, citazioni di Hitchcock, Ester Willams e Tim Burton, pezzi di carbone duro per quei bambini che riflettono gia' il peggio degli adulti, l'ingordigia, l'arrivismo, la mancanza di fantasia (e quanti ce ne sono...). Ispirato o no, l'ex-disegnatore della Disney ha immaginazione (deliziosamente malata) da vendere: bastino il carillon in fiamme (benche' io non sappia se fosse gia' nel film originale) o la sequenza della casa del padre dentista, che - per punire il piccolo Willy - viene 'estratta' dal quartiere come un dente malato e ricollocata altrove. E poi chissa' che lo stesso Charlie, il ragazzino saggio, non sia anch'egli un personaggio burtoniano, cosi' diverso da tutti gli altri bambini e infatti condannato a vivere nell'unica casa sbilenca di questa sorta di Stoke on Trent perennemente innevata... Un film da rivedere con il gusto della caccia al dettaglio come una puntata dei 'Simpson' (e del resto il musicista e' il medesimo, Danny Elfman...): la sala della 'tv cioccolosa' e' un mix di Kubrick, oggetti da tv anni '60 e mostruosita' da tv del 2000...
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teo
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lunedì 22 settembre 2008
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un film fatto di astrattezza
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Di certo non si può rimproverare a Tim Burton il fatto che non sappia, nei suoi film, creare sequenze visive mozzafiato, giocando superbamente su luci, forme e colori. Tuttavia questo film dimostra che a volte il tecnicismo deforma lo spirito delle migliori opere. In questa pellicola si trova ben poco di quanto il genio creativo di Roald Dahl avesse creato nel suo omonimo capolavoro letterario; in esso, infatti, l'autore aveva inserito l'elemento fantastico (che qui Burton traspone abbastanza bene) non perdendo di vista, però, i personaggi e il loro sviluppo. Burton, invece, crea un'opera fatta di insopportabile astrattezza, in cui (quasi) tutto è sregolato e privo di logica. Le "esternazioni" musicali degli Umpa-Lumpa (qui deturpati imperdonabilmente rispetto a quelli vispi e allegri del libro) sono addirittura irritabili; il personaggio di Willy Wonka, reso nel libro così affascinante proprio dal fatto che non si sapesse nulla circa il suo passato, è nel film trasformato in un individuo ben lontano da quello allegro e spensierato di Dahl: pieno di complessi e insicurezze, imprevedibile e fin troppo infantile nei suoi comportamenti (non parlando poi del ridicolo taglio di capelli).
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Di certo non si può rimproverare a Tim Burton il fatto che non sappia, nei suoi film, creare sequenze visive mozzafiato, giocando superbamente su luci, forme e colori. Tuttavia questo film dimostra che a volte il tecnicismo deforma lo spirito delle migliori opere. In questa pellicola si trova ben poco di quanto il genio creativo di Roald Dahl avesse creato nel suo omonimo capolavoro letterario; in esso, infatti, l'autore aveva inserito l'elemento fantastico (che qui Burton traspone abbastanza bene) non perdendo di vista, però, i personaggi e il loro sviluppo. Burton, invece, crea un'opera fatta di insopportabile astrattezza, in cui (quasi) tutto è sregolato e privo di logica. Le "esternazioni" musicali degli Umpa-Lumpa (qui deturpati imperdonabilmente rispetto a quelli vispi e allegri del libro) sono addirittura irritabili; il personaggio di Willy Wonka, reso nel libro così affascinante proprio dal fatto che non si sapesse nulla circa il suo passato, è nel film trasformato in un individuo ben lontano da quello allegro e spensierato di Dahl: pieno di complessi e insicurezze, imprevedibile e fin troppo infantile nei suoi comportamenti (non parlando poi del ridicolo taglio di capelli). Sebbene Johnny Depp ci regali un'interpretazione davvero sorprendente, propria della sua personalità versatile, l'eccessiva visionarietà fa perdere al film il contatto con la realtà, facendolo fuggire in un immagginario totalmente sregolato da essa. I bambini che visitano la fabbrica, grottesche e geniali incarnazioni di vizi e virtù giovanili nel libro, sono qui ridotti a degli stereotipi, freddi e senza spessore. Nulla da aggiungere, però, a quanto già detto circa le straordinarie ambientazioni e gli sfavillanti costumi dei protagonisti.
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