semmy
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sabato 18 marzo 2006
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un film fatto di parole, di particolari, di sensi.
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La Coixet gira un film tutto incentrato sui particolari (a cui dedica tanti primi piani), sui rumori (ora ovattati ora assordanti), sui sensi (lui cieco per un incidente, lei sorda per.. "una tragedia"; alla fine pare anche allo spettatore di poter annusare e toccare). E lo fa avvalendosi di una buona regia, che si concede qualche "licenza", ma senza eccedere; di un'ottima sceneggiatura, con dialoghi scritti in modo eccellente -e questo, per un film che si risolve in una conversazione fra i due protagonisti, non è merito da poco-; di due bravi attori, la Polley bellissima, fragile e diafana e Robbins, capace di dare un'impronta al film pur restando immobile e col volto bloccato dalle ustioni per quasi tutta la pellicola.
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La Coixet gira un film tutto incentrato sui particolari (a cui dedica tanti primi piani), sui rumori (ora ovattati ora assordanti), sui sensi (lui cieco per un incidente, lei sorda per.. "una tragedia"; alla fine pare anche allo spettatore di poter annusare e toccare). E lo fa avvalendosi di una buona regia, che si concede qualche "licenza", ma senza eccedere; di un'ottima sceneggiatura, con dialoghi scritti in modo eccellente -e questo, per un film che si risolve in una conversazione fra i due protagonisti, non è merito da poco-; di due bravi attori, la Polley bellissima, fragile e diafana e Robbins, capace di dare un'impronta al film pur restando immobile e col volto bloccato dalle ustioni per quasi tutta la pellicola.
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flake
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venerdì 14 settembre 2007
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la sofferenza è un fuoco interiore
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Le solitudini come piattaforme nel mare. Forse un finale troppo positivo e consolatorio (ma di qualche happy ending abbiamo sempre bisogno per sperare nella vita...).
Per gran parte un film avvolgente nella sua distanza e nelle distanze fra i protagonisti. Strepitosa nel suo essere attonita, Sarah Polley sostiene il film e il personaggio come se avesse patito lei quelle dolorose sofferenze.
Bravo anche Robbins, la sua cecità acuisce la capacità di leggere nell'anima della sua infermiera.
Certe atrocità non sono dimenticate da chi le vive ma, colpevolmente,da chi come noi le guarda in modo distaccato.
La sofferenza è un fuoco interiore che non siamo in grado di estinguere da soli.
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giorgio vallosio
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domenica 26 marzo 2006
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il canto dolce della poesia…..e la vita segreta delle parole!
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Perché mai la critica sia sta così tiepida con questo delicato film della spagnola Coixet è difficile da spiegare. Forse perchè abituati ai toni roboanti e fragorosi, alle violenze raccontate nel minimo dettaglio, alle scene plateali e agli effetti facili, viene meno la capacità di ascoltare le voci sussurrate, i moti profondi dell’anima e le immagini simboliche: in pratica il canto dolce della poesia…..e la vita segreta delle parole!
E di parole proprio si tratta nel film. Del non detto che cova nel profondo delle nostre anime e che fatica ad emergere, prorompendo poi in una esplosione catartica e liberatoria, o avvincendoci sempre di più nelle catene del silenzio e dell’incapacità di comunicare, con meccanismi nevrotici o psicotici.
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Perché mai la critica sia sta così tiepida con questo delicato film della spagnola Coixet è difficile da spiegare. Forse perchè abituati ai toni roboanti e fragorosi, alle violenze raccontate nel minimo dettaglio, alle scene plateali e agli effetti facili, viene meno la capacità di ascoltare le voci sussurrate, i moti profondi dell’anima e le immagini simboliche: in pratica il canto dolce della poesia…..e la vita segreta delle parole!
