starwitness
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martedì 14 settembre 2010
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pietà o no?
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Se il film indulge al pietismo, me lo sono chiesto, ma non sono riuscita a rispondere. Dopo tutto la contrapposizione tra popolo e alta borghesia è condotta evidenziandone sempre una differenza sostanziale nelle forme e una sostanziale somiglianza nei contenuti, a cui fanno eccezione, da una parte e dall'altra, le persone che hanno davvero voluto bene a J.Merrick, che appartengono sì per lo più all'alta borghesia, ma anche al popolo (il bambino e i freaks che lo aiutano a scappare).
Il dubbio che tra la strada e l'ospedale non ci sia nessuna differenza è la domanda costante del dottor Treves. La risposta la dà John Merrick quando confida di sentirsi amato.
Da allora quella domanda non verrà più formulata, perché ancora una volta è stato l'amore a porre i confini dell'umano.
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Se il film indulge al pietismo, me lo sono chiesto, ma non sono riuscita a rispondere. Dopo tutto la contrapposizione tra popolo e alta borghesia è condotta evidenziandone sempre una differenza sostanziale nelle forme e una sostanziale somiglianza nei contenuti, a cui fanno eccezione, da una parte e dall'altra, le persone che hanno davvero voluto bene a J.Merrick, che appartengono sì per lo più all'alta borghesia, ma anche al popolo (il bambino e i freaks che lo aiutano a scappare).
Il dubbio che tra la strada e l'ospedale non ci sia nessuna differenza è la domanda costante del dottor Treves. La risposta la dà John Merrick quando confida di sentirsi amato.
Da allora quella domanda non verrà più formulata, perché ancora una volta è stato l'amore a porre i confini dell'umano.
Credo che in molta parte stia allo spettatore valutare se certi tributi (come l'applauso a teatro) siano gesti felici o crudeli. Hanno messo a dura prova la mia sensibilità.
Ricorderò questo film per tutta la vita.
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[+] sensibilità
(di arnaco)
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flegiàs tn
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giovedì 27 marzo 2008
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.......
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Il talento di Lynch viene notato dal produttore-regista-attore Mel Brooks che decide di affidargli la regia del film The Elephant Man. La sceneggiatura del film è parzialmente ispirata al libro del dottor Treves, che aveva studiato il caso rarissimo di John Merrick, proteggendolo anche dalla speculazione e malvagità umana. Il povero essere, vissuto alla fine del diciannovesimo secolo, era afflitto sin dall'infanzia da una rara malattia che rendeva la sua pelle spugnosa e cadente. Il cranio era deformato da protuberanze, mentre il labbro superiore sporgeva esageratamente verso l'esterno, ricordando una proboscide (da cui il suo soprannome). Inoltre, a causa di una malattia alle anche, aveva grossi problemi di deambulazione.
