fabriziocolamartino
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lunedì 6 gennaio 2014
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l’affetto : musica = le parole : crescita
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Fin dal titolo, Prima la musica, poi le parole, il film di Wetzl rimanda a un modo totalmente diverso di concepire l’ordine delle cose: quello di Giovanni, il piccolo protagonista, il cui linguaggio è incomprensibile agli altri poiché strutturato su schemi logici differenti da quelli convenzionali, ma anche quello proprio di chi compone canzoni, la cui regola principale è di creare prima la melodia per poi cercare le parole giuste da accompagnarvi. Al di là dell’illustrazione di un caso del tutto particolare e paradossale come quello del piccolo Giovanni, ciò cui allude il titolo è la necessità, reale e vitale per ogni individuo, di costruire le strutture logiche del proprio pensiero (e quelle del linguaggio anzitutto) a partire da un substrato affettivo forte che può essere dato soltanto in presenza di un nucleo familiare al cui interno le varie componenti coesistano in un rapporto di reciproco equilibrio.
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Fin dal titolo, Prima la musica, poi le parole, il film di Wetzl rimanda a un modo totalmente diverso di concepire l’ordine delle cose: quello di Giovanni, il piccolo protagonista, il cui linguaggio è incomprensibile agli altri poiché strutturato su schemi logici differenti da quelli convenzionali, ma anche quello proprio di chi compone canzoni, la cui regola principale è di creare prima la melodia per poi cercare le parole giuste da accompagnarvi. Al di là dell’illustrazione di un caso del tutto particolare e paradossale come quello del piccolo Giovanni, ciò cui allude il titolo è la necessità, reale e vitale per ogni individuo, di costruire le strutture logiche del proprio pensiero (e quelle del linguaggio anzitutto) a partire da un substrato affettivo forte che può essere dato soltanto in presenza di un nucleo familiare al cui interno le varie componenti coesistano in un rapporto di reciproco equilibrio. Solo sulla “musica” prodotta dall’affetto e dai sentimenti è possibile intonare le parole giuste, quelle che permetteranno al bambino di relazionarsi correttamente e razionalmente con il mondo che lo circonda. Così non è per Giovanni, educato da suo padre a utilizzare un linguaggio speculare rispetto all’italiano, ma soprattutto privato del sostegno affettivo della madre, fuggita poco tempo dopo averlo dato alla luce. Con la morte del padre, paradossalmente vittima di se stesso e della propria presunzione (le sue ultime parole. “Giovanni, và a chiamare qualcuno”, non vengono ovviamente comprese dal bambino, abituato al linguaggio speculare che proprio Lanfranco gli ha insegnato), Giovanni esce nel mondo, è costretto a confrontarsi con gli altri e a prendere atto della propria diversità. Come spesso accade, tuttavia, la risposta della società a chi è ritenuto diverso è la reclusione in un luogo di cura, l’ospedalizzazione tendente a isolare il soggetto per studiarne il comportamento al riparo da influenze esterne e a proteggerlo dai traumi che il contatto con gli altri potrebbe provocare. I colleghi di Marina ripetono involontariamente ciò che Lanfranco aveva fatto deliberatamente: isolano Giovanni come fosse un animale da laboratorio nel vano tentativo di trovare una causa organica al problema e, soprattutto, tentano di imporre al bambino un linguaggio per vie del tutto astratte, impedendone il naturale reinserimento nella comunità e soprattutto quel rapporto “affettivo” ed empirico con la realtà che possa scardinarne le vecchie abitudini. In fondo, l’assurdo comportamento di Lanfranco rispecchia il desiderio più o meno inconscio di ogni genitore di plasmare il proprio figlio senza che altri possano influire sulla sua educazione: quale sistema migliore di un totale isolamento del bambino all’interno di un universo linguistico al quale nessun altro può accedere? Il merito principale di Marina, dunque, sta non solo nel riuscire a comprendere il linguaggio misterioso di Giovanni e di averlo strappato a quella condizione di malato che ne avrebbe bloccato per sempre lo sviluppo ma, soprattutto, di aver creato una condizione all’interno della quale fosse possibile sviluppare quella componente “affettiva” del linguaggio grazie alla quale alla musica dei significanti della lingua (i suoni delle parole) corrispondano dei significati (e soprattutto dei referenti) con i quali il bambino possa avere un contatto diretto, reale e non solo astratto e riflesso così com’era nelle intenzioni del padre.