E di parole proprio si tratta nel film. Del non detto che cova nel profondo delle nostre anime e che fatica ad emergere, prorompendo poi in una esplosione catartica e liberatoria, o avvincendoci sempre di più nelle catene del silenzio e dell’incapacità di comunicare, con meccanismi nevrotici o psicotici. Autistica sembra infatti agli inizi la bionda protagonista, chiusa in un ostinato dolore, che l’ha resa, non a caso, sorda; anche se la causa di tale malessere non è come solitamente, di natura “affettivistica”, ma di origine traumatica. Le strade del suo destino vanno ad incrociarsi con quelle di un tecnico, provvisoriamente accecato da un incidente su una piattaforma petrolifera del mare del Nord. Nel suo mese di ferie la giovane infelice decide di curarsi di lui come infermiera, iniziando un rapporto di progressiva e reciproca confidenza, che li porterà entrambi a nutrire fiducia nell’altro, affidandogli con muta commozione il proprio progetto esistenziale: in toto , come se il mondo esterno non esistesse ( chi ricorda “David e Lisa” ?), e fossero isolati su un’isola deserta. Dove la facile metafora, espressa pari pari dal malato in lettiga, coincide con l’idea centrale del film, ambientato su una piattaforma marina disperatamente isolata nei mari artici, raggiungibile solo con gli elicotteri. Una delle principali bellezze del film, l’isolotto artificiale si staglia sulle acque come una visione surreale, valorizzata da colori plumbei su sfondi rossomielati, o. di notte, da una miriade di luci policrome che gli conferiscono un aspetto fantascientifico, da navicella spaziale. E abitanti di uno shuttle interplanetario sembrano anche gli altri pochi abitanti della piattaforma, ognuno a modo proprio in fuga dalla civiltà e dalla vita reale. Nella parte finale del film la storia si evolve in una seconda fase: data la stura ai reciproci , penosi, segreti nascosti, e cioè, entrati in comunicazione e/affettiva, i due comprendono di essere essenziali l’uno all’altro, e trovano una chiave di sopravvivenza nella vita a due. Con un’ottica veramente femminile, se vogliamo; ma, bisogna dire, senza eccessivi sdilinquimenti, con accenti sentimentali credibili e mai mielosi. In questo sussiego sta uno dei grandi meriti della regia, che sa raccontare le cose più crude in modo asettico, rinunciando agli effetti facili della violenza e della morbosità (una regia convenzionale ci avrebbe sciorinato per filo e per segno la dolorosa vicenda degli stupri e delle sevizie subite dall’infermiera e dall’amica nella guerra in Jugoslavia; oppure la storia di tradimento matrimoniale occorsa al paziente infortunato…). Al contrario il film inizia con il dramma dell’incendio e dell’infortunio in modo sfumato, senza insistere sui particolari più cruenti, continuando per brevi accenni sulle situazioni più spinose; per culminare nella scena forse più bella, dove la protagonista mostra solamente i segni rimastile delle sevizie subite, con estremo ritegno, lasciando intendere, senza scendere in particolari crudeli. Carico di simboli dell’umano vivere ( in solitudine sull’isolotto artificiale, o tra i dolori delle guerre), il film ha anche una precisa valenza psicanalitica, parlando apertamente del bisogno di comunicazione e di affettività dei singoli, con la possibile panacea di una soluzione a due (prettamente femminea….ma tant’è..!); non a caso l’unico personaggio cui sembra ancora legata la bionda infermiera è per l’appunto una professionista della psiche.
Al di là dei meri aspetti di contenuto, restano a La vita segreta… meriti “filmici” di primo ordine: una fotografia affascinante, soprattutto nella paesaggistica, sceneggiatura e dialoghi asciutti ed essenziali, sempre credibili, interventi musicali molto appropriati, e, infine una recitazione ineccepibile e memorabile da parte dei due protagonisti (di lei in particolare, con una serie di primi piani che….attingono all’anima).
Altro grande pregio, se vogliamo di natura squisitamente letteraria, è la capacità di “evocare senza mostrare”; e cioè di comunicare sensazioni ed emozioni “senza bisogno di dire ed illustrare”, tipico del linguaggio “preteritivo” (non dico, ma dico…). Questa modalità di comunicazione, per definizione retorica, è invece validissima ove si vogliano salvare nel racconto sentimenti veritieri di pudore, ritegno e vergogna, di certi personaggi (…la sventurata rispose…!!). Come era nel film e come è dell’umano: non tutti , di fronte a un dolore, gridano e si strappano i capelli in pubblico……a molti sfugge solamente una furtiva lacrima…, altrettanto significativa!