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Il talento di Lynch viene notato dal produttore-regista-attore Mel Brooks che decide di affidargli la regia del film The Elephant Man. La sceneggiatura del film è parzialmente ispirata al libro del dottor Treves, che aveva studiato il caso rarissimo di John Merrick, proteggendolo anche dalla speculazione e malvagità umana. Il povero essere, vissuto alla fine del diciannovesimo secolo, era afflitto sin dall'infanzia da una rara malattia che rendeva la sua pelle spugnosa e cadente. Il cranio era deformato da protuberanze, mentre il labbro superiore sporgeva esageratamente verso l'esterno, ricordando una proboscide (da cui il suo soprannome). Inoltre, a causa di una malattia alle anche, aveva grossi problemi di deambulazione. Con tali premesse era facile produrre un film di grande impatto emotivo e dalle possibilità commerciali non scarse. Lynch realizzò il suo primo lungometraggio veramente compiuto, basato su una sceneggiatura coerente e articolata, rinunciando in gran parte ai suoi deliri visionari. Il film, girato in uno splendido bianco e nero, si apre e si chiude sul primo piano di un paio di occhi: sono gli occhi della madre di John Merrick. Ciò introduce un nuovo elemento nello stile di Lynch, quello dello sguardo, che sarà poi ulteriormente ampliato e studiato in Velluto Blu. Evitando per quanto possibile l'uso del pietismo esasperato che la vicenda sembra voler suggerire, il regista costruisce un film forte anche se lievemente impersonale, in cui il punto centrale è caratterizzato dalla richiesta morale di John Merrick di essere un uomo normale, borghese e benpensante. Evitando accuratamente di usare il suo sguardo d'autore per pronunciare una condanna morale, Lynch si contraddistingue per la peculiare abilità nel filmare con incredibile passione e intensità dei personaggi immobili, il cui destino è segnato in una sorta di agitata accettazione (per dirla con Chion, grande studioso Lynchiano). Tutto ciò contribuisce a dare all'opera una dimensione mitica, con un'atmosfera da teatro rituale restituita dalla semplicità di inquadrature ben lontane dalla freddezza e il classicismo cui molti ancora oggi si ostinano a ricondurre il film. Se è vero che The Elephant Man appartiene al cinema popolare (sono usate procedure che lo avvicinano a un teatro fatto di primi piani), ciò contribuirà, anche al suo enorme successo mondiale.
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matteocavi
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martedì 7 aprile 2009
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mostruosa umanità
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Questo film sulla diversità aberrante, mostruosa, ripugnante è anche un film sull'umanità che si cela dietro quella maschera orrorifica. Una umanità che trapela dalla sua umiliazione, prima come fenomeno da baraccone e poi come oggetto curioso del perbenismo borghese, dalla sua segregazione e dalla paura che essa incute. Una ricerca di vero affetto (commovente e mai banale) e un desiderio (quello di essere trattato come un uomo) che culmina nell'atto che più ci distinque dalle altre specie cioè il suicidio. Presa di coscienza della propria sconfitta irrimediabile (anche se incolpevole) e del proprio essere, finalmente uomo.
Splendido Hopkins e la fotografia, mai accademico e straordinario, come sempre, David lynch.
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Questo film sulla diversità aberrante, mostruosa, ripugnante è anche un film sull'umanità che si cela dietro quella maschera orrorifica. Una umanità che trapela dalla sua umiliazione, prima come fenomeno da baraccone e poi come oggetto curioso del perbenismo borghese, dalla sua segregazione e dalla paura che essa incute. Una ricerca di vero affetto (commovente e mai banale) e un desiderio (quello di essere trattato come un uomo) che culmina nell'atto che più ci distinque dalle altre specie cioè il suicidio. Presa di coscienza della propria sconfitta irrimediabile (anche se incolpevole) e del proprio essere, finalmente uomo.
Splendido Hopkins e la fotografia, mai accademico e straordinario, come sempre, David lynch.
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nerofelix
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sabato 13 gennaio 2007
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un lynch d'annata
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E' un bel film, in cui il regista ritaglia poco spazio per sé stesso e i suoi consueti virtuosismi visivi. Quasi un esercizio d'accademia, molto ben riuscito perché sa coinvolgere lo spettatore, sa farlo commuovere e riflettere. E' da vedere, infatti, per meditare sulla natura umana, sulle sue aberrazioni e mostruosità (interiori e non esteriori) e sui buoni sentimenti. Il film narra una storia vera, la vicenda di un uomo nato deforme nella puritanissima Inghilterra vittoriana. Magistrale (come sempre) la prova di Hopkins nei panni del dottore buono. Sia la sceneggiatura che la fotografia risultano assolutamente credibili, memorabili i rari squarci visionari e onirici incastonati nel film. Lo spettatore partecipa ai sentimenti del protagonista, John Merrick.