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albenedetti
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mercoledì 1 agosto 2012
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bisogna solo imparare ad ascoltarlo
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"Prima la musica poi le parole" ci cattura in un vortice di emozioni in cui è facile riconoscersi quando si soffre il peso dell'incomprensione: non solo quella che si subisce quando non si è capiti ma anche quella che si fa patire all'altro quando non si riesce a capirlo o non si vuole capirlo, perché magari ci costa sacrificio. Basti pensare all'esperienza del significato e del significante della parola "relazione": ci si può sforzare di individuare una convenzione per attribuire un'immagine e una spiegazione alla parola, ma questa viene svilita se il valore che le diamo non combacia con quello dato dalla persona a cui ci relazioniamo.
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"Prima la musica poi le parole" ci cattura in un vortice di emozioni in cui è facile riconoscersi quando si soffre il peso dell'incomprensione: non solo quella che si subisce quando non si è capiti ma anche quella che si fa patire all'altro quando non si riesce a capirlo o non si vuole capirlo, perché magari ci costa sacrificio. Basti pensare all'esperienza del significato e del significante della parola "relazione": ci si può sforzare di individuare una convenzione per attribuire un'immagine e una spiegazione alla parola, ma questa viene svilita se il valore che le diamo non combacia con quello dato dalla persona a cui ci relazioniamo. È forse un gioco di prospettive o c'è di più? Giovanni non parla una lingua incomprensibile, bisogna solo imparare ad ascoltarlo. E per fare questo bisogna iniziare dalla musica, l'arte che meglio di altre riesce a decodificare il linguaggio delle emozioni nonchè il modo più evidente in cui Giovanni riesce ad esprimersi, capovolgendo la briosità delle note di Bach, in una melodia enigmatica che non a caso sintetizza la sua angoscia per non essere compreso. Come il linguaggio è importante perchè è un tramite che permette di relazionarsi agli altri, così la sofferenza per l'impossibilità di comunicare ha qualcosa di sacro: Marina ed Elena lo percepiscono quando Giovanni resta in silenzio davanti al dipinto della deposizione del Cristo. Addirittura il bambino si toglie il berretto, in segno di rispetto del Dolore che la tela emana (bravissimo Andrej Chalimon). Ecco allora che questo affascinante puzzle di costruzione e decostruzione dei codici rivela il suo messaggio più profondo se e solo se riusciamo ad annientare le geometrie dettate dalla nostra razionalità per far posto al linguaggio delle emozioni, che poi è il linguaggio dell'anima: un invito universale alla comprensione dell'altro e della sua sofferenza per non essere compreso, a prescindere da ogni pregiudizio, linguistico e non. Perchè prima esistiamo come individui, poi come parte del mondo. Perchè prima ci presentiamo a noi stessi e al mondo attraverso il nostro corpo e i nostri occhi, che sono lo specchio dell'anima con cui guardiamo il mondo, poi sorge l'esigenza di fissare delle convenzioni che permettano di farci capire dagli altri ma anche di capire gli altri. Perché prima viene la musica, poi vengono le parole.
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federica
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domenica 1 marzo 2009
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entusiasmo di dire dire e ancora dire
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> Il film invita a riflettere sulla comunicazione, sul linguaggio,
sulla convenzionalita' e l'artificiosita' delle lingue umane, su quali
devono essere i veri scopi di uno psicologo (capire lui il paziente o
costringere il paziente a seguire una strada diversa dalla propria),
sulla maternita' etc etc. Il film ha forse il difetto che mette troppa carne al fuoco. Ma mi e' molto piaciuto questo entusiasmo
di dire dire e ancora dire, in un cinema come quello italiano dove si
ricerca troppo spesso il modo piu' lezioso per dire qualcosa senza
troppa attenzione a quello che si dice.
