Ciao maschio

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Insiste meno sul grottesco, ma dice grandi verità Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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sabato 10 settembre 2016

 CIAO MASCHIO (IT/FR, 1978) diretto da MARCO FERRERI. Interpretato da GéRARD DEPARDIEU, MARCELLO MASTROIANNI, JAMES COCO, GéRALDINE FITZGERALDF, GAIL LAWRENCE, STEFANIA CASINI, FRANCESCA DE SAPIO, MIMSY FARMER
A New York vive Lafayette, trentenne di origine francese che sbarca il lunario svolgendo in contemporanea diversi lavori: sorvegliante per tre vecchi anziani infermi presso un appartamento che funge da ospizio, restauratore delle cere che raffigurano i personaggi storici in una galleria d’arte e tecnico delle luci in un piccolo e scalcinato teatro dove recitano alcune attrici, mediocri e petulanti. Per opera di queste, Lafayette viene maldestramente violentato (in un momento in cui si parlava di mettere in scena uno stupro) e mette incinta Angelica, la meno smorfiosa delle ragazze. Lafayette ha per amico Luigi Nocello, un gentiluomo disoccupato, eccentrico e volubile, che coltiva con ostinazione un orticello casalingo insieme alla passione fallita e deludente delle donne, il quale si prende carico del piccolo cucciolo di scimpanzé che un giorno l’uomo trova, sbucato come per magia dal cadavere di un gigantesco pupazzo di pezza rappresentante un gorilla, adagiato sulla spiaggia della metropoli. Le cose, per il giovane, non si mettono affatto bene: gli screzi col direttore del museo, suo diretto superiore, aumentano e son sempre più frequenti, Angelica si sente dire che colui che è ormai il suo fidanzato non vuol riconoscere la paternità del nascituro, Luigi si suicida dopo aver lasciato in eredità allo scimmiotto tutti i suoi effetti personali e, alla fine, l’animale stesso viene divorato dai topi che albergano nell’appartamento sfitto e malmesso in cui Lafayette abita. Tragico epilogo. C’è sempre stato un misterioso alone di cattiveria pessimistica e commiserevole nei film di Ferreri, e in questo apologo sulla meschinità umana e sul bisogno di redenzione attraverso l’amore, è un fattore che viene analizzato fin nel profondo tramite una messinscena pacata e contemporaneamente anche trasandata, la quale trova la sua ragion d’essere nel grigiore delle anime dei suoi personaggi, uomini e donne delusi dalla vita, rammaricati per come non sanno gestire le circostanze, reclusi in una prigione volontaria di paura e incertezza ma pur sempre desiderosi di cambiamenti che si attuino attraverso sentimenti positivi, sentimenti che permettano un recupero affettivo e un riavvicinamento emozionale. Non è una novità che la decadenza della cultura e della civiltà umane appaiano nella filmografia del regista: ne abbiamo già avuti ottimi esempi anche nel sarcastico L’ape regina, nell’apocalittico Dillinger è morto e soprattutto nel capolavoro grottesco La grande abbuffata. L’autore sembra però, con Ciao maschio, aver affinato la tecnica di esecuzione del dolore umano, perché dà prova di averne compreso il funzionamento tramite una riduzione delle pure sconcezze, un calcolo più ponderato della violenza interiore e un gusto maggiore per gli scopi che spingono questi derelitti ad immischiarsi in trame destinate definitivamente a risultare fallimentari. Un esame di maturità, dunque, pienamente superato, ma non solo: l’evoluzione nel linguaggio del compianto Ferreri si traduce anche in uno sguardo disincantato e disilluso, ma mai prevenuto, sui mostri che la società genera, partendo da un presupposto che personalità influenti come Freud elaborarono ed esaminarono a loro tempo, ovvero che la paura delle responsabilità, l’influenza inconscia del sesso e gli strazianti, immancabili egoismi personali agiscono sulla moralità e sulle intenzioni degli esseri umani senza che si possa operare in senso inverso, senza che queste donne e questi uomini possano intervenire per opporsi ad una regressione lancinante e spaventosa. Pregno di umorismo caustico e di voluta desolazione intellettuale nei caratteri, si avvale di una meravigliosa interpretazione di un  giovane G. Depardieu ancora non troppo grasso, decisamente sotto le righe ma ugualmente carico di espressività e tensione drammatica, affiancato da un curioso e bizzarro Mastroianni in una parte che, per quanto esuli dalle sue corde abituali, è molto apprezzabile perché dipinge un emarginato vittima della sua stessa personalità, le cui ossessioni materialistiche lo spingono ad infierire in maniera non intenzionale sul suo destino, fino a togliersi la vita. Depardieu e Mastroianni sono una coppia davvero insolita e quasi improponibile, ma la loro recitazione corale li fa diventare splendidamente complementari! Un reparto femminile di prim’ordine, con attrici preparatissime e ancora più brave, e del resto Ferreri si conferma una volta di più un procacciatore di interpreti femminili come Dio comanda: non manca nemmeno qui una strizzata d’occhio alla superiorità dell’universo femminile, tema caro al regista cui egli dedicò una fetta larghissima del proprio repertorio, benché poi il fattore venga accentuato nei limiti del giusto e presentato con destrezza ed eleganza. Montaggio: Ruggero Mastroianni. Scenografia: Dante Ferretti. Due contributi tecnici dietro ai quali si celano altrettanti professionisti del cinema che troppo spesso vengono dimenticati solo perché trafficano dietro le quinte o, per dirla in modo da riscattarli, dietro la macchina da presa. Meriterebbero lodi immensamente superiori, e non solo perché i due uomini in questione impreziosiscono la pellicola con un paio di perle senza le quali l’opera stessa avrebbe perduto parecchio. Jacqueline Ferreri figura come produttrice esecutiva. 

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