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E' un bel film, in cui il regista ritaglia poco spazio per sé stesso e i suoi consueti virtuosismi visivi. Quasi un esercizio d'accademia, molto ben riuscito perché sa coinvolgere lo spettatore, sa farlo commuovere e riflettere. E' da vedere, infatti, per meditare sulla natura umana, sulle sue aberrazioni e mostruosità (interiori e non esteriori) e sui buoni sentimenti. Il film narra una storia vera, la vicenda di un uomo nato deforme nella puritanissima Inghilterra vittoriana. Magistrale (come sempre) la prova di Hopkins nei panni del dottore buono. Sia la sceneggiatura che la fotografia risultano assolutamente credibili, memorabili i rari squarci visionari e onirici incastonati nel film. Lo spettatore partecipa ai sentimenti del protagonista, John Merrick. Il bianco e nero non è solo un espediente per immergere la pellicola in un'atmosfera datata ma anche il modo per celebrare il trionfo di certo cinema d'autore, senza distrazioni visive, fatto di storie a tutto tondo e di contenuti autentici. Unica pecca (perdonabile) è la tendenza "politicamente corretta" ad un certo pietismo di maniera. Da vedere e interpretare come un saggio sulla diversità umana, la tolleranza e la conoscenza di quei "mostri" che sono gli altri. Tre stelle (e mezzo).
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(di iacoposky)
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break
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sabato 17 dicembre 2011
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profondo
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Storia di John Merrick, animo nobile intrappolato nel corpo di un mostro. Rassegnato fenomeno da baraccone, schiavo di un uomo senza scrupoli che sfrutta la sua disgrazia per guadagnare due soldi. Grazie all'intervento del Dr. Treves (Anthony Hopkins) troverà accoglienza e cure amorevoli nel London Hospital.
Film sull' esteriorità e l'interiorità, la crudeltà e la benevolenza, la vergogna e la dignità.
Perfetta ricostruzione del fine milleottocento coronata da una suggestiva e morbida fotografia in bianco e nero.
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filippo catani
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giovedì 14 marzo 2013
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un autentico capolavoro
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La Londra vittoriana viene improvvisamente scossa dall'arrivo del cosiddetto uomo elefante che altri non è se non un uomo con delle gravissime malformazioni. Un giovane dottore si affezionerà a lui e cercherà di strapparlo alle angherie del padrone. Da una storia vera.
Studi recenti hanno stabilito con una ragionevole certezza che il povero Merrick soffrì della sindrome di Proteo che gli causò tumori in diverse zone del corpo, una evidente malformazione della testa e della schiena tanto che per lui era impossibile dormire sdraiato. Solo il braccio sinistro e i genitali non presentavano problemi. Trascinato in lungo e in largo come fenomeno da baraccone, l'uomo riesce a scoprire la propria indole gentile, dolce e intelligente grazie alle cure prestategli da un giovane dottore.
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La Londra vittoriana viene improvvisamente scossa dall'arrivo del cosiddetto uomo elefante che altri non è se non un uomo con delle gravissime malformazioni. Un giovane dottore si affezionerà a lui e cercherà di strapparlo alle angherie del padrone. Da una storia vera.
