La fabbrica di cioccolato

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Un film di Tim Burton. Con Johnny Depp, Freddie Highmore, Helena Bonham Carter, David Kelly, Deep Roy.
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Titolo originale Charlie and the Chocolate Factory. Fantastico, Ratings: Kids, durata 106 min. - USA, Gran Bretagna 2005. uscita venerdì 23 settembre 2005. MYMONETRO La fabbrica di cioccolato * * * 1/2 - valutazione media: 3,97 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Marco Giusti

Il Venerdì di Repubblica

La maggior dote di un essere umano, secondo Roald Dahl, il più grande scrittore di libri per bambini del 900, è la gentilezza. Se una cosa non può non essere riconosciuta a Tim Burton, orse il maggior regista attuale di film fantastici, che ora torna sugli schermi li tutto il mondo con ben due film, La fabbrica di cioccolato, tratto appunto tal celebre romanzo di Dahl, e con La sposa cadavere, piccolo film di animazione del tutto personale, è proprio a gentilezza con cui tratta tutti i suoi personaggi, siano bambini o adulti, cattivi o buoni, mostri o non mostri, vivi o morti.
La fabbrica di cioccolata, uscito in America da due settimane e già primo negli incassi. Da noi arriverà il 23 settembre. Lo stesso giorno, uscirà in America The Corpse Bride - La sposa cadavere, che da noi verrà prima presentato al Festival di Venezia, e poi uscirà in sala a novembre.
L’uscita dei due film chiarirà forse ai tanti fan del regista, foltissima schiera di ormai ex bambini cresciuti con le sue storie, se è vero che ha perso l’ispirazione dei suoi capolavori romantici come i due primi Barman, Mars Attack, Ed Wood. Quel che viene imputato al Pianeta delle scimmie e Big Fish è proprio la mancanza di cuore dei film precedenti. La fabbrica di cioccolato, è stato ben accolto dalla critica americana. Todd McCarthy, su Variety, ha scritto che scritto è «la maggior esplosione di colori vista dai tempi di The Gang’s All Here (Banana split)». Per molti è il suo film migliore da anni. Ma non sono mancate le critiche. Da parte dei fan del vecchio film del 1971 diretto da Mel Stuart con Gene Wilder, WiIly Wonka e la fabbrica di cioccolato, ad esempio, che era scritto proprio da Dahl.
C’è chi ha scritto poi che «i sogni di Tim Burton incominciano a sembrare identici da anni» o che in un mare di perfezione di effetti speciali «l’unica cosa che la post produzione si è scordata di inserire è il cuore». La polemica, insomma, rimane e vediamo se toccherà anche La sposa cadavere, folle riscrittura di una fiaba ebreo-russa dove una donna cadavere, doppiata da Helena Bonham Carter, si ritiene regolarmente sposata con Victor, doppiato da Johnny Depp. Solo che Victor è promesso sposo di Victoria, doppiata da Emily Watson.
E così la cosa si complica, con tanto di arrivo di zombi e scheletri in un’ambientazione tra gli horror di Mario Bava e i disegni gotici di Edward Gorey che ci riporterà al mondo fantastico di The Nightmare Before Christmas.
Va detto che Tim Burton ce la mette tutta per essere fedele al suo cinema. In entrambi i film ha al suo fianco sia Danny Elfman, il suo musicista di sempre, che Johnny Depp, il suo attore preferito, anche se per la parte di Willy Wonka la produzione aveva pensato a una serie di star, da Steve Martin a Nicolas Cage, da Robin Williams a Adam Sandler. Senza riandare ai desideri di Dahl, che per il ruolo nel film del 1971 aveva pensato al comico inglese Spike Milligan, il Willy Wonka di Johnny Depp è in realtà una naturale rivisitazione degli eroi burtoniani. Sono loro il vero modello. Come Edward mani di forbice, Willy Wonka è chiuso da anni in un castello e ha perso ogni contatto col padre, che non esiste nel libro di Dahl. Come Ed Wood sorride con i denti finti in avanti perché il padre era dentista e sogna di sostituire alla vita la continua messa in scena di questa. Come Jack Skeletron trasforma in orrore la sua voglia di comunicare con i più piccoli. Sono questi i veri riferimenti, più del tanto sbandierato (da Variety) Michael Jackson. I modelli, semmai, ha detto Johnny Depp, sono un mischione tra i suoi eroi televisivi di quando era bambino, come Captain Kangaroo, e le rockstar degli anni 80. Poi ci ha messo i capelli come il Principe Valiant il cappello del Willy disegnato da Quentin Blake, l’illustratore della versione 1995 (quella che ritrovate in libreria edita in Italia da Salani), gli occhi viola alla Marilyn Manson.
Ma la vera novità, rispetto al personaggio originale, che non ha famiglia, è proprio nella sua incapacità di decidere se essere padre o figlio, vecchio o bambino. Sarà grazie a Charlie, interpretato dal piccolo prodigio di Neverland, Freddy Highmore, anche lui molto più ricco umanamente del bambino di Dahl, che ritroverà il padre e sarà accolto nella famiglia di Charlie. Come spiegato nei meravigliosi titoli di testa animati, il gioco è tra il fuori e il dentro la fabbrica che rimanda al fuori e il dentro la famiglia. Tutto questo è ciò che ha aggiunto Burton, che per il resto si mantiene fedelissimo al testo, al punto di riproporci perfino le quattro canzoncine scritte da Dahl per il libro e non inserite nella versione del ‘71. E proprio seguendo troppo il testo cade nella trappola degli Oompa-Loompa i piccoli operai di Willy Wonka, che già dettero forti problemi a Dahl Nella prima versione del libro, nel 1964, infatti, erano pigmei africani. Questo provocò una pesante accusa di razzismo nei confronti di DahI che trasformò i pigmei prima nel film e poi nella seconda versione del libro, del 1973, in buffi esseri bianchi, appunto gli Oompa-Loompa, provenienti dalla misteriosa Loompaland. Burton gioca un po’ su questa storia, e riporta in Africa gli Oompa-Loompa che sono piccoli, non sono bianchi ma scuretti e tutti interpretati dallo stesso attore, Deep Roy. Il moltiplicarli digitalmente, però, non funziona e dà al film una certa freddezza, che non c’è, ad esempio, nella bellissima scena degli scoiattoli operai. Esattamente come per la cioccolata, che Dahl amava al punto da scriverci su ben due libri, anche il cinema migliore, come quello di Tim Burton, ha bisogno di artigianato e di passione. Più che della perfezione e della postoproduzione.
Da Il Venerdì di Repubblica del 19 agosto 2005


di Marco Giusti,

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