Nella Sardegna rurale, in zone in cui l’elettricità stenta ancora ad arrivare, le donne guarda-barriere presidiano i passaggi a livello non automatici, tirando e togliendo le catene (cadenas in sardo) usate al posto delle usuali sbarre.
Vincitore del premio Solinas, il documentario svela un’occupazione con ogni probabilità ignota ai più, rivelando un compito di responsabilità tramandato tra donne di generazione in generazione.
Le giornate delle guardiane trascorrono in lunghe attese solitarie per le campagne immerse nel silenzio, a qualunque condizione atmosferica, con la preoccupazione di non perdersi nessun passaggio dei treni e insieme quella di riuscire a secondare il proprio ruolo di madre-moglie, tra figli da andare a prendere a scuola, pasti da preparare e parenti di cui occuparsi, magari accompagnandoli sul posto di lavoro.
Il confronto tra generazioni fa emergere tempi andati in cui non c’era il telefonino e il rimpianto delle nuove guardiane per gli stipendi di un tempo, in cui però si lavorava anche nel fine settimana. Ad essere presenti sono infatti anche le questioni sindacali: gli stipendi bassi, i mancati aumenti e la latente preoccupazione di perdere il proprio posto di lavoro.
Grande protagonista è il paesaggio dell’interno sardo, attraversato da poche auto, pastori di pecore e qualche sporadico cacciatore, indagato dalla macchina da presa con attenta sensibilità, restituendo con riprese indugianti e riflessive un senso di quiete e solitudine, tra pomeriggi cosparsi di nubi, visioni crepuscolari e notti illuminate da poche luci di torce e fari di treni.
Il meglio del documentario starebbe infatti qui, oltre che nell’indagine sensibile di questa realtà marginale italiana, la quale disvela un mondo di essenzialità umana e silenzi inusuale per la nostra quotidianità frenetica e rumorosa, in una Sardegna diversa da quella solita delle spiagge e dei vip in costume.
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