Studi recenti hanno stabilito con una ragionevole certezza che il povero Merrick soffrì della sindrome di Proteo che gli causò tumori in diverse zone del corpo, una evidente malformazione della testa e della schiena tanto che per lui era impossibile dormire sdraiato. Solo il braccio sinistro e i genitali non presentavano problemi. Trascinato in lungo e in largo come fenomeno da baraccone, l'uomo riesce a scoprire la propria indole gentile, dolce e intelligente grazie alle cure prestategli da un giovane dottore. Il film è meraviglioso e in alcuni tratti si permette anche qualche puntata onirica. Non si può rimanere indifferenti e non si possono trattenere le lacrime davanti a un uomo che cerca disperatamente una vita "normale" nonostante le sue deformità. Ama ricevere ospiti, la letteratura e il teatro. Hurt e Hopkins sono immensi e spiace davvero che un film del genere non abbia portato a casa nessuna delle nomination all'Oscar. E' certo un film universale che parla anche a noi che non esitiamo ad allontanare dal nostro sguardo coloro che presentano delle problematiche e li nascondiamo addirittura alla vista dei nostri bambini non solo acuendo il dolore di queste persone ma lasciando nei ragazzi quel misto di paura e percersa curiosità che rischia di accompagnarli per sempre (terribile la sequenza in cui il pover'uomo viene assalito, fatto bere e fatto baciare a forza da una prostituta ferondone quasi definitivamente i propri sentimenti). Grazie al cielo ormai tante istituzioni, volontari e famiglie si prendono cura ogni giorno di queste persone che soffrono e che grazie al cielo non vengono più offerte in pasto alla brama della popolazione. "Ho sempre cercato di essere buono" è la frase struggente che insieme a "nessuno muore mai" nel finale toccano le più profonde corde dello spettatore. Merito anche di un grandissimo Lynch, di una struggente colonna sonora e di un bravissimo truccatore. Un inno al rispetto e alla comprensione della diversità perchè "io non sono un elefante ma sono un uomo". Cerchiamo di non dimenticarlo mai .
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lady libro
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mercoledì 1 giugno 2011
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il tesoro nel cuore
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Questo film di David Lynch è talmente bello che non ci sono parole sufficienti per descriverlo: è toccante, tenero, commovente, profondo e molto dolce...
John Merrick, uomo orribilmente mostruoso e deformato, non è per niente ciò che sembra: è un uomo colto, intelligente, indifeso e molto sensibile....
"The elephant man" dimostra cose che la gente ancora oggi, purtroppo, non riesce a capire perchè possiede occhi annebbiati dal pregiudizio e dalla malvagità. Il mondo spesso ragiona così: quando si è belli la vita sorride, quando si è brutti invece no. Fortunatamente c'è ancora una piccola parte del mondo che non si comporta così e in cui non succede niente di simile: e questo film lo dimostra.
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Questo film di David Lynch è talmente bello che non ci sono parole sufficienti per descriverlo: è toccante, tenero, commovente, profondo e molto dolce...
John Merrick, uomo orribilmente mostruoso e deformato, non è per niente ciò che sembra: è un uomo colto, intelligente, indifeso e molto sensibile....
"The elephant man" dimostra cose che la gente ancora oggi, purtroppo, non riesce a capire perchè possiede occhi annebbiati dal pregiudizio e dalla malvagità. Il mondo spesso ragiona così: quando si è belli la vita sorride, quando si è brutti invece no. Fortunatamente c'è ancora una piccola parte del mondo che non si comporta così e in cui non succede niente di simile: e questo film lo dimostra.
In un mondo, in una persona o in un oggetto pieno di male, c'è sempre una perla di bene che brilla sempre: basta solo saperla trovare.
La toccante e profonda interpretazione di John Hurt è perfetta, proprio come quella di Anthony Hopkins, Anne Bancroft e tutti gli altri.
L'estrema bravura del cast e della regia ha contribuito enormemente a rendere indimenticabile questo film.
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fr3nk_90
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sabato 15 settembre 2012
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quando il diverso è il più normale di tutti
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Mentre si aggira per le strade di Londra, il medico Frederick Treves si imbatte in uno spettacolo ambulante di freaks, ovvero di fenomeni da baraccone. La sua attenzione viene attirata da uno di questi in particolare, conosciuto come il terribile “uomo elefante”. Ma l’arrivo della polizia costringe il dottore e il resto degli astanti ad andarsene, impedendo di vedere da vicino il fenomeno. Il giorno dopo Treves si reca nuovamente sul luogo con lo scopo di poter riuscire a vedere l’uomo elefante. Quello che vede è scioccante ma, nonostante ciò, decide di aiutare l’uomo riuscendo a strapparlo dalle grinfie di Bytes, il suo proprietario, portandolo al Royal London Hospital per curarlo.
