Anno | 1965 |
Genere | Horror |
Produzione | Corea del sud |
Regia di | Lee Yong-Min |
Attori | Lee Ye-chun, Do Geum-bong, Jeong Ae-ran, Lee Bin-Hwa, Nam Kung-won . |
MYmonetro | 2,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
CONSIGLIATO NÌ
|
La formula tradizionale di molti horror coreani è questa: il fantasma di una donna assetata di vendetta, ritorna nel mondo dei vivi per dare sfogo ai suoi istinti più bassi e castigare chi l'ha fatta soffrire in passato. Anche in A Bloodthirsty Killer troviamo lo stesso modello narrativo ma, nella vicenda di un uomo in crisi che combatte contro la rivalsa della moglie defunta, prende corpo l'originalità stilistica del regista Lee Yong-min, uno dei più importanti registi coreani di genere degli anni Sessanta. Il film è stato girato con pochissimi mezzi nel 1965 e, visto e confrontato con le evoluzioni grafiche ed estetiche di oggi, appare semplice e rudimentale. Ma in questo modo di girare c'è una freschezza di intenti rara che risulta vincente proprio perché cerca una sintonia con lo spettatore senza perdersi in ambizioni troppo audaci.
Tutto ha inizio quando il vedovo Si-mok (Lee Yae-choon) decide di andare a vedere una mostra d'arte. Una volta arrivato sul posto, uno strambo custode gli annuncia che la galleria è chiusa da tempo e i quadri sono stati portati via. Ne è rimasto però uno che attira subito la sua attenzione. Si avvicina e scopre che il ritratto è quello della moglie morta. Preso dal panico, fugge di corsa dal museo ma il taxi che prende non segue le sue indicazioni e lo porta al "Ritratto Rosso", dove incontrerà il pittore che ha dipinto il quadro e lo spettro dell'amata, ormai divenuta un'assassina spietata e senza scrupoli. Le peripezie che seguono sono ondeggianti e apparentemente incomprensibili come gli stessi personaggi, mossi da una forza oscura che agisce senza logica. Le caratterizzazioni psicologiche sono talmente bizzarre e anarchiche che è difficile seguire le traversie degli attori, senza lasciarsi scappare una risatina. Più che lo spavento e la paura, i protagonisti creano complicità amichevole con chi sta a guardare fuori dallo schermo, e così la peculiarità dell'horror viene meno. Rimane però il gusto di sperimentazione e l'umiltà del racconto, caratteristica non comune per chi realizza film dell'orrore.