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federica
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domenica 1 marzo 2009
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una storia originale e bella
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Un gran bel film, pieno di spunti di discussione, una storia originale e
bella, ed una strepitosa Bonaiuto.
Devo dire che poi i primi 20 min del film sono bellissimi proprio
perche' non spiegano nulla, e ti lasciano in questo clima di attesa, di
colui che non capisce, ed appena inizi a sentir parlare il bambino pensi
quasi sia normale (con due genitori cosi' strani): io mi ero messa in
testa che stesse declamando dei versi.
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albertofar
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domenica 1 marzo 2009
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la logica nascosta dietro le strambe frasi
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A me e' piaciuto parecchio. Un po' freddo, d'accordo: ma il bello
per me stava nel gioco enigmistico, e nello scoprire solo a poco a
poco quale sia la logica nascosta dietro alle strambe frasi del
bambino. L'ho visto, insomma, come un giallo... col gusto di capire che diavolo succedeva, piu' che di affezionarmi ai personaggi. L'idea di fondo mi sembra talmente ricca di implicazioni da far dimenticare qualche difettuccio (per lo piu' nella descrizione all'inizio del rapporto fra Perrin e la Sandrellina). E il film -salvo qualche compiacimento di regia di troppo verso la meta'- e' girato bene... in senso piu'intellettualistico che viscerale, certo, ma che mi pare meriti ammirazione.
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fabrizio
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mercoledì 4 febbraio 2009
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un ottimo film
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ho visto questo film lo scorso lunedì al cinema roma a barga^^ è stato davvero divertente sono stato preso dal film e mi è piaciuto un sacco il finale solo che all'inizio non si capiva bene e portava alla noia, la moglie che non si sapeva che fine aveva fatto e le parole incomprensibili del bambino.
[+] che il film non si capisca all'inizio è voluto
(di fulvio wetzl)
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matteo nerini
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martedì 23 dicembre 2008
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solo l'iniziativa personale è l'unica salvezza
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Il protagonista è Giovanni, bambino di sette anni vissuti con il solo padre in una grandissima villa, dove l'uomo si dedica ai suoi studi di glottologia e, per dimostrare alcune sue tesi, insegna al figlio un linguaggio costruito secondo un codice la cui decifrazione occupa una parte di rilievo nel complesso di storie che il film abbraccia. Tutto finché all'improvviso la morte stronca lo studioso, con quello che appare un infarto, lasciando nella più completa solitudine il povero bambino. Il piccolo finisce in un ospedale, dove i medici lo esaminano senza capire, e il suo caso viene preso in cura da una psicologa, Marina. Il finale della storia, a cui lo strutturalismo di De Saussure fa da telaio, avviene in Francia anni dopo; lì troviamo Giovanni cresciuto e che gode di una vita normale e lascia aperta l'idea che la ricostruzione del linguaggio non sarebbe possibile per lui in Italia ma che il francese, per le somiglianze con l'italiano e per le caratteristiche che ha in sé, risulta perfetto per reintegrarlo del tutto.