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Mentre si aggira per le strade di Londra, il medico Frederick Treves si imbatte in uno spettacolo ambulante di freaks, ovvero di fenomeni da baraccone. La sua attenzione viene attirata da uno di questi in particolare, conosciuto come il terribile “uomo elefante”. Ma l’arrivo della polizia costringe il dottore e il resto degli astanti ad andarsene, impedendo di vedere da vicino il fenomeno. Il giorno dopo Treves si reca nuovamente sul luogo con lo scopo di poter riuscire a vedere l’uomo elefante. Quello che vede è scioccante ma, nonostante ciò, decide di aiutare l’uomo riuscendo a strapparlo dalle grinfie di Bytes, il suo proprietario, portandolo al Royal London Hospital per curarlo. Man mano che Frederick si interessa al caso scopre che sotto l’aspetto mostruoso si nasconde un uomo di nome John Merrick capace, nonostante il suo stato fisico, di parlare e ragionare come una persona normalissima. Tra i due si instaura un rapporto che va ben oltre quello di medico e paziente; un rapporto di affetto e amicizia che si protrarrà fino al, purtroppo, drammatico epilogo. Basato sulla vera storia di John Merrick e portato sullo schermo dall’estro visionario di David Lynch, The Elephant Man è uno di quei film che non di si dimentica facilmente per tutta una serie di fattori: primo l’ottima interpretazione degli attori a partire da Anthony Hopkins che dà al personaggio del dottor Frederick un’immagine perfetta del luminare rimasto uomo, Anne Bancroft che interpreta la caporeparto delle infermiere dandole dapprima un’aria di severità sotto la quale, in realtà, è nascosto un animo umano. Su tutti spicca John Hurt che interpreta Merrick con movenze e prossemica non facili da eseguire. Secondo fattore di rilievo del film è l’ottima fotografia in bianco e nero che Lynch ha voluto per il suo lavoro ricreando una Londra fuligginosa e industriale. Ma quello che colpisce soprattutto del film è il tema su cui si snoda la vicenda; il tema della diversità. Diversità nell’aspetto del povero Merrick purtroppo deforme ma capace anch’egli di provare sentimenti e di avere un grande cuore. Lo stesso grande cuore che rivelerà di avere Treves nei confronti di John così come altre persone faranno lo stesso. Ma non tutti sono identici perché c’è chi prova un sadico gusto fine al proprio divertimento nel ridicolizzare e volgarizzare l’aspetto del protagonista e c’è chi anche lo sfrutta per diventare affarista come il suo proprietario. Tuttavia, fortunatamente, c’è sempre qualcuno che va ben oltre l’aspetto esteriore ed estetico. Il messaggio che The Elephant Man manda allo spettatore è quello di non giudicare dalle apparenze e dalla propria diversità, perché, a volte, si rivela essere un mostro l’uomo comune piuttosto di chi viene etichettato “mostro” per via del suo aspetto. Per il suo contenuto drammatico ed emotivo, capace di scuotere anche gli animi più insensibili ed indifferenti (specialmente nella splendida se pur drammatica scena finale montata sull’Adagio for string di Samuel Barber), questo film si colloca a pieno titolo tra i più grandi lungometraggi mai realizzati meritando l’attenzione di tutti quelli che amano e vivono per il cinema.
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giugy3000
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giovedì 28 ottobre 2010
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il superuomo.
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Avvolto da un superbo bianco e nero d'annata e con due interpreti d'eccezione (Jhon Hurt e Anthony Hopkins) forse nessun film di David Lynch emoziona, commuove e fa riflettere come Elephant Man.