Se non ancora di più, ripensando al film: con il semplice dialogo, per quanto lento e lungo, dei due sofferenti, senza ricorso ad immagini reali, si avvertiva una tensione drammatica vivissima, non minore che di fronte alla fotografia; esattamente come succede nei libri, dove la parola scritta riesce ad evocare la realtà ancora più ricca, unica ed inimitabile, della nostra fantasia e dell’interiorità recondita, rendendoci partecipi per transfert del fatto creativo.
E come stupirci, sapendo che il film è stato prodotto da Almodovar ? (tra l’altro è difficile non pensare al suo “Parla con lei”).. Difficilmente, io credo, il grande genio spagnolo avrebbe approvato ed avallato una produzione meno che superlativa….Per questo mi stupisco della tiepida accoglienza di molti!
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mrs hide
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sabato 3 maggio 2008
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beata la spagna
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Beata la Spagna che ha registi così interessanti e diversi. Isabel Coixet dà ragione a Zapatero, che mette a capo delle forze armate una donna incinta di sette mesi. Un film perfetto o quasi. Due attori al meglio, una storia che aiuta a non dimenticare senza l'uso di effettaci. Mi ha fatto ricordare perché ho smesso di andare in Croazia, dove passavo tutte le estati: temevo di domandarmi se il giovane cameriere di turno fosse stato uno sgozzatore e uno stupratore. Ma per tornare al film, effettivamente non sembra un film spagnolo o di una donna. Il che in termini cinematografici non significa niente, perché non c'è aumento o diminuzione di valore, ma mi piace essere spiazzata, dà più sapore alle cose.
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Beata la Spagna che ha registi così interessanti e diversi. Isabel Coixet dà ragione a Zapatero, che mette a capo delle forze armate una donna incinta di sette mesi. Un film perfetto o quasi. Due attori al meglio, una storia che aiuta a non dimenticare senza l'uso di effettaci. Mi ha fatto ricordare perché ho smesso di andare in Croazia, dove passavo tutte le estati: temevo di domandarmi se il giovane cameriere di turno fosse stato uno sgozzatore e uno stupratore. Ma per tornare al film, effettivamente non sembra un film spagnolo o di una donna. Il che in termini cinematografici non significa niente, perché non c'è aumento o diminuzione di valore, ma mi piace essere spiazzata, dà più sapore alle cose. Coixet sfiora, ma non superficialmente, tanti temi, senza mai essere banale: la vita in fabbrica, la vita su una piattaforma offshore, la famiglia, l'etica, il rapporto del malato con il corpo sofferente e il pudore, la sindrome del sopravissuto. I comprimari divertenti (l'oca, il cuoco, i gay, il basilico...)non sono fini a se stessi, proprio come succede in un giardino ben progettato, che non vedi mai in un solo colpo d'occhio, e dove tutto si tiene in un gioco di corrispondenze: la svolta del sentiero, l'apertura nella siepe su un'altra vista, il ciliegio fiorito in mezzo a un prato, la scultura che accentua un punto focale, la panca per fermarsi a guardare, ecc., non distraggono, anzi sollecitano l'interesse per quel che vien dopo. L'unico difetto: la voce fuori campo, del tutto inutile e che rovina il finale. "Imparerò a nuotare": avrebbe dovuto finire lì. Inoltre era molto irritante che la vocetta avesse il timbro infantile. Immagino che non sia stato una decisione del doppiaggio, spero almeno che non si arrivi a tanto...
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federico munari
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martedì 27 novembre 2012
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imparerò a nuotare
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La vita segreta delle parole
Fin dalle prime immagini sembra che la regista voglia avvertirci della possibilità che alcuni contenuti importanti restino nascosti senza una disponibilità e una capacità di vedere oltre ciò che immediatamente appare. Tra lo scorrere dei titoli di testa e dei nomi dei protagonisti appaiono fugacemente i temi (Love, believe, silence, pain, cut, minutes, rain, friends, words) che il film affronterà e solo un attento sguardo potrà coglierli.
Accolto l’invito, inizia una esperienza coinvolgente che, anche grazie all’interpretazione di attori di alto livello, introduce alla fruizione di un’opera d’arte cinematografica certamente impegnativa, intensa e ricca di spunti.
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La vita segreta delle parole
Fin dalle prime immagini sembra che la regista voglia avvertirci della possibilità che alcuni contenuti importanti restino nascosti senza una disponibilità e una capacità di vedere oltre ciò che immediatamente appare. Tra lo scorrere dei titoli di testa e dei nomi dei protagonisti appaiono fugacemente i temi (Love, believe, silence, pain, cut, minutes, rain, friends, words) che il film affronterà e solo un attento sguardo potrà coglierli.