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Il protagonista è Giovanni, bambino di sette anni vissuti con il solo padre in una grandissima villa, dove l'uomo si dedica ai suoi studi di glottologia e, per dimostrare alcune sue tesi, insegna al figlio un linguaggio costruito secondo un codice la cui decifrazione occupa una parte di rilievo nel complesso di storie che il film abbraccia. Tutto finché all'improvviso la morte stronca lo studioso, con quello che appare un infarto, lasciando nella più completa solitudine il povero bambino. Il piccolo finisce in un ospedale, dove i medici lo esaminano senza capire, e il suo caso viene preso in cura da una psicologa, Marina. Il finale della storia, a cui lo strutturalismo di De Saussure fa da telaio, avviene in Francia anni dopo; lì troviamo Giovanni cresciuto e che gode di una vita normale e lascia aperta l'idea che la ricostruzione del linguaggio non sarebbe possibile per lui in Italia ma che il francese, per le somiglianze con l'italiano e per le caratteristiche che ha in sé, risulta perfetto per reintegrarlo del tutto. Troviamo una velata critica alla nostra società, dietro a questo thriller, non adatta a ricevere i diversi, dove di fatto solo l'iniziativa personale è l'unica salvezza. Tecnicamente mi ha colpito la fotografia che, molto curata, rende estremamente piacevole il film nei momenti un po' meno scorrevoli e inoltre la struttura del personaggio del padre di Giovanni che serve per dare senso ad un tema che io personalmente ho sentito molto. Il fatto che lui abbia «stipulato un contratto» con la moglie per avere un figlio e che abbia sacrificato l'infanzia di lui per dimostrare i suoi scopi mi apre gli occhi su situazioni, solitamente meno eccessive ma tristemente quotidiane. Troppo spesso i sentimenti e i rapporti interpersonali vengono sacrificati per raggiungere i propri scopi. Pervade il film la musica del minuetto di Bach. «La musica è tra tutte le forme di espressione quella che più ci colpisce interiormente anche contro la nostra volontà...» - dice il regista - «agisce contro la nostra razionalità, ci colpisce subliminalmente alle emozioni. Le parole al contrario sono il massimo portato dell'intelligenza razionale «Il titolo «Prima la musica poi le parole» è quello di un'operina di Antonio Salieri che parla del contrasto tra compositore e librettista e, una volta visto il film, risulta emblematico di quello che è stato il percorso per decifrare il linguaggio di Giovanni. Il film è stato notevolmente apprezzato in tutto il mondo a moltissimi festival, trentaquattro per la precisione, dove molti premi e riconoscimenti lo hanno accompagnato, ma in Italia Wetzl lo sta ancora presentando, girando di città in città di cinema in cinema... ed afferma: «Posso dire con orgoglio di essere l'unico regista italiano che ha visto in faccia tutti gli spettatori del suo film».
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matteo nerini
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lunedì 22 dicembre 2008
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si può parlare anche attraverso la musica
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Il protagonista è Giovanni, bambino di sette anni vissuti con il solo padre in una grandissima villa, dove l'uomo si dedica ai suoi studi di glottologia e, per dimostrare alcune sue tesi, insegna al figlio un linguaggio costruito secondo un codice la cui decifrazione occupa una parte di rilievo nel complesso di storie che il film abbraccia. Tutto finché all'improvviso la morte stronca lo studioso, con quello che appare un infarto, lasciando nella più completa solitudine il povero bambino. Il piccolo finisce in un ospedale, dove i medici lo esaminano senza capire, e il suo caso viene preso in cura da una psicologa, Marina. Il finale della storia, a cui lo strutturalismo di De Saussure fa da telaio, avviene in Francia anni dopo; lì troviamo Giovanni cresciuto e che gode di una vita normale e lascia aperta l'idea che la ricostruzione del linguaggio non sarebbe possibile per lui in Italia ma che il francese, per le somiglianze con l'italiano e per le caratteristiche che ha in sé, risulta perfetto per reintegrarlo del tutto.