Jhon Merrick ha un cranio il triplo più grande della norma, tumori della pelle sulla schiena e sul volto, escrescenze abominevoli che gli impediscono l'uso della mano destra, la colonna vertebrale storta e una bronchite cronica che gli impedisce di dormire supino...eppure è un uomo. Lo chiamano "l'uomo elefante": un nome che attira gli stupidi ed ignoranti frequentatori dei luoghi dove si mostrano i fenomeni da baraccone e che sfruttano le disgrazie di individui con menomazioni più o meno gravi per far ridire e guadagnare i "proprietari" di codesti, quasi fossero alla pari delle scimmie o dei leoni del circo.
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Avvolto da un superbo bianco e nero d'annata e con due interpreti d'eccezione (Jhon Hurt e Anthony Hopkins) forse nessun film di David Lynch emoziona, commuove e fa riflettere come Elephant Man.
Jhon Merrick ha un cranio il triplo più grande della norma, tumori della pelle sulla schiena e sul volto, escrescenze abominevoli che gli impediscono l'uso della mano destra, la colonna vertebrale storta e una bronchite cronica che gli impedisce di dormire supino...eppure è un uomo. Lo chiamano "l'uomo elefante": un nome che attira gli stupidi ed ignoranti frequentatori dei luoghi dove si mostrano i fenomeni da baraccone e che sfruttano le disgrazie di individui con menomazioni più o meno gravi per far ridire e guadagnare i "proprietari" di codesti, quasi fossero alla pari delle scimmie o dei leoni del circo. Animali e uomini come Jhon hanno in comune solo una cosa: l'innocenza e l'essere indifesi. Combattere con altrettanta violenza quella che subiscono ogni giorno non è cosa che si addice ad animi tanto puri e delicati come quella del protagonista che si convince a poco a poco di essere un mostro senza valore, fatto mangiare e dormire come il più ignobile degli insetti da cui scappare.
Come in tutte le storie che si rispetti anche qui c'è un eroe. Il chirurgo Treves sa fin dall'inizio di non poter guarire Jhon e di non poterlo trattanere da una morte certa che avverrà a breve, ma decide di mettere fine ai soprusi del suo padrone e di portarselo dapprima in clinica fino poi a casa sua. Nel momento d'incontro delle vite di questi due uomini, nulla per loro sarà più come prima. Entrambi si scambieranno vicendevolemente pezzi di vita ed umanità: Jhon troverà l'amore di una famiglia mai avuta e di un amico fidato, non farà mistero di apprezzare il teatro e la lettura della Bibbia, segno di quanto il suo aspetto non segni per niente il suo animo colto e buono; Treves avrà modo di conoscere un affetto del tutto diverso a cui non avrebbe mai pensato di approcciarsi verso un reietto cosi abominevole della società e scaverà nel suo animo per conoscere le vere motivazioni che lo hanno spinto a tanta pietà verso di lui: senso del dovere verso i più deboli o fame di stima ed apprezzamento fra i colleghi?
A metà strada fra il teatro dell'assurdo che potremmo ritrovare ad esempio in Rhinoceros di Ionesco e la cruda realtà di una vicenda tratta da una storia vera, Elephant Man si colloca in un'aura interpretativa ben al di là del semplice pietismo o orrore verso quest'anima che solo nelle scene finali del film avrà la forza di gridare "Io non sono un elefante!Sono un essere umano". Oltre alla solita banale morale de "l'abito non fa il monaco" e della crudeltà umana ben superiore all'aspetto mostruoso e raccapricciante di Jhon, qui ci si trova dinnanzi ad un inno alla vita, ad un ciclo d'eterno ritorno nietzschano delle cose, dove il significato di cosa sia un uomo non viene rimosso neanche nella più penosa delle circostanze, proprio come quando in pieno Olocausto un giovane ebreo non perde la sua dignità e si rifiuta di rubare il pane ad un altro. L'amore per il genere UOMO, la sana com-passione kierkegaardiana dove compartecipiamo con dolore alle sofferenze dei nostri simili non morirà mai, neppure se sepolta dalla macerie dell'odio e del cinismo...sempre noi sapremmo riconoscere i tratti distintivi di una persona dalla sua voce, dalla sua dolcezza, dalla sua intelligenza verso i più nobili degli interessi e mai solo dal colore delle sue pelle o dalla sua bellezza esteriore.
