Acclamato dalla critica di tutto il mondo come uno dei migliori prequel di sempre, L’Alba del Pianeta delle Scimmie s’insinua violentemente nella mente e nel cuore dello spettatore, conquistandosi un posto di tutto rispetto tra i film più belli.
Altissima è la qualità di questa pellicola, sia dal punto di vista tecnico che del contenuto. La performance capture della Weta ha fatto ulteriori passi in avanti, riuscendo a creare delle scimmie credibilissime, sia nei movimenti, che, soprattutto, nelle espressioni. Il miracolo della casa neozelandese, infatti, valendosi anche dell’esperienza dell’attore Andy Serkis – oramai un veterano in campo di recitazione con la suddetta tecnica (si pensi al Gollum de Il Signore degli Anelli) – è quello di essere riusciti a rendere incredibilmente umano il personaggio di Cesare. C’è più umanità negli occhi di questa scimmia che in quelli degli attori, seppur di alto livello. Il cast infatti è di tutto rispetto: oltre al validissimo James Franco, oramai una garanzia, troviamo una grandissima interpretazione di John Lithgow, nel difficile ruolo di persona affetta da Alzheimer. Tuttavia la bravura dei due attori viene offuscata dall’eccezionale performance della scimmia, che si impone come il protagonista assoluto del film, conquistando subito la simpatia e la compassione del pubblico. Lo spettatore, infatti, rimane subito colpito dalla dolcezza del piccolo scimpanzé, e ne segue con partecipazione la crescita e i progressi intellettivi, condividendo con lui le emozioni che la scoperta del mondo e della vita gli provoca, fino alla rabbia e alla completa compassione per i soprusi che è costretto a subire.
Il protagonista si ritrova a scontrarsi contro problemi insormontabili che la vita offre, come l’abbandono, l’isolamento da parte dei suoi simili, la consapevolezza della propria diversità, il peso di un passato tragico e, soprattutto, la malvagità dell’uomo; problemi che lo uccidono lentamente all’interno della sua anima, portandolo a maturare una nuova personalità, più forte, basata sulla rabbia disillusa nei confronti del genere umano, ma anche sulla consapevolezza del proprio posto che deve occupare nel mondo. Sarà tale consapevolezza, insieme alla rabbia accumulata da giorni di soprusi inauditi, a spingerlo a ribellarsi contro l’uomo usurpatore e a rivendicare la propria libertà, in un assordante grido di rifiuto che squarcia il silenzio, colpisce e ammutolisce tutti, spettatore compreso. Una scena intensa, bellissima, inaspettata, che si carica di significati impliciti. Il primate acquisisce la parola, e il primo uso che ne fa è per ribellarsi: un atto linguistico, dove parola e azione si fondono, un “Nooo!” primordiale, che racchiude in sé tutti gli atti di rivolta dovuti a soprusi della storia dell’uomo. Il movimento dei diritti civili dei neri, quello delle donne, come tantissimi altri, trovano la loro origine in questo atto di parola primitivo, fatto da una scimmia, che invita a dire basta alle ingiustizie e a combattere per i propri diritti e per affermare la propria dignità. Cesare, dal Giulio Cesare di Shakespeare, diverrà il capo di un esercito di scimmie, e le guiderà verso la libertà; il novello Mosè, scampato al massacro, diverrà il profeta di un popolo di primati, e li guiderà verso la terra promessa, al di là del mare, dove finalmente potrà affermare: “Cesare è a casa!”. Ogni essere ha il suo posto nel mondo e Cesare ha trovato il suo, ma nel raggiungerlo, lascia una grande lezione all’uomo: il rispetto per la vita di ogni essere. La rivolta è infatti un grande esempio di civiltà, dove la violenza viene bandita.
Il fatto che il regista Rupert Wyatt ci mostri degli animali che rispettano la vita degli uomini quando viceversa questo non avviene la dice lunga sulla visione che esso ha della nostra società, che, giunta oramai ad un punto di non ritorno, è destinata a crollare. Molto eloquenti a tal proposito sono i titoli di coda, che lasciano lo spettatore sconvolto, il quale tuttavia, abbandona la sala carico di forti emozioni, di riflessioni e, soprattutto, con la consapevolezza di aver vissuto due ore di grande cinema.
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