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Il protagonista è Giovanni, bambino di sette anni vissuti con il solo padre in una grandissima villa, dove l'uomo si dedica ai suoi studi di glottologia e, per dimostrare alcune sue tesi, insegna al figlio un linguaggio costruito secondo un codice la cui decifrazione occupa una parte di rilievo nel complesso di storie che il film abbraccia. Tutto finché all'improvviso la morte stronca lo studioso, con quello che appare un infarto, lasciando nella più completa solitudine il povero bambino. Il piccolo finisce in un ospedale, dove i medici lo esaminano senza capire, e il suo caso viene preso in cura da una psicologa, Marina. Il finale della storia, a cui lo strutturalismo di De Saussure fa da telaio, avviene in Francia anni dopo; lì troviamo Giovanni cresciuto e che gode di una vita normale e lascia aperta l'idea che la ricostruzione del linguaggio non sarebbe possibile per lui in Italia ma che il francese, per le somiglianze con l'italiano e per le caratteristiche che ha in sé, risulta perfetto per reintegrarlo del tutto. Per il promettente Andrj Chalimon, moscovita, premio Oscar con «Kolja», Wetzl sostiene di aver subito una vera e propria infatuazione e racconta di aver dovuto affrontare in precedenza numerosi provini, per trovare un bambino che avesse la capacità di reggere piani sequenza molto lunghi ed impegnativi, e quindi una concentrazione, per molto tempo. Troviamo una velata critica alla nostra società, dietro a questo thriller, non adatta a ricevere i diversi, dove di fatto solo l'iniziativa personale è l'unica salvezza. Tecnicamente mi ha colpito la fotografia che, molto curata, rende estremamente piacevole il film nei momenti un po' meno scorrevoli e inoltre la struttura del personaggio del padre di Giovanni che serve per dare senso ad un tema che io personalmente ho sentito molto. Il fatto che lui abbia «stipulato un contratto» con la moglie per avere un figlio e che abbia sacrificato l'infanzia di lui per dimostrare i suoi scopi mi apre gli occhi su situazioni, solitamente meno eccessive ma tristemente quotidiane. Troppo spesso i sentimenti e i rapporti interpersonali vengono sacrificati per raggiungere i propri scopi. Pervade il film la musica del minuetto per archi numero 2 di Bach. «La musica è tra tutte le forme di espressione quella che più ci colpisce interiormente anche contro la nostra volontà...» - dice il regista - «agisce contro la nostra razionalità, ci colpisce subliminalmente alle emozioni. Le parole al contrario sono il massimo portato dell'intelligenza razionale «Il titolo «Prima la musica poi le parole» è quello di un'operina di Antonio Salieri che parla del contrasto tra compositore e librettista e, una volta visto il film, risulta emblematico di quello che è stato il percorso per decifrare il linguaggio di Giovanni. Il film è stato notevolmente apprezzato in tutto il mondo a moltissimi festival, trentaquattro per la precisione, dove molti premi e riconoscimenti lo hanno accompagnato, ma in Italia Wetzl lo sta ancora presentando, girando di città in città di cinema in cinema... ed afferma: «Posso dire con orgoglio di essere l'unico regista italiano che ha visto in faccia tutti gli spettatori del suo film». Purtroppo il cinema d'arte nostrano non decolla perché ai botteghini sbancano titoli pieraccioniani e holiwoodiani col risultato di far emigrare i nostri registi altrove.
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thomas martinelli
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lunedì 22 dicembre 2008
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ecco la lingua dei bambini
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Cosa può succedere a un bambino sano ed intelligente se cresce isolato dai suoi coetanei e fatto oggetto di sperimentazioni linguistici di suo padre? Parte di questa situazione estrema il nuovo film di Fulvio Wetzl «Prima la musica, poi le parole», presentato ieri al 29 Giffoni Film Festival. Girato totalmente in Toscana fra Colle Val d'Elsa e Volterra passando per Firenze, è la storia del piccolo Giovanni (il russo Andrej «Kolya» Chalimon) a cui, per la fredda e maniacale ragione accademica del padre professore di linguistica (Jacques Perrin), viene insegnato un italiano alla rovescia. Computer e giardino nella splendida villa «alla Colombaia», il film apre con la madre «a contratto» (Amanda Sandrelli) incinta, istintiva e poco colta.