Accolto l’invito, inizia una esperienza coinvolgente che, anche grazie all’interpretazione di attori di alto livello, introduce alla fruizione di un’opera d’arte cinematografica certamente impegnativa, intensa e ricca di spunti.
La sordità di Anna, parzialmente risolta dalla tecnologia e la temporanea cecità di Josef esprimono la difficoltà e l’incapacità di cogliere le dimensioni “nascoste” della realtà.
Il luogo di lavoro di Anna fotografa il frastuono, la ripetitività e la solitudine che caratterizzano il mondo nel quale siamo inseriti come individui solitari senza relazioni con chi vive vicino a noi.
La piattaforma in cui si svolge la parte più emozionante della vicenda, sorta di “non luogo” rappresenta ogni luogo abitato che ormai trasformato da un sistema tecnico, è diventato l’ambiente per noi “naturale” e nel quale Lisa, l’oca che, quando appare, suscita stupore, e la piantina di basilico che Simon coltiva con cura rappresentano una natura minacciata di cui prendersi cura. L’effetto prodotto dalla regista è che mentre la piattaforma ormai appare a noi moderni come “naturale”, percepiamo basilico e oca, rappresentanti di una natura vegetale e animale, come “fuori luogo”.
La regista attribuisce un certo peso al problema ambientale la cui radice sembra individuare nell’approccio riduzionistico-scientista. Il giovane Martin incarna questa prassi con la sua professione che riduce a numero la realtà del mare: “la forza del mare, il numero delle onde…”, e contemporaneamente esprime, con la sua passione ecologica, la possibilità di un utilizzo positivo della tecnologia. L’ambiente, il mare, le nubi e la pioggia sembrano partecipare alla fatica che i protagonisti e un po’ tutti condividono. Il clima di provvisorietà occupazionale contribuisce ad appesantire ulteriormente la situazione. Il cuoco Simon combatte contro una realtà che potrebbe annichilirlo con la cultura, studiando e producendo qualità e bellezza, contrastando l’omologazione che annulla le differenze e le specificità imponendo a tutti “hamburger e cipolle fritte”. Le parole che si scambiano i protagonisti introducono tragicamente anche la realtà dell’odio omicida che la guerra genera.
Josef ed Anna , inizialmente sono lontani, le loro parole non veicolano le loro anime, ma nel dialogo che si intensifica, le loro vite incominciano a svelarsi e, anche noi ci avviciniamo al mistero del dolore che riempie le loro esistenze. Ma le parole, non le chiacchiere, hanno una vita segreta. E la vita vera che per loro e per tutti coincide con l’amore segna la possibilità di risollevarsi e di ripartire.
Le cicatrici restano sulla pelle di Anna e sull’immenso mare, la brutta piattaforma ospita l’evento dell’amore umano. Cammino quasi mai lineare, spesso fragile e contraddittorio (Scott e compagno …) ma esperienza che apre l’umano al mistero di un amore più grande che non si aggiunge ma si manifesta in esso.
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cristina
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giovedì 14 giugno 2007
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il silenzio naturale
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è in questa densità di percezioni afone che inizi a diffidare di ogni voce. diffidi del suo modularsi nel tuo orecchio. inizia a dubitare della sua autenticità, della sua bellezza particolare..inizi a dubitare che sia necessario. improvvisamente il silenzio non è più un punto di riferimento arido e che bisogna rifuggire: diventa la zona franca, un utero molto familiare, un primordio perduto ma necessario. quindi salvifico. nel mutismo pregno di lei paragoni le tue inutili virgole spese in anni di conversazioni dettate dalla cortesia. a diritto la pellicola strapazza la convenzione nei rapporti umani annegandola nello strano mare in cui si erge la piattaforma. quella piatatforma che, se dapprima trasmette l' alienazione tra corpo e corpo, assume quindi le forme di un paradiso di metallo il cui sferragliare continuo è più significativo di qualsiasi chiacchiera, è il luogo dove le anime dei personaggi si rapprendono come qualcosa di sostanziale.
