alessandro
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mercoledì 29 agosto 2007
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riesci a vedere?
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C'è una frase di Proust che recita "Il vero viaggio, il vero bagno di giovinezza sarebbe poter guardare il mondo con gli occhi di un altro".
Credo che in questa frase si possa racchiudere il senso di questo film di Antonioni.
Hemmings alla fine si arrende. Lui abituato a fotografare, a rubare immagini, volti, sentimenti si rende conto che nè lui nè il suo strumento sono necessari per guardare e capire la realtà. La realtà è ciò che vedo? Ciò che registra la mia macchina fotografica? La fotografia di ciò che ho fotografato? No la realtà è altro, e saper guardare oltre, è imparare a veder l'invisibile, ad ascoltare l'inudibile.
Ecco quindi l'altro, il mimo, e la scelta di Hemmings che raccoglie la palla da tennis.
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C'è una frase di Proust che recita "Il vero viaggio, il vero bagno di giovinezza sarebbe poter guardare il mondo con gli occhi di un altro".
Credo che in questa frase si possa racchiudere il senso di questo film di Antonioni.
Hemmings alla fine si arrende. Lui abituato a fotografare, a rubare immagini, volti, sentimenti si rende conto che nè lui nè il suo strumento sono necessari per guardare e capire la realtà. La realtà è ciò che vedo? Ciò che registra la mia macchina fotografica? La fotografia di ciò che ho fotografato? No la realtà è altro, e saper guardare oltre, è imparare a veder l'invisibile, ad ascoltare l'inudibile.
Ecco quindi l'altro, il mimo, e la scelta di Hemmings che raccoglie la palla da tennis. Non vedo ma credo ugualmente a questa realtà, accetto il tuo gioco, consapevole della mia finitezza e della mia transitorietà.
Assuefatti ad una società strabordante di immagini dovremmo riflettere su questa lezione e fermarci. Forse semplicemente per ascoltare il vento.
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[+] la percezione dell' inspiegabile
(di francesca)
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albert
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lunedì 6 agosto 2007
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un capolavoro sul tema: realtà/apparenza
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Sono solo parzialmente d'accordo con la recensione di Grazzini. Blow-up è uno dei migliori - se non il migliore - film di Antonioni, poichè il tema che sviluppa, cioè il rapporto tra la realtà e l'apparenza e il ruolo preponderante dell'immagine nella nostra epoca, è attualissimo e di straordinaria importanza nella nostra civiltà telematica e della comunicazione "virtuale".
Per questo motivo, a differenza di quanto ha scritto un altro critico (Mereghetti), il film non è affatto "datato", ma è attualissimo. Rispetto al 1967, noi ora sappiamo quanto la manipolazione televisiva, il ruolo della pubblicità, il potere subdolo dei media nell'orientare l'opinione pubblica e le sue preferenze politiche e nelle scelte di consumatore, siano determinanti e pervasivi oggi.
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Sono solo parzialmente d'accordo con la recensione di Grazzini. Blow-up è uno dei migliori - se non il migliore - film di Antonioni, poichè il tema che sviluppa, cioè il rapporto tra la realtà e l'apparenza e il ruolo preponderante dell'immagine nella nostra epoca, è attualissimo e di straordinaria importanza nella nostra civiltà telematica e della comunicazione "virtuale".
Per questo motivo, a differenza di quanto ha scritto un altro critico (Mereghetti), il film non è affatto "datato", ma è attualissimo. Rispetto al 1967, noi ora sappiamo quanto la manipolazione televisiva, il ruolo della pubblicità, il potere subdolo dei media nell'orientare l'opinione pubblica e le sue preferenze politiche e nelle scelte di consumatore, siano determinanti e pervasivi oggi.
Nel film si parla di un delitto occulto, avvenuto sotto gli occhi del fotografo protagonista (Thomas), ma ricostruito solo attraverso le tecnologie e gli ingrandimenti fotografici, e della sfiducia di Thomas di poter arrivare alla verità, una volta che le foto sono state rubate, e il cadavere è stato fatto sparire.