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Cosa può succedere a un bambino sano ed intelligente se cresce isolato dai suoi coetanei e fatto oggetto di sperimentazioni linguistici di suo padre? Parte di questa situazione estrema il nuovo film di Fulvio Wetzl «Prima la musica, poi le parole», presentato ieri al 29 Giffoni Film Festival. Girato totalmente in Toscana fra Colle Val d'Elsa e Volterra passando per Firenze, è la storia del piccolo Giovanni (il russo Andrej «Kolya» Chalimon) a cui, per la fredda e maniacale ragione accademica del padre professore di linguistica (Jacques Perrin), viene insegnato un italiano alla rovescia. Computer e giardino nella splendida villa «alla Colombaia», il film apre con la madre «a contratto» (Amanda Sandrelli) incinta, istintiva e poco colta. L'inziio lessicalmente misterioso e la musica inquietante di violini (rimando a Hitchcock) ben presto si aprono, alla morte per infarto del maturo studioso, agli esterni più solari della campagna toscana. Il ragazzo esce per la prima volta e si misura con la gente _ fra questi Carlo Monni in veste di burbero verduraio benefico _ con auto e scuolabus, con i suoi coetanei e le loro parole. Qui l'inconsapevole gioco di parole del piccolo Giovanni svela subito il «disagio» di conoscere solo un linguaggio decontestualizzato e assurdo. Prima di capire che dice volpe al posto di acqua, che lo zucchero lo chiama abbaino e che quando ha sonno chiede di ruzzolare dovrà passare infatti per le mani di polizia, Usl e tribunale minorile. Nessuno lo capisce _ tutte bischerate chiosa Monni _ a parte la psicologa Marina (Anna Buonaiuto) che sa mettersi in ascolto. Ecco che la malattia indecifrabile (disturbi neurologici? sordità? autismo? addirittura ictus?) trova, per quanto sconcertante, la sua chiave di lettura: quella di saper accogliere la modalità espressiva per qualla che è entrando veramente in reazione con il bambino. Nella battaglia persa all'interno dell'istituzione Marina sbotta contro il primario «Vuoi imporre per forza il tuo linguaggio?» ma il professor Minucci (Giacomo Piperno) non batte ciglio: «Mio e di 60 milioni di italiani». Non avendo altra scelta, Marina prende Giovanni sotto le sue cure anche materne e si rifugia in clandestinità a Volterra. «E stata una cittadina laboratorio dell'antipsichiatria, dove il manicomio che aveva un altissimo numero di internati coinvolgeva umanamente di fatto tutta la cittadinanza» spiega il regista-sceneggiatore Wetzl. I motivi per avere ambientato la storia in Toscana sono anche altri però: «è la regione culla della lingua italiana che qui viene messa in discussione dallo studioso linguista». Wetzl, autore anche di una biografia di Roberto Benigni e direttore del Festival Arezzo Cittadella del cinema indipendente, aggiunge un altro motivo ancora: «E la terra di Pinocchio, il più bel libro sull'infanzia in assoluto e da cui non si piuò prescindere quando si parla di bambini». Non a caso il ragazzo sulla strada porta con sè una sorta di abecedario come il famoso burattino e si possono individuare in Monni una versione aggiornata di Mangiafoco e nell'infermiera Elena (Barbara Enrichi) la Fata Turchina della situazione. Il film sarà distribuito nelle sale cinematografiche nel mese di ottobre.
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marrani
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lunedì 22 dicembre 2008
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film intrigante ed attento
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Con «Prima la musica poi le parole» il coltissimo Fulvio Wetzl ci propone un film intrigante ed attento, anche se non sempre di facile lettura. Un «thriller» tessuto sul linguaggio incomprensibile di un bambino rimasto fortemente scosso per l'improvvisa morte del padre e con una psicologa che si assume il non facile compito di trovarne la chiave (un'Anna Bonaiuto in grande forma). Girato due anni fa - e soltanto ora distribuito - il film di Wetzl ha ricevuto frattanto apprezzamenti lusinghieri in decine di festival internazionali: Giffoni 1999, S. Francisco, Shangai, Annecy.
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