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è in questa densità di percezioni afone che inizi a diffidare di ogni voce. diffidi del suo modularsi nel tuo orecchio. inizia a dubitare della sua autenticità, della sua bellezza particolare..inizi a dubitare che sia necessario. improvvisamente il silenzio non è più un punto di riferimento arido e che bisogna rifuggire: diventa la zona franca, un utero molto familiare, un primordio perduto ma necessario. quindi salvifico. nel mutismo pregno di lei paragoni le tue inutili virgole spese in anni di conversazioni dettate dalla cortesia. a diritto la pellicola strapazza la convenzione nei rapporti umani annegandola nello strano mare in cui si erge la piattaforma. quella piatatforma che, se dapprima trasmette l' alienazione tra corpo e corpo, assume quindi le forme di un paradiso di metallo il cui sferragliare continuo è più significativo di qualsiasi chiacchiera, è il luogo dove le anime dei personaggi si rapprendono come qualcosa di sostanziale. diventano corpi. è lì che si rende possibile la concretizzazione animale che per cultura siamo soliti mutilare.
in questa vita segreta delle parole sono invece i corpi quelli ad aver sofferto con tagli e ustioni, ad essere stati violati e forse eclissati dal sentimento brado delle emozioni.
silenzio/pienezza. questo film è un merletto di ossimori che lo spettatore più logorroico dovrà affrontare solo aiutandosi col respiro: l'unica cosa simile al silenzio non solo per i decibel ma anche per il livello di necessità.
...c'è un solo breve attimo in cui Hanna e Josef si toccano le mani per motivi o no casuali ed è lì che s'innesta come un tumore il potere effettuale del silenzio(o meglio delle parole piene): ogni senso si acumina e in quelle palme sembra esaurirsi una guerra razziale, morire un bambino, cadere la pioggia, staccarsi una mela...rivedi tutto e niente in un gesto che contiene un mondo parallelo e segreto quanto le parole stesse. la grandezza della mani di Tim robbins cessa di suggerire il senso di timore che nel sentire comune fanno le figure imponenti. le sue mani sono come depotenziate ma giganteggiano nella nobiltà dell'atto di stringere le mani di lei. in quelle mani ti stringi anche tu e riesci a compatire nel senso più proprio che ci sia. hai solo una subitanea voglia di piangere, che ha la stessa origine del pianto di un bambino che perde qualcosa e poi la ritrova in se stesso: il silenzio naturale.
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federico munari
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lunedì 26 novembre 2012
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ti prometto che imparerò a nuotare
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La vita segreta delle parole
Fin dalle prime immagini sembra che la regista voglia avvertirci della possibilità che alcuni contenuti importanti restino nascosti senza una disponibilità e una capacità di vedere oltre ciò che immediatamente appare. Tra lo scorrere dei titoli di testa e dei nomi dei protagonisti appaiono fugacemente i temi (Love, believe, silence, pain, cut, minutes, rain, friends, words) che il film affronterà e solo un attento sguardo potrà coglierli.
Accolto l’invito, inizia una esperienza coinvolgente che, anche grazie all’interpretazione di attori di alto livello, introduce alla fruizione di un’opera d’arte cinematografica certamente impegnativa, intensa e ricca di spunti.
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La vita segreta delle parole
Fin dalle prime immagini sembra che la regista voglia avvertirci della possibilità che alcuni contenuti importanti restino nascosti senza una disponibilità e una capacità di vedere oltre ciò che immediatamente appare. Tra lo scorrere dei titoli di testa e dei nomi dei protagonisti appaiono fugacemente i temi (Love, believe, silence, pain, cut, minutes, rain, friends, words) che il film affronterà e solo un attento sguardo potrà coglierli.
Accolto l’invito, inizia una esperienza coinvolgente che, anche grazie all’interpretazione di attori di alto livello, introduce alla fruizione di un’opera d’arte cinematografica certamente impegnativa, intensa e ricca di spunti.
Film che solleva nodi problematici e propone quadri interpretativi collocabili nella tradizione “occidentale”, apparentemente lontano da riferimenti esplicitamente religiosi, che vengono evocati raramente e con un tono ironico, è un film profondamente religioso nel suo porre questioni fondamentali e nell’indicare vie di senso in grado di rialzare e sanare esistenze ferite e in crisi.
