FIGHT CLUB (USA, 1999) diretto da DAVID FINCHER. Interpretato da EDWARD NORTON, BRAD PITT, HELENA BONHAM CARTER, MEAT LOAF ADAY, JARED LETO, EZRA BUZZINGTON, ZACH GRENIER, RICHMON ARQUETTE, DAVID ANDREWS, GEORGE MAGUIRE, CHRISTINA CABOT
Tormentato dall’insonnia, alla ricerca disperata di un’identità in un mondo che si avvia ad entrare nella globalizzazione più spersonalizzante e disorientante, il giovane americano in carriera Jack (Norton), impiegato vessato dal datore di lavoro, frequenta gruppi di terapia nel tentativo inutile di condividere il dolore altrui, compreso quello dell’incostante femme fatale Marla (Bonham Carter), affetta da disturbo ossessivo-compulsivo. Crede di trovare la soluzione ai suoi problemi quando, in aereo, incontra il coetaneo Tyler, venditore di sapone, che lo introduce nel mondo dei Fight Clubs, luoghi clandestini il cui scopo di esistenza è massacrarsi a mani nude, in modo da sfogare gli istinti umani primordiali e dare una risposta decisa e convinta alle limitazioni infinitamente opprimenti di una società sempre più tecnologica, restringente e soprattutto consumistica. Ma poi, per abbattere il sistema usandone l’ideologia e portandola alle sue estreme conseguenze, i semplici duelli si trasformano in qualcosa di più drastico e violento: il progetto Mayhem, atto a sradicare i simboli del materialismo imperante e a distruggere tutti gli ostacoli sociali che impediscono all’individuo una piena crescita spirituale e mentale. Jack scoprirà poi che Tyler altri non è la sua personalità nascosta, il soggetto che egli vorrebbe essere, libero da ogni nevrosi e capace di mettere in atto le proprie decisioni, non solo di pensarle. Il film è tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk, ed è sceneggiato da Jim Uhls. Quarta opera del californiano Fincher (1963), si rivela molto vicina alle tematiche freudiane dello sviluppo psico-sessuale, dell’autorealizzazione in una società in cui le pulsioni primitive vengono costantemente esorcizzate e allontanate, la contrapposizione fra uomini e donne riguardo la paura dei contatti fisici, ma anche quella fra genitori e figli in cui i secondi temono i primi e si sentono schiacciati dalla loro decisiva superiorità, il che li porta a diventare nevrotici e a mancare i loro obiettivi soltanto pensati. Questi temi così alti (fra cui ci sono anche la presenza infida e melliflua del Male, il nichilismo metropolitano, l’edonismo odierno, la religione totalitaria, il “doppio” derivato da Dostoevskij) sono trattati con occhio attento e arguto, e c’è da ammettere che il regista non si lascia sfuggire di mano la materia narrativa e riesce a coordinare una storia tanto complessa in cui forse c’è troppa carne al fuoco, benché la vicenda risulti comunque fluida e scorrevole come un fiume primaverile che raccoglie i segni della bella stagione. E la raccolta di questo film non troppo conosciuto ma pur sempre valido comprende idee azzeccate (il sapone come “misura della società”), trovate ingegnose (il seno enorme della figura materna di Jack, un omaccione tonto e abulico), discorsi accattivanti e cinici (la marchiatura della mano di Jack, dietro obbligo esplicito dello spietato Tyler, “padre ideale” per il pavido protagonista) e una tetraggine pervadente che conferma una duttilità quasi diabolica e una potenzialità esperta nello spaventare lo spettatore ricorrendo a un pathos fortemente antiepatico che radicalizza tutte le paure dell’uomo moderno e diffonde un terrore invasivo che pone interrogativi inquietanti a proposito del senso dell’esistenza in un pianeta in cui tutto diventa relativo e le certezze assolute sono ormai il ricordo di un lontanissimo passato. La perizia narrativa è indiscutibile, specialmente nella prima parte, malgrado qualche forzatura nella dialettica psicanalitica e un eccesso di autocompiacimento nelle scene violente ed erotiche. Norton e Pitt formano una coppia efficace, l’uno il risvolto della medaglia dell’altro, e insieme si completano come i due volti di uno specchio, facendo ampio uso di una recitazione paradossale e anticonvenzionale (specie per quanto concerne il carattere di Brad: dissacrante, sardonico, originale), mentre H. Bonham Carter affina anche grazie a questa pellicola il suo talento di attrice fuori dall’ordinario, capace di stupire con il suo umorismo stralunato, i suoi personaggi spesso oscuri e misteriosi e i suoi sguardi assenti e colpiti. E non è un caso, infine, che il film sia uscito sul finire del XX secolo: l’inizio del Nuovo Millennio è alle porte, come si avverte con evidenza non troppo recondita nella sequenza finale, in cui esplodono tutti i grattacieli della città per via degli ordini esplosivi piazzati dai terroristi nelle profondità dei garage metropolitani. Consigliabile agli studenti che sono in procinto di apprendere i meccanismi della psicoanalisi e le derivanti angosce che questa disciplina attribuisce agli uomini costretti a vivere in una realtà grandemente destabilizzante.
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