Come non pensare, ad esempio, al "delitto del secolo", all'assassinio di John Kennedy, qualche anno prima del film, che ha drammaticamente dimostrato come, perfino in un omicidio avvenuto in pubblico, filmato e fotografato da più persone, dopo oltre 40 anni ci si chieda ancora come siano andati i fatti, e se gli omicidi siano stati più di uno, contro la verità "ufficiale" e manipolata del governo e della commissione Warren, dell'"assassino solitario".
Il tema "filosofico" della realtà e dell'apparenza, e delle manipolazioni tecnologiche della verità, rendono quindi questo film ancor più bello e attuale, dopo 40 anni.
Significativo il fatto che Thomas, nel suo spirito anarcoide e nella sua sfiducia nelle istituzioni, esiti a rivolgersi alla polizia, ma cerchi una soluzione personale, emblema del problema endemico del distacco tra cittadini e istituzioni, e dello scetticismo nella possibilità di arrivare alla verità e ottenere giustizia rivolgendosi al potere.
L'unico appunto che si può muovere al film, riguarda la tipica "antonioniana" lunghezza e lentezza delle inquadrature, la mancanza di dialoghi, ma in considerazione del tema proposto, questa scelta espressiva tutto sommato accentua la tensione psicologica e il dramma personale del protagonista.
Sarebbe invece sbagliato criticare la relativa "lentezza" del film inquadrandolo nella categoria dei "gialli". Blow-up non è un thriller, è una riflessione filosofica ed esistenziale sull'isolamento dell'individuo nella società di oggi, e sulla sua impotenza di fronte alla manipolazione della realtà da parte della tecnologia e del potere.
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[+] per piacere, fai la pace.....
(di dido93)
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mercoledì 1 aprile 2009
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enigmatico...
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Enigmatico ma... superbo. Per fotografia e dialoghi essenziali (a volte incomprensibili, come quello sull'appendicite...). Un bellissimo documento cinematografico sulla Londra anni '60. L'immaginario si sovrappone al reale quasi spiazzando lo spettatore, preso nella morsa della curiosità per il susseguirsi di situazioni quasi irreali. Un film per sognare e immaginare. Da guardare da soli e in silenzio, per sentire il fruscio delle foglie mosse dal vento nel parco, luogo magico e misterioso, per "assaporare" ogni istante della partita di tennis giocata senza pallina, senza racchette e senza parole. Lo sguardo di David Hemmings quando rilancia in campo la "palla" è straordinario. Antonioni al suo massimo.
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maria cristina nascosi sandri
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martedì 3 ottobre 2017
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antonioni su blow-up: (...) non mi interessava tanto la vicenda, quanto il meccanismo delle fotografie.
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In occasione del decennale della sua scomparsa ed all'appena trascorso 'impossibile' genetliaco - il 29 settembre scorso avrebbe compiuto 105 anni - Michelangelo Antonioni viene omaggiato in questi primi giorni di Ottobre con l'uscita ufficiale nelle sale della versione restaurata di uno dei suoi indiscussi capolavori, Blow-up, un vero 'classic' nella storia del Cinema Mondiale che ancora molto ha da insegnare e tramandare. Dopo aver celebrato i cinquant'anni del suo Grand Prix (così si chiamava all'epoca la Palma d'Oro), allo scorso Festival della stessa Cannes, il 2 luglio scorso quella stessa versione restaurata ha chiuso in grande stile l'edizione 2017 del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna.
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In occasione del decennale della sua scomparsa ed all'appena trascorso 'impossibile' genetliaco - il 29 settembre scorso avrebbe compiuto 105 anni - Michelangelo Antonioni viene omaggiato in questi primi giorni di Ottobre con l'uscita ufficiale nelle sale della versione restaurata di uno dei suoi indiscussi capolavori, Blow-up, un vero 'classic' nella storia del Cinema Mondiale che ancora molto ha da insegnare e tramandare. Dopo aver celebrato i cinquant'anni del suo Grand Prix (così si chiamava all'epoca la Palma d'Oro), allo scorso Festival della stessa Cannes, il 2 luglio scorso quella stessa versione restaurata ha chiuso in grande stile l'edizione 2017 del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna. Un 'giusto' rientro, visto che il restauro è stato fatto proprio dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con l'Istituto Luce - Cinecittà e Criterion, oltreché con la Warner Bros e Park Circus. Il restauro è stato realizzato nei laboratori di Criterion a New York e L'Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, con la supervisione di uno dei Maestri della Luce oggi in Italia, il direttore della fotografia Luca Bigazzi che ha 'lavorato' sull'opera del grande ed indimenticabile Carlo Di Palma, collaboratore, tra gli altri ed a lungo anche di Woody Allen. Quello che rappresenta il decimo lungometraggio di Michelangelo Antonioni gli era stato ispirato dalla lettura di un racconto dello scrittore, poeta, critico letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese, Julio Cortazar, Le bave del diavolo - come lo stesso regista scriveva: "(...) Non mi interessava tanto la vicenda, quanto il meccanismo delle fotografie. La scartai e scrissi una sceneggiatura originale, nella quale il meccanismo assumeva un peso ed un significato diversi. Con me collaborarono Tonino Guerra e, per i dialoghi inglesi, Edward Bond. Un breve soggiorno a Londra insieme a Monica (la Vitti in quel periodo stava girando Modesty Blaise, di Joseph Losey) mi affascinò talmente che decisi di spostare l'azione dalla Parigi di Cortazar alla Londra della nuova musica e della nuova arte che proprio allora stavano prendendo piede". Antonioni, sempre attento ed antesignano anche per le colonne sonore dei suoi film, scelse per Blow-up il grande compositore, tastierista e attore statunitense Herbie Hancock che, a sua volta, chiamò a collaborare molti dei protagonisti della scena jazz ma anche band rock dell'epoca come gli Yardbirds, presenti in un cameo passato alla storia come.... se stessi, nella pellicola. Interamente girato nella emergente Swinging London, interpretato da un giovane David Hemmings a fianco di una quasi sconosciuta Vanessa Redgrave, Jane Birkin, la modella Veruschka - prima di Dalì - e Sarah Miles, Blow-up rimane, anche stilisticamente, una pietra miliare per grandi autori che vennero 'dopo' Antonioni: basti citare Peter Greenaway con il suo I misteri del giardino di Compton House, del 1982 - come lui stesso ha ricordato all'ultimo Biografilm Festival dove è stato premiato e dove ha anticipato una prossima sorpresa, da par suo, per la Città di Ferrara.
MARIA CRISTINA NASCOSI SANDRI
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eugenio
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venerdì 21 dicembre 2012
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realtà contro apparenza
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Era il 1950, Un semisconosciuto (in Italia) regista giapponese, Kurosawa vinse il leone d’oro al Festival di Venezia con la pellicola “Rashomon” dando seguito al fortunato successo delle pellicole “orientali” in Occidente. Il film che ebbe proselitismo tra numerosi registi italiani e non, era incentrato su un concetto quanto semplice ma ostico se affrontato con superficialità: la relatività della verità. In altre parole, la variabilità di punti di vista osservativi che rendono qualunque fatto variamente interpretabile a seconda del libero arbitrio di ciascuno. Un genio come Antonioni ha ripreso il leit-motiv di Rashomon, innestandolo in un contesto estremamente differente: la Londra di fine anni ’60 con le sue contestazioni, i suoi movimenti culturali libertari,la breccia del conservatorismo, il lussurioso perbenismo della mondanità.
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Era il 1950, Un semisconosciuto (in Italia) regista giapponese, Kurosawa vinse il leone d’oro al Festival di Venezia con la pellicola “Rashomon” dando seguito al fortunato successo delle pellicole “orientali” in Occidente. Il film che ebbe proselitismo tra numerosi registi italiani e non, era incentrato su un concetto quanto semplice ma ostico se affrontato con superficialità: la relatività della verità. In altre parole, la variabilità di punti di vista osservativi che rendono qualunque fatto variamente interpretabile a seconda del libero arbitrio di ciascuno. Un genio come Antonioni ha ripreso il leit-motiv di Rashomon, innestandolo in un contesto estremamente differente: la Londra di fine anni ’60 con le sue contestazioni, i suoi movimenti culturali libertari,la breccia del conservatorismo, il lussurioso perbenismo della mondanità.
In questo contesto, si inserisce la vicenda di un fotografo, Thomas, volubile quanto sfacciato “dandy” iperattivo che nell’intento di realizzare un libro fotografico sulle personalità di spicco e anche gente comune della capitale londinese, si imbatte in due (apparenti) amanti scattandone e riprendendo con spirito vouyeurista le loro azioni. La donna, in particolare, si mostra sin dall'inizio assai preoccupata e cerca di ottenere il prezioso rullino nonostante la riluttanza (e l'iniziale stupore) del fotografo. Attraverso un blow-up, un ingrandimento delle varie istantanee scattate, Thomas si rende conto di avere inconsapevolmente ripreso i segni di un delitto e spinto dalla curiosità, indagherà allo scopo di trovare una soluzione a quel giallo apparentemente privo di significato.
La realtà impressionista della macchina fotografica, strumento oggettivo per definizione, si rivela imprecisa, oscurata e incomprensibile, come l'animo del protagonista sempre più immerso in una storia torbida dai risvolti oscuri e enigmatici. La dimensione sicura e razionale di uno scatto, limpida e cristallina, è distorta da Antonioni attraverso l'utilizzo di una fotografia sfumata e dau contorni difficilmente riconoscibili. Hemmings, l'attore che impersona Thomas, è paradigma di questo malessere: come una bandiera al vento, si muove senza scopo intrattenendo relazioni sessuali (oltre alle modelle che bussano alla sua porta) con la donna ripresa al parco che rintraccerà il suo studio con facilità in un ambiguo gioco del gatto col topo,in una partita a scacchi nel quale la scelta più logica,la polizia informata dei fatti, non è mai citata,quasi come se la lotta fosse personale, una dimostrazione di sfida ed egotismo contro un misterioso avversario che è l'illusione, l'illogicità. Thomas abituato a riprendere volti, sentimenti,sguardi lotta contro "i mulini a vento" della realtà quotidiana;l i suoi movimenti incantano e affascinano lo spettatore quasi rapito dal sogno e dalla profondità dello stile registico di Antonioni, ancora una volta eccellente nella trattazione di tematiche esistenziali che vedono poli opposti eternamente in lotta: visibile contro innato, apparenza contro realtà, viaggio e staticità,libertà contro necessità.
Dal racconto "La bava del diavolo" del belga/argentino Cortazar, Antonioni gira il suo primo film "in terra straniera" per molti considerato manifesto psichedelico degli anni '60 ,un film ambiguo, privo di una linearità temporale e dalla profondità quasi surreale che ricorda le opere dell'argentino Borges. La lucidità di Thomas vacilla dinanzi al labile confine tra i due mondi, alla sua incapacità di vedere un mondo parallelo dove i punti saldi si limitano alla sfera fallace della sensorialità; l'unica saggia alternativa è quindi arrendersi o meglio accettare passivamente quello che siamo limitati a vedere. Il mimo, la partita a tennis, il finale con un lungo piano sequenza senza suoni di dieci minuti è una splendida amara riflessione sul potere dell’immagine, dell’apparenza e della quotidiana monotonia sensoriale cui tutti noi siamo soggetti.
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evak.
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martedì 10 ottobre 2017
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il fisso nel mutevole
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Quando ci si avvicina alle opere di un Maestro, quale Michelangelo Antonioni, c'è uno strano pudore personale ed intimistico: la parola potrebbe inficiare quello spazio, amato dal regista, che si interpone tra essa stessa parola e il silenzio. Ciò che sta nel mezzo è qualcosa che si riempe osservando. Questo film, uno dei capolavori di Antonioni, di recente uscito nelle sale in versione restaurata, è più di quel respiro artistico che appartiene al Maestro. Antonioni non è mai stato un figlio del cinema, lui è un padre del cinema. Blow- up lo dimostra. Se si osserva Thomas, se si guarda con i suoi occhi, ci si accorge che c'è una realtà intrinseca nelle cose dal momento in cui passano vicino agli occhi al momento in cui gli occhi vedono come le pensiamo.
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Quando ci si avvicina alle opere di un Maestro, quale Michelangelo Antonioni, c'è uno strano pudore personale ed intimistico: la parola potrebbe inficiare quello spazio, amato dal regista, che si interpone tra essa stessa parola e il silenzio. Ciò che sta nel mezzo è qualcosa che si riempe osservando. Questo film, uno dei capolavori di Antonioni, di recente uscito nelle sale in versione restaurata, è più di quel respiro artistico che appartiene al Maestro. Antonioni non è mai stato un figlio del cinema, lui è un padre del cinema. Blow- up lo dimostra. Se si osserva Thomas, se si guarda con i suoi occhi, ci si accorge che c'è una realtà intrinseca nelle cose dal momento in cui passano vicino agli occhi al momento in cui gli occhi vedono come le pensiamo. Ecco l'immaginazione. Il film ci porta in una sorta di viaggio sartriano. Quello de "L'essere e il nulla". L'esistenzialismo nel quale l'uomo si ritrova con la propria natura, con le proprie scelte e le proprie responsabilità senza essere protetto da appartenenze culturali o ideologiche. L'uomo è solo. Thomas lo sa. Guarda, si guarda, si lascia guardare. Quel gradino che separa la finzione dalla realtà è legato alla sua percezione, all'accettazione che anche ciò che appare distinto dalla realtà, quindi non vero, può essere reale, se condiviso. Basti pensare alla partita di tennis che chiude il viaggio del protagonista. L'impressione è quella che Thomas si sia liberato, in quel momento, dal "Velo di Maya" (v. Arthur Schopenhauer). Guarda in modo diverso. Ha capito. Per lui, però, il confine resta se stesso. Prima della comprensione è passato dalla dissacrazione delle cose agli eccessi umani, dalla personificazione stessa degli oggetti alla persuasione di se stesso. Michelangelo Antonioni compie un'opera di poesia ineguagliabile. Il suo cinema è arte per l'arte; non ci sono compromessi nei suoi racconti, nei suoi personaggi, nella sua narrazione. Accompagnato, come sempre, dalla fotografia altissima, raffinata e pura di Carlo di Palma, ci restituisce un'opera d'arte appassionata, nella quale vivono tutti le Arti.
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parravicini_stefano85
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martedì 6 maggio 2008
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un manifesto della poetica di antonioni
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Un fotografo di moda londinese, durante una pausa scatta delle foto in città. Nella fase di sviluppo, fa una scoperta stupefacente: crede infatti- ingrandendo un particolare della foto con il sistema che dà il titolo al film- di essere stato testimone involontario di un omicidio. Tornerà al parco ove la foto è stata scattata, troverà il cadavere, ma, paradossalmente, [...]
La conclusione della vicenda non può che essere un assurdo, il che implicherà naturalmente un rendersi conto che, ineluttabilmente, ciò che noi riteniamo essere realtà è solo illusione e pantomima, uno spettacolo che regge lo specchio- chissà poi con quale fedeltà- ad un aliud che non ci è dato di avvicinare nè di conoscere.
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Un fotografo di moda londinese, durante una pausa scatta delle foto in città. Nella fase di sviluppo, fa una scoperta stupefacente: crede infatti- ingrandendo un particolare della foto con il sistema che dà il titolo al film- di essere stato testimone involontario di un omicidio. Tornerà al parco ove la foto è stata scattata, troverà il cadavere, ma, paradossalmente, [...]
La conclusione della vicenda non può che essere un assurdo, il che implicherà naturalmente un rendersi conto che, ineluttabilmente, ciò che noi riteniamo essere realtà è solo illusione e pantomima, uno spettacolo che regge lo specchio- chissà poi con quale fedeltà- ad un aliud che non ci è dato di avvicinare nè di conoscere. Particolarmente adatta ed efficace, dato il tema trattato dal film, la tecnica peculiare e propria di Antonioni, tecnica che potremmo definire eminentemente icastica in quanto basata più sull'immagine e su quanto essa sappia trasmettere che non, per esempio, sui dialoghi. Proprio per questo la struttura narrativa, nei suoi film, si fa sovente sfuggente ed eterea...impalpabile quasi...come impalpabile- stando a quanto l'ultima sequenza trasmette nell'osservatore- è la palla da baseball, evidente allegoria della raltà intera, che il protagonista del film può solo fingere di raccogliere.
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(di parravicini_stefano85)
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roberto
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mercoledì 1 agosto 2007
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blow up
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E' il film più libero e "arioso" di Antonioni, scevro da alcuni calligrafismi che troviamo in altre sue opere. La fotografia è ottima, credo all'avanguardia per il tempo, le sequenze delle immagini non denunciano affatto la datazione del film; per questo è un film capolavoro, forse meno felice in alcune scene nella sua secoda parte. La bellezza, il dinamismo del film narrano sfiorandolo il contenuto "concettuale" che il regista ci vuole trasmettere, con legerezza. Abiamo la coincidenza del film con il senso stesso del Cinema il suo essere una metalingua che ci rimanda a molteplici e continui possibili interpretazioni,credo per questo che Antonioni non abbia mai indugiato troppo sul significato della trama.
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E' il film più libero e "arioso" di Antonioni, scevro da alcuni calligrafismi che troviamo in altre sue opere. La fotografia è ottima, credo all'avanguardia per il tempo, le sequenze delle immagini non denunciano affatto la datazione del film; per questo è un film capolavoro, forse meno felice in alcune scene nella sua secoda parte. La bellezza, il dinamismo del film narrano sfiorandolo il contenuto "concettuale" che il regista ci vuole trasmettere, con legerezza. Abiamo la coincidenza del film con il senso stesso del Cinema il suo essere una metalingua che ci rimanda a molteplici e continui possibili interpretazioni,credo per questo che Antonioni non abbia mai indugiato troppo sul significato della trama. La vita "può" anche essere sogno,realtà virtuale,adesione superficiale ed estetizzante,come Thomas testimonia già in realtà dall'inizio del film,ritrovando questa certezza alla fine con una consapevolezza in più perchè ha sperimentato anche l'altra faccia della realtà. Comunque rilancia la palla che non c'è, è un finale ottimista e di speranza sulle possibilità dell'uomo,questa esperienza gli mostra i limiti della ormai esacerbata cultura Beat cui aderisce.
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greatsteven
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domenica 26 febbraio 2017
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l'ingannevolezza delle apparenze nella fotografia.
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BLOW-UP (UK/IT, 1966) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da DAVID HEMMINGS, SARAH MILES, VANESSA REDGRAVE, VERUSCHKA, JANE BIRKIN
Thomas è un fotografo arrogante, annoiato e donnaiolo che vive a Londra negli anni in cui la capitale britannica, uniformandosi alla moda anche un po’ viziosa del tempo, comincia a far esplodere qua e là i movimenti pacifisti e il consumo di stupefacenti presso i giovanissimi. Attorniato da graziose donne che posano per lui nel suo lussuoso e variopinto studio di moda, si dibatte in un’angosciosa solitudine e vorrebbe essere ricco e famoso ed abbandonare tutto quel che possiede a casa sua (pur tuttavia arredata con uno sfarzoso e inconfondibile stile da Pop Art).
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BLOW-UP (UK/IT, 1966) diretto da MICHELANGELO ANTONIONI. Interpretato da DAVID HEMMINGS, SARAH MILES, VANESSA REDGRAVE, VERUSCHKA, JANE BIRKIN
Thomas è un fotografo arrogante, annoiato e donnaiolo che vive a Londra negli anni in cui la capitale britannica, uniformandosi alla moda anche un po’ viziosa del tempo, comincia a far esplodere qua e là i movimenti pacifisti e il consumo di stupefacenti presso i giovanissimi. Attorniato da graziose donne che posano per lui nel suo lussuoso e variopinto studio di moda, si dibatte in un’angosciosa solitudine e vorrebbe essere ricco e famoso ed abbandonare tutto quel che possiede a casa sua (pur tuttavia arredata con uno sfarzoso e inconfondibile stile da Pop Art). Una mattina, passeggiando in un parco, scatta alcune fotografie ad una coppietta di innamorati che giocano a rincorrersi, e la donna coinvolta reclama perentoria la consegna degli scatti. Dopo aver trascorso qualche ludico momento in sua compagnia, Thomas crede, in seguito all’ingrandimento dei dettagli di uno dei sopracitati scatti, di aver scoperto i segni di un delitto. Torna al parco e trova effettivamente un cadavere nascosto fra i cespugli. Parla della cosa alla migliore amica, anch’ella sua musa ispiratrice, e al suo capo, ma non ottiene le attenzioni sperate. Successivamente ad un forsennato e meticoloso lavoro svolto sui negativi delle pellicole, Thomas si accorge infine, tornato nuovamente ai giardini, che il corpo dell’uomo morto che aveva poc’anzi scorto non c’è più. Così convinto dell’efficacia e della veridicità della sua scoperta, si ritrova ora perso in un vuoto ridicolo di contraddizione e ripensamento e non può far altro che rilanciare una palla inesistente ad un gruppo di simpatici e pittoreschi mimi che prendono possesso di un campo da tennis e fingono di giocare una partita. Con un inizio alquanto silenzioso e un po’ sottotono, una parte centrale in cui la parola prende fugacemente il sopravvento e una conclusione ancora una volta affidata alla regola dei rumori di sottofondo e all’assenza quasi completa di dialoghi, è una storia disomogenea, ma accattivante e seducente, soprattutto per come mette in scena un insolito protagonista, il quale da un lato anticipa il movimento hippie con la sua refrattarietà a convenzioni sociali ormai reputate antiquate e dall’altro ricorda gli yuppies che emergeranno due decenni dopo, considerato il suo attaccamento edonistico ai cimeli, ai souvenir e a tutti gli oggetti di cui si circonda per colmare la sua vacuità esistenziale. Thomas (un impeccabile e molto azzeccato D. Hemmings, superbamente doppiato da Giancarlo Giannini) è un ragazzone solo, cullato dolcemente dalla noia, desideroso di cambiare la propria vita (ma rimanendo pur sempre vittima e prigioniero di un’epifania) e specialmente di darle un senso: e quel senso auspica di individuarlo in un’illusione che presto svanisce e fa svaporare un’evidenza che, ai primi passi, sembrava intoccabile e più vera del vero… tuttavia, il tempo di imbastire un giochetto erotico autoreferenziale con due modelle poco più che adolescenti, venute in casa sua per farsi fotografare, e di assistere ad un concerto hard rock (gli Yardbirds nel ruolo di sé stessi, che eseguono live un brano del loro repertorio; allora il genere stava emergendo), e quello che prima appariva indubitabile, adesso si è trasformato in un fatuo sogno. È anche la metafora dell’esistenza di un cittadino inglese che non sa come riempire una solitudine in cui, tutto sommato, sta bene, ma che non lo appaga nel profondo: la destrutturazione non rapidissima, ma comunque inesorabile, della sua convinzione funge pure da veicolo chiarificatore ed esplicante la sua parabola esistenziale, dominata da voglie mai soddisfatte e piaceri che non riscontra nemmeno lavorando. La sequenza conclusiva dei mimi che inscenano una partita di tennis a poca distanza dal parco dove Thomas pensava di aver scoperto la prova del reato è un modo brillantissimo e meraviglioso per chiudere questa pellicola che, parlando dell’illusione come di un motore che spinge gli esseri umani a sognare, si discosta molto dai precedenti temi della depressione (affrontata in particolar modo nel bel Il deserto rosso, 1964) e da quelli trattati nella trilogia dell’incomunicabilità, vedendo alla prova un M. Antonioni quasi rifiorito e rigenerato, che ha sia un pregio che un torto. Il primo consiste nell’aver dato una svolta decisiva al suo registro artistico, fronteggiando un aspetto nuovo che inerisce sempre al lato più oscuro e meno visibile della vita umana, e guadagnando eccellenti risultati specie quando mette in azione il suo personaggio principale, i cui comportamenti e pensieri incantano lo spettatore in modo impressionante. Il torto è quello di voler spiegare ad ogni costo quel che mostra, e qui Antonioni pecca di ricerca ostinata ma infruttuosa della profondità, troppo proteso nel tentativo, già perso in partenza, di attribuire un simbolismo e una metafora disperati alle scene che gira. È la nota stonata più marcata che il film mette in evidenza, ma è ben compensata dalla rappresentazione di una Londra giovanile e modaiola, da una colonna sonora (composta da Herbie Hancock) sobria e appena essenziale che sottolinea quasi in modo liturgico i climax più importanti e da un’organizzazione dello spazio davvero coerente e magistrale. Non un capolavoro sotto tutti i punti di vista, ma senza dubbio un’opera di ottimo artigianato nostrano, e per di più prodotta all’estero con denaro non italiano. Vincitore del Nastro d’Argento (assegnato ad Antonioni) per il miglior film straniero ed anche della Palma d’oro a Cannes.
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paride86
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lunedì 12 gennaio 2009
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bellissimo
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Un fotografo dalla vita frenetica e sconclusionata si ritroverà coinvolto in una storia misteriosa e affascinante.
Antonioni, dopo "Il Deserto Rosso", continua la sua galleria di personaggi anaffettivi; al contrario di Giuliana, però, il fotografo è integrato nella società, è consapevole e razionale. Come lei, invece, non riesce ad amare, o meglio si innamora di tutto ma poco dopo quello che prima adorava ha perso colore e sostanza ai suoi occhi. E' impulsivo e incostante, sempre alla ricerca di qualcosa che però non lo soddisfa mai. La sua folle corsa verso la soluzione del mistero finirà per non avere senso proprio perché si rende conto che siamo noi a dare un senso alle cose.
"Blow Up", inoltre, è un film di forte impatto visivo, con una fotografia nitida e colori accesi e una narrazione ricca di stratagemmi metaforici.
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Un fotografo dalla vita frenetica e sconclusionata si ritroverà coinvolto in una storia misteriosa e affascinante.
Antonioni, dopo "Il Deserto Rosso", continua la sua galleria di personaggi anaffettivi; al contrario di Giuliana, però, il fotografo è integrato nella società, è consapevole e razionale. Come lei, invece, non riesce ad amare, o meglio si innamora di tutto ma poco dopo quello che prima adorava ha perso colore e sostanza ai suoi occhi. E' impulsivo e incostante, sempre alla ricerca di qualcosa che però non lo soddisfa mai. La sua folle corsa verso la soluzione del mistero finirà per non avere senso proprio perché si rende conto che siamo noi a dare un senso alle cose.
"Blow Up", inoltre, è un film di forte impatto visivo, con una fotografia nitida e colori accesi e una narrazione ricca di stratagemmi metaforici.
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