La sordità di Anna, parzialmente risolta dalla tecnologia e la temporanea cecità di Josef esprimono la difficoltà e l’incapacità di cogliere le dimensioni “nascoste” della realtà.
Il luogo di lavoro di Anna fotografa il frastuono, la ripetitività e la solitudine che caratterizzano il mondo nel quale siamo inseriti come individui solitari senza relazioni con chi vive vicino a noi.
La regista attribuisce un certo peso al problema ambientale la cui radice sembra individuare nell’approccio riduzionistico-scientista. Il giovane Martin incarna questa prassi con la sua professione che riduce a numero la realtà del mare: “la forza del mare, il numero delle onde…”, e contemporaneamente esprime, con la sua passione ecologica, la possibilità di un utilizzo positivo della tecnologia. L’ambiente, il mare, le nubi e la pioggia sembrano partecipare alla fatica che i protagonisti e un po’ tutti condividono. Josef ed Anna , inizialmente sono lontani, le loro parole non veicolano le loro anime, ma nel dialogo che si intensifica, le loro vite incominciano a svelarsi e, anche noi ci avviciniamo al mistero del dolore che riempie le loro esistenze. Dolore per il dolore provocato e dolore per il dolore subito. Quasi schiacciati, segnati dalle cicatrici che la vita ha loro lasciato.
Ma le parole, non le chiacchiere, hanno una vita segreta. E la vita vera che per loro e per tutti coincide con l’amore segna la possibilità di risollevarsi e di ripartire. Le cicatrici restano sulla pelle di Anna e sull’immenso mare, la brutta piattaforma ospita l’evento dell’amore umano. Cammino quasi mai lineare, spesso fragile e contraddittorio (Scott e compagno …) ma esperienza che apre l’umano al mistero di un amore più grande che non si aggiunge ma si manifesta in esso.
Federico Munari
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filippo catani
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lunedì 23 settembre 2013
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la guerra dimenticata
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Uma giovane ragazza lavora da anni in una fabbrica inglese e durante questo periodo non ha mai nè preso un giorno di malattia nè un giorno di ferie. Per questioni sindacali la ragazza viene allora "costretta" ad andare in ferie. Sentendo casualmente una conversazione in cui un uomo sta cercando un'infermiera si ritroverà in una piattaforma petrolifera ad accudire un uomo rimasto gravemente ustionato nel tentativo di salvare un compagno.
In un film come questo le inquadrature e i silenzi valgono più di mille parole. Gran parte del film infatti si svolge a bordo di una piattaforma petrolifera un luogo isolato per eccelenza e popolato da pochi personaggi.
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Uma giovane ragazza lavora da anni in una fabbrica inglese e durante questo periodo non ha mai nè preso un giorno di malattia nè un giorno di ferie. Per questioni sindacali la ragazza viene allora "costretta" ad andare in ferie. Sentendo casualmente una conversazione in cui un uomo sta cercando un'infermiera si ritroverà in una piattaforma petrolifera ad accudire un uomo rimasto gravemente ustionato nel tentativo di salvare un compagno.
In un film come questo le inquadrature e i silenzi valgono più di mille parole. Gran parte del film infatti si svolge a bordo di una piattaforma petrolifera un luogo isolato per eccelenza e popolato da pochi personaggi. Vi è il cuoco che per ammazzare la noia cucina i piatti tipici di ogni paese, il solitario che si trova bene su una piattaforma oppure l'oceanografo che misura le onde e controlla la fauna marina. E poi ci sono i due protagonisti: lui impiegato nella piattaforma che oltre alle fiamme reali che ne hanno divorato parte del corpo è consumato dalle fiamme morali per una storia che non riesce a perdonarsi. Lei che oltre alle ferite esteriori che il tragico passato le ha inflitto, non riesce a superare i traumi interiori dovuti alle atrocità alle quali è stata costretta ad assistere. Senza svelare troppo dello sviluppo del film che appunto procede per gradi svelando tappa dopo tappa caratteri e peculiarità di ogni personaggio, il punto centrale che viene sollevato è quello delle guerra dei Balcani. Un conflitto quello che non solo fu a lungo tempo ignorato ma che ha riservato pagine tragiche sia per la comunità internazionale e per le Nazioni unite in particolare e che oggi pare quasi oggetto di una sorta di rimozione; processo questo che ovviamente chi è stato torturato e violentato non può dimenticare. Un film toccante e commovente splendidamente diretto dalla Coixet e che ha nella Polley e nella garanzia di Tim Robbins due grandi artefici. Pare davvero incredibile che a parte che in patria questo film non abbia raccolto i premi che avrebbe meritato.