...in fondo Jhon Merrick ci si sente un po' tutti a volte: abbandondati e soli nella nostra diversità come già più di cent'anni prima aveva delineato Mary Shelley la sua creatura di nome Franckenstein. Però più siamo diversi e più siamo unici e più siamo amati per la nostra diversità e più siamo fortunati...e allora ecco che tutto si ribalta e l'uomo elefante diventa l'uomo meno elefante e più uomo che ci sia.
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jacopo b98
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mercoledì 1 maggio 2013
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the elephant man di lynch-capolavoro
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Nella Londra di fine Ottocento la vera storia di Joseph Merrick (1862-1890, Hurt), soprannominato “l’uomo elefante”, per via della tremenda deformazione del suo corpo. Sfruttato come un’attrazione da circo, fa conoscenza con il dottor Frederik Treeves (Hopkins), che lo aiuta ad essere integrato nella società, che però solo nel finale riuscirà a considerarlo un uomo. Il capolavoro assoluto di uno dei più grandi registi viventi, e di ogni tempo, anche se nel 2006, dopo Inland Empire, ha dichiarato il suo ritiro dal mondo del cinema. È una delle più commoventi riflessioni sulla diversità mai fatte, il tema può sembrare di quelli trattati troppe volte, ma qui è maneggiato così bene e in modo così toccante da restare uno dei film più originali di sempre.
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Nella Londra di fine Ottocento la vera storia di Joseph Merrick (1862-1890, Hurt), soprannominato “l’uomo elefante”, per via della tremenda deformazione del suo corpo. Sfruttato come un’attrazione da circo, fa conoscenza con il dottor Frederik Treeves (Hopkins), che lo aiuta ad essere integrato nella società, che però solo nel finale riuscirà a considerarlo un uomo. Il capolavoro assoluto di uno dei più grandi registi viventi, e di ogni tempo, anche se nel 2006, dopo Inland Empire, ha dichiarato il suo ritiro dal mondo del cinema. È una delle più commoventi riflessioni sulla diversità mai fatte, il tema può sembrare di quelli trattati troppe volte, ma qui è maneggiato così bene e in modo così toccante da restare uno dei film più originali di sempre. Il “mostro”, che effettivamente, per lo meno nelle prime sequenze quando non ci si è ancora abituati, fa piuttosto impressione, non ha paura della gente, ma ha paura di fare paura alla gente. Girato in un bianco e nero assolutamente eccezionale (curiosamente neanche nominato all’Oscar) è un film molto cupo, eppure, specie in certe sequenze, vedi il tè a casa di Treeves, è di una dolcezza immane, dove il mostro mostra tutta la sua estrema umanità. Alcune sequenze sono di bellezza sconvolgente, nonché assolutamente geniali, ad esempio quando nella stazione i bambini cercano di togliere a Joseph il cappuccio e lui scappa travolgendo una bambina, per poi finalmente avere il coraggio di urlare e sfogare tutto il suo dolore e la sua umanità: “Io sono una persona!”. Magistrale la scena finale in cui Joseph decide di morire dormendo da persona normale, come non aveva mai potuto fare dato l’enorme peso della sua testa. Visivamente magnifico e curatissimo ebbe otto nomination agli Oscar: miglior film, regia, attore protagonista (Hurt), sceneggiatura non originale (di Lynch, Christopher De Vore e Eric Bergren, tratta dal saggio di Treeves The Elephant Man and Other Riminescences, 1923), costumi, scenografie, montaggio, colonna sonora (molto bella, di John Morris). Non ne vinse scandalosamente nemmeno uno.
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