Sono già trascorsi undici anni da quando William Munny ha riposto il fucile e si è ritirato a condurre una vita tranquilla nel suo ranch. Ma i tempi sono davvero duri in Wyoming. La moglie di Munny è morta, i bambini sono affamati e il bestiame è stato decimato dalla febbre. Si presenta alla fattoria Schofield Kid, un giovane cacciatore di taglie alla ricerca di un socio. E chi meglio del famigerato pistolero William Munny? Munny all’inizio rifiuta ma poi, spinto dall’estremo bisogno di denaro della taglia, accetta l’ingaggio. I due, dunque, si mettono alla ricerca dei due uomini che hanno aggredito delle prostitute e su cui pende una taglia di mille dollari. Unitisi al vecchio pistolero di colore Ned Logan, la strada dei tre pistoleri incrocerà quella dello sfortunato sicario English Bob e a quella del brutale sceriffo Little Bill Daggett.
16° film di Clint Eastwood come regista e 38° come attore protagonista in cui il pistolero interpretato da Eastwood è quanto di più lontano si possa immaginare dall'eroe della frontiera, un vecchio assassino in pensione che ha lasciato la pistola per un diventare un miserabile contadino che ora combatte contro i porci nel cortile di casa, nel corso del film il nostro anti-eroe precipita più volte nel ridicolo e nel grottesco (non riesce a cavalcare, non ha più la mira...). Ma quando uno sceriffo uccide un suo amico il contadino muore seppellito da una rabbia urlante, una pioggia torrenziale lava via il fango e la vecchiaia e il pistolero ritorna spietato, l'epico west demistificato per tutto il film ritorna violento, brutale maestoso nel finale. Sembra quasi di rivedere il pistolero senza paura che nei film di Leone uccideva una mezza dozzina di nemici. Il west tramonta, risorge per poi morire definitivamente attraverso una storia raccontata bene e diretta ancora meglio. Uno dei generi più belli di tutta la storia del cinema ha in questo film il suo sontuoso e unico "canto del cigno". Sì, il western, che aveva visto nel capolavoro di Sergio Leone, la propria morte, è tornato in vita alla grande, con un capolavoro sulla violenza, crepuscolare, quasi autunnale, diretto magistralmente ( Oscar 1993 alla miglior regia per Eastwood ), sceneggiato in maniera straordinaria e interpretato grandiosamente. Un concerto senza una stonatura, che ha strappato al West, la sua maschera eroica e leggendaria e ne viene mostrato invece il lato marcio: il protagonista non è più l’eroe della frontiera, ma un assassino a sangue freddo; la società è sporca e basata sulla legge del più forte; lo sceriffo, da sempre visto come il simbolo e l’incarnazione umana della Giustizia e dell’Onestà, diventa invece sinonimo di brutalità, violenza e allo stesso tempo, criminalità. Il film, che si apre con un meraviglioso tramonto ( o alba ) e che si chiude con un inquietante e cupo acquazzone, trasmette un senso di epica come mai si era vista prima, neanche nei film di Leone, ma da anche un amaro senso di tragedia. La regia di Eastwood è rozza e per questo perfetta, i picchi registici sono di altissimo livello, come le bellissime scenografie, straordinariamente fotografate, stupenda la colonna sonora, meno trionfale ma più profonda di quelle ormai memorabili di Ennio Morricone e semplicemente straordinario Gene Hackman ( con il suo secondo Oscar in tasca ), che rende il suo personaggio, il miglior riuscito della pellicola, riuscendo, con la sua presenza a rubare la scena a Clint Eastwood ( tornato a casa a mani vuote e con solo una nomination come protagonista ). Finale che sospende la narrazione, che per certi versi rimanda a quello di Apocalypse Now, e che lascia sconcertati. Azione ed adrenalina sono assicurate.
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