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gianfranco ortolani
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giovedì 10 agosto 2006
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il silenzio e le parole.
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Si tratta di un film asciutto, potente, forse un po' lento ma la lentezza qui si sposa bene con la tragedia, di cui l'unica, lieve, stonatura è il lieto fine, un po' scontato. Nuoce al film, che avrebbe meritato una ben più ampia promozione ed un successo più rotondo, il titolo equivoco che lo fa assomigliare e forse confondere con qualche film di cassetta che ha attraversato le sale cinematografiche nell'ultimo periodo. Ben dosato il silenzio profondamente espressivo che urla assai più delle parole e, sullo sfondo, la voce profonda della natura.
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theophilus
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lunedì 2 dicembre 2013
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l'universalità del silenzio
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LA VIDASECRETADE LAS PALABRAS
Hanna è persona silenziosa, distaccata e la sua riservatezza desta inquietudini fra le persone che la circondano. Il suo comportamento anomalo all’interno dell’ambiente di lavoro finisce per destare sospetti e invidie fra i colleghi. Il suo datore l’obbliga a prendersi un periodo di ferie. In quattro anni mai un ritardo, una malattia o un permesso e, inoltre, la ragazza svolge il suo lavoro con diligenza. Quel periodo coatto le riesce duro da affrontare. Allora Hanna si offre di prendersi cura, come infermiera, di Josef, un operaio che ha avuto un incidente su di una piattaforma di estrazione petrolifera in mezzo al mare.
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LA VIDASECRETADE LAS PALABRAS
Hanna è persona silenziosa, distaccata e la sua riservatezza desta inquietudini fra le persone che la circondano. Il suo comportamento anomalo all’interno dell’ambiente di lavoro finisce per destare sospetti e invidie fra i colleghi. Il suo datore l’obbliga a prendersi un periodo di ferie. In quattro anni mai un ritardo, una malattia o un permesso e, inoltre, la ragazza svolge il suo lavoro con diligenza. Quel periodo coatto le riesce duro da affrontare. Allora Hanna si offre di prendersi cura, come infermiera, di Josef, un operaio che ha avuto un incidente su di una piattaforma di estrazione petrolifera in mezzo al mare.
La vida secreta de las palabras è, principalmente, la cronaca di un incontro fra due persone. Lui è momentaneamente privo della vista, lei è sorda ad ogni richiamo esteriore e, così, si spiega il suo mutismo. Hanna, però, ha effettivi problemi d’udito e sente tramite un apparecchio acustico.
Il titolo del film – La vita segreta delle parole – è già chiaro indice di come la sceneggiatura interferisca in modo imprevedibile nelle vicende dei due protagonisti. I dialoghi fra un cieco e un sordo vanno al di là del puro scambio verbale. I due devono supplire con l’immaginazione alle loro deficienze e dal loro sforzo ha origine un plus valore di natura etica che permette di superare le barriere, naturali e non, che si frappongono fra di loro.
Il senso principale del film ci è parso proprio quello. Quando il ghiaccio si spezza e Hanna si accorge che è l’uomo che si sta prendendo cura di lei, allora le parole fluiscono tragiche, commoventi, liberatorie. C’è un reale recupero alla vita. Poco importa che il finale giunga a toni esplicativi apparentemente non necessari. Può sembrare pleonastico un lieto fine in cui i due affrontino una vita in comune piena di potenziali e tormentosi ostacoli da superare. Ma la chiarezza e la drammatica schiettezza del film consentono questa scelta, che anzi s’impone come giusta.
Intensissima l’interpretazione di Sarah Polley, già efficace protagonista del precedente film della regista Isabel Coixet, La mia vita senza me (Canada/Spagna, 2003); assai convincente anche Tim Robbins.
Il film vive anche di altri temi e vede le ulteriori presenze significative di attori quali Julie Christie e Javier Camara. Soprattutto l’ambientazione può, inoltre, richiamare alla mente Breaking the Waves, Le onde del destino, film diretto nel 1996 da Lars von Trier.
Enzo Vignoli,
28 aprile 2006
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