Cielo di fuoco

‘Cielo di fuoco’ a prima vista (quella che individua, identifica, a dispetto di tutto ciò che arriverà dopo) è un film di propaganda. Sembra effettuare di fatto una promozione di un senso della guerra 'drammatico' perchè si tratta di doverla vincere e nient'altro. Questa drammaticità (me o te) che esclude una 'terzietà' (anzi la individua perchè il 'terzo' è esso stesso estraneo alle parti in causa in quanto im-possibilità di mediazione), racchiude un gruppo scelto di soldati in un compito che deve essere fatto: individuare il limite fino al quale l'individuo può ‘umanamente’ giungere nella sua opera di 'massimo sforzo' bellico. Umanamente... Cosa vuol dire? Nessuno lo sa. Si tratta di farne esperienza, di provarlo sulla propria pelle e -quindi- di spostare il limite conosciuto di 'umano' un gradino più avanti, e scommetere sulla propria capacità di riconoscersi uomini a dispetto della propria parte 'macchina' (da guerra, da lavoro, da catena di montaggio). Cosa salva l’uomo dal perdere sé stesso nel momento in cui lavora alla guerra intesa come opera estrema e necessaria di alienamento da sè? Il Generale Savage insegna a quegli uomini ad essere un gruppo, a sacrificare ogni pensiero personale alle procedure necessarie per salvaguardare il gruppo, e quindi sé stessi. La formazione in volo non deve essere mai compromessa; il bene del gruppo non deve mai abdicare a ‘eroismi’ individuali, paradossalmente narcisistici anche quando si tratta di aiutare un equipaggio in difficoltà se questo vuol dire allentare i ranghi (e così facendo sguarnire il gruppo). La durezza del comandante (Peck-Savage) impone una disciplina a questa ‘forma mentis’ atroce e spietata ma necessaria (imporrà una severa rotazione dei posti letto nelle camerate in modo che ognuno non debba legarsi troppo ad un solo compagno). King dipinge un quadro umano così profondo e commovente (a dispetto dello scopo propagandistico) da erigere un monumento non tanto alla bandiera a stelle e striscie ma alla capacità dell’uomo di arrivare al limite di sé stesso mediante l’adesione negoziata al gruppo e –attraverso questo- andare oltre il limite fissato per un singolo individuo: vuol dire stile di leadership, allocazione di risorse umane, cameratismo, clima di lavoro, ma soprattutto –dicevamo- negoziazione. Il capo non può ottenere la stima e l’obbedienza se non è in grado anche di essere flessibile, di guadagnarsi la fiducia del gruppo (Savage è consapevole di compiere un’azzardo permettendo a chiunque non fosse stato in linea col proprio stile di comando di trovarsi un altro gruppo bombardieri in cui combattere, ma è costretto a farlo per mettere in gioco sé stesso e porsi così sullo stesso piatto della bilancia dei propri uomini). L’apprendimento più grande che Savage innesca è che il comando non non può e non deve essere appannaggio di un singolo individuo (ne sarebbe sopraffatto, la storia del predecessore di Savage insegna) ma è una funzione orizzontale che il gruppo assumerà su di sé (le missioni saranno via via comandate a rotazione da ciascun ufficiale). Quando il gruppo sarà divenuto adulto, mostrerà di poter fare a meno addirittura del proprio capitano. Ora è il momento per Savage di dormire dopo aver sognato quasi in trance i suoi uomini in volo sulla Germania, ed essere stato con loro lassù in aria.