Diario di un ladro

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Un film di Robert Bresson. Con Marika Green, Martin LaSalle, Pierre Leymarie Titolo originale Pickpocket. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 75 min. - Francia 1959. MYMONETRO Diario di un ladro * * * * - valutazione media: 4,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

l''anarchismo morale dei giovani nel dopoguerra Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51015 | altri commenti e recensioni di carloalberto
domenica 7 febbraio 2021

 Con lo stile essenziale del neorealismo, Bresson dipinge quadretti di vita e di malavita quotidiana in ambienti scarni, concentrandosi più che sulle facce o sui dialoghi, che sono altrettanto stringati, sulle mani, che agiscono veloci e sapienti nel derubare il portafoglio ai malcapitati viaggiatori della metro. Non coinvolge emotivamente e quando tenta di farlo, e questo accade soltanto nell’ultima scena, sa di artefatto e di cerebrale. Nulla di spontaneo o naturalistico c’è nell’apparente ravvedimento del giovane ladro che scopre d’essere innamorato della donna, che dall’inizio del film, e sono passati due anni, ha ignorato totalmente, trattandola con sufficienza ed indifferenza, sentendola inferiore ed in un caso apostrofandola come sciocca.
Richiama alla mente il personaggio di Camus  che nel La peste uccide un uomo senza motivo, forse per noia o per quel malessere esistenziale che nel dopoguerra animava gli spiriti liberi e gli intellettuali, nonché i giovani conformisti delle classi abbienti che li scimmiottavano per essere alla moda, parodiati da Totò nel L’imperatore di capri già nel 1949.
Nella lettera che l’ex badante della madre gli invia in carcere, preannunciandogli che lo andrà a visitare, c’è una frase ambigua. Il piccolo si è ammalato, ha una forte febbre da circa tre settimane. Finalmente non sono più preoccupata. E’ una frase dirompente che lacera la celluloide, Enfine je ne suis plus inquiete, che dovrebbe far riflettere sul significato del film.Non è l’amore che trionfa su tutto o la donna angelicata che redime il cinico superuomo o altre amenità, che hanno fatto dire ad alcuni che il film ha un finale positivo.
Si tratta evidentemente d’altro. L’uomo è risollevato nel leggere quelle poche righe perché ha capito di che pasta è fatta veramente quell’innocente ed onesta fanciulla che lui disprezzava proprio perché tale la immaginava. Invece, una madre che descrive con indifferenza la malattia, forse mortale, del suo bimbo, che nomina con distacco le petit e non mio figlio, è la donna che pensa, senza dirlo apertamente, che se rimanesse sola potrebbe dedicarsi anima e corpo a lui. E’ una dichiarazione d’amore implicita e diabolica che assolutizza l’altro, al di sopra del bene e del male, in un rapporto a due esclusivo, che non ammette terze persone che si frappongano, fosse pure il figlioletto.
E’ un riconoscersi reciproco di due anime che non credono più a nulla se non nell’onnipotenza dell’individuo, che nella coppia si enfatizza ulteriormente in un delirio narcisistico in cui l’ego dell’uno si rispecchia in quello dell’altro in una esaltazione reciproca. Film, dunque, scabroso, non politicamente corretto, che ha lusingato tuttavia, nel tempo, i benpensanti che non hanno dato peso, volutamente o inconsciamente, a quella frase terribile: Enfine je ne suis plus inquiete.
Bresson ha voluto dare un volto all’amoralismo scettico e cinico che serpeggiava tra la gioventù del dopoguerra e che Antonioni aveva già rappresentato nel film I vinti del 1953. E’ la generazione che non riconosce i valori dei padri. Non c’è nessun Dio a cui credere per più di tre minuti e le atrocità e le macerie della guerra stanno ancora lì fumanti a testimoniarlo. La famiglia, lo Stato e le sue leggi, il lavoro, sono tutte fandonie, favole inventate per essere raccontate ai deboli di mente. Il commissario di polizia, affabile e sornione,  apparentemente cerca di aiutarlo ma è soltanto incuriosito ed impaurito da quello strano individuo che contesta tutto quello in cui lui crede. Non è il solito ladro e perciò è da studiare e meglio attenzionare. Il commissario non potrà essergli di nessun aiuto, è l’ottuso difensore dello status quo, dei capisaldi etici di una società in cui tutto è al rovescio e che andrebbe perciò capovolta con l’anarchismo morale del gesto rivoluzionario individuale, il furto con destrezza, che riassume in sé sia la negazione del rispetto della proprietà altrui e del lavoro come onesto mezzo di sostentamento, sia l’affermazione dell’uomo intelligente e scaltro sulla massa anoetica schiava inconsapevole, rassegnata o complice del sistema.

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