Hollywood

   
   
   

I “diversi” alla riscossa Valutazione 3 stelle su cinque

di Ghisi Grütter


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sabato 2 maggio 2020

Questa recente serie TV di sette puntate è stata molto apprezzata da vari critici. Natalia Aspesi, ad esempio ne è entusiasta e gli ha dedicato un intero paginone de “La Repubblica” del 30 aprile scorso.

La serie è stata scritta da Ryan Murphy - già autore di altre serie note come “Pose” e “Glee” - e Ian Brennan ed è ambientata nell’omonimo quartiere di Los Angeles negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra mondiale tra il 1946 e 1948. La si può definire una dramedy cioè una fiction che in ambito televisivo mescola elementi del dramma e della commedia.

La si potrebbe sottotitolare “come un gruppo di sfigati riesce a sfondare a Hollywood”. Infatti narra le vicende di un gruppetto di aspiranti attori e registi che si arrabattano in attesa di raggiungere il successo in quella che oggi viene definita Golden Age.

Attorno a una stazione di servizio in Hollywood Boulevard e al suo baffuto gestore gira tutta una serie di aspiranti cineasti che, in attesa trovare una parte, si prestano come gigolò per intrattenere uomini e donne - prevalentemente vecchie signore facoltose - accompagnandoli a “Dreamland”, luogo di soddisfazione dei piaceri sessuale. I primi episodi, come da classica sceneggiatura, servono per presentare i personaggi con le proprie strie e le proprie disavventure. Quindi, si ritroveranno tutti alla Gasoline Station e faranno un percorso in comune.

Un aspirante sceneggiatore nero e omosessuale sogna di poter vedere realizzato un suo testo dove può apparire il suo nome. Un reduce di guerra - «Ho combattuto ad Anzio» - con una mogliettina che fa la cameriera scopre che è incinta di due gemelli, c’è un altro gay aspirante attore, una figlia di produttore che vorrebbe tanto recitare con un altro nome, una giovane attrice nera cui toccano sempre le parti di cameriera aspira a un ruolo di protagonista, un regista di talento alla sua opera prima, un agente ubriacone e perverso, un produttore represso, un ex attrice, una moglie trascurata