La mia generazione |
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Un film di Wilma Labate.
Con Francesca Neri, Silvio Orlando, Claudio Amendola, Arnaldo Ninchi, Anna Melato.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 95 min.
- Italia 1996.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 12 settembre 1996.
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Né con lo Stato né con le B.R.di RescartFeedback: 8315 | altri commenti e recensioni di Rescart |
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domenica 28 febbraio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
C’è chi si limita ad sfruttare questo motto per portare a termine la sua “missione” di convincere un ex-terrorista a fare il nome del suo complice e ritrovare armi nascoste; c’è invece chi lo vive, il motto, cercando di ritrovare prima o poi un equilibrio psicologico sottoposto ad un attentato non meno cruento, anche senza spargimento di sangue reale. Ed è forse proprio questo il tema che Wilma Labate, alla sua seconda opera da regista, vuole passare ai suoi più attenti spettatori. Già perché il cinema è probabilmente lo strumento più in grado di rendere quanto possa sanguinare una persona senza essere stato ferito nel corpo bensì, nell’anima, nella psiche. Anche perché comunque le ferite che esso rappresenta sulla scena, per quanto realistiche possano essere, rimangono pur sempre una finzione cinematografica. La raffica di mitra alle spalle che colpisce Anna Magnani, protagonista di Roma città aperta, rimane il simbolo del tradimento subito dal popolo italiano che si è lasciato ingannare da un regime totalitario fascista apparentemente dalla sua parte, in realtà dalla parte di Hitler; del capitalismo che il dittatore tedesco si era assunto il compito storico di difendere contro ogni attacco, tanto da ottenere fino all’ultimo l’appoggio della chiesa cattolica. Le code violente del regime mussoliniano si erano fatte sentire in Italia sin dal dopoguerra, prima sotto le forme di una mafia “politicizzata”, poi sotto forma di un terrorismo nero nascosto fra le pieghe dei servizi segreti e di altri organi dello Stato. La reazione delle B.R. sarà stata sbagliata, violenta e in definitiva perdente, come sottolinea lo stesso capitano dei carabinieri interpretato da Silvio Orlando parlando a Braccio, ma un risultato l’ha ottenuto: rendere un po’ meno grande la massa degli intellettuali al servizio di un potere capitalistico che produceva e continua e produrre disoccupazione, di cui si ode un eco nel film con la protesta dei senza lavoro che blocca il treno su cui viaggia scortato un criminale comune che verrà dirottato, per raggiungere il carcere di Bologna, sul blindato che stava apparentemente trasportando Braccio da Palermo a Milano. Se infatti per Rocco e i suoi fratelli Milano rappresentava solo un luogo di emigrazione che, lungi dall’arrecare reale benessere, mostrava tutta la differenza in negativo di una metropoli settentrionale a confronto con quelle più solari del centro e sud d’Italia, per Braccio rappresenta il porto di approdo dove ritessere legami umani e ritrovare qualcosa di familiare dopo quattro anni di regime speciale carcerario a Palermo. Ma niente di tutto questo e forse le critiche dei detrattori del film di Visconti restano vere. Milano è e resterà sempre un oscuro luogo fonte di depressione anche per chi deve affrontare una promessa mancata inventata ad arte da un colonnello dei carabinieri per estorcergli una confessione che non ci sarà. Non si può fare a meno di pensare che quel colonnello avesse in qualche modo a che fare con le stragi di matrice fascista mentre è certo che il capitano che ne realizza il piano è una delle tante vittime della disoccupazione, un laureato in economia e commercio espulso dal mondo mercato. Chissà perché ancora oggi la crisi economica preoccupa poco quella parte della politica italiana, che con i tagli alla scuola contribuisce ad incrementare la disoccupazione intellettuale?
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