Qunado si parla di Randolph Scott, il monolitico attore virginiano dalla faccia di pietra - prima che Charles Bronson e poi Clint Eastwood gli contendessero questa particolarità dell'espressione - si pensa alle decine di "B Movies" da lui interpretati nel corso di una carriera che si è conclusa nel 1962 con l'ottimo "Sfida nell'Alta Sierra" di Sam Peckinpah. La cirtica francese rivalutò invece il suo lavoro qualche anno fa, soprattutto per quanto si riferisce alle opere dirette da Budd Boetticher e dallo stesso Peckinpah. Quando uscì in America "Comanche Station" nel 1960, il genere western era già in declino, prima che Sergio Leone e il successivo impegno dei "revisionisti" riuscissero a rilanciarlo alla grande.
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Qunado si parla di Randolph Scott, il monolitico attore virginiano dalla faccia di pietra - prima che Charles Bronson e poi Clint Eastwood gli contendessero questa particolarità dell'espressione - si pensa alle decine di "B Movies" da lui interpretati nel corso di una carriera che si è conclusa nel 1962 con l'ottimo "Sfida nell'Alta Sierra" di Sam Peckinpah. La cirtica francese rivalutò invece il suo lavoro qualche anno fa, soprattutto per quanto si riferisce alle opere dirette da Budd Boetticher e dallo stesso Peckinpah. Quando uscì in America "Comanche Station" nel 1960, il genere western era già in declino, prima che Sergio Leone e il successivo impegno dei "revisionisti" riuscissero a rilanciarlo alla grande. Molti critici erano fin troppo prevenuti verso questo genere agonizzante che, scopriamo, Hollywood non aveva mai amato. Come se non bastasse la severità del loro giudizio, ci si mise di mezzo anche il doppiaggio italiano, che trasformò il titolo originale in un assurdo "La valle dei Mohicani", tirando in ballo una tribù pellerossa che nulla aveva a che vedere con la trama: infatti, gli Indiani che vi compaiono sono i fieri Comanche, mentre i Mohicani - che sono una tribù dell'Est - non esistevano nemmeno più, essendosi mescolati con altre etnìe. Premesso ciò, Boetticher riesce a realizzare un discreto copione da un soggetto scritto da Burt Kennedy, a sua volta regista, affidando a Scott questa parte non priva di risvolti psicologici. Il suo personaggio, Cody, è l'ennesima riproposizione del solitario del West prennemente alla ricerca di qualcuno o di qualcosa che gli offra una motivazione per continuare a vivere. Il suo vero nemico non sono infatti nè gli Indiani con la criniera ( da dove deriva la confusione con i Mohicani, frutto di una grossolana ignoranza storica, perchè di Indiani con il crano rasato se ne trovavano in decine di tribù) nè i banditi da strada che cercano di sottrargli la donna (Nancy Gates) che egli - alla ricerca della moglie rapita dai Pellirosse molto tempo prima - ha riscattato dai Comanche. La cornice conclusiva delle varie peripezie, la quieta atmosfera di una modesta fattoria dove un uomo cieco è rimasto con il figlioletto ad aspettare fiducioso il ritorno della moglie, è quella classica di chi si aspetta una felice ricongiunzione famigliare, mentre il cavaliere solitario, al pari dell'Ethan Edwards di "Sentieri selvaggi", riprenderà il suo cammino verso l'ignoto. Il film inizia con l'immagine di Randolph Scott che sbuca a cavallo da una roccia e termina con lo stesso cavaliere che scompare dietro un blocco di pietra: quasi a voler ripetere e perpetuare la magia dell'uomo venuto da una dimensione sconosciuta per soccorrere i bisognosi e ritornare nel nulla una volta compiuta la sua missione. Ma i tormenti del protagonista che si è illuso di rifarsi una vita insieme alla sua bella compagna occasionale, vengono risparmiati allo spettatore: il cavaliere solitario è un'istituzione e i suoi veri sentimenti contano poco.
Domenico Rizzi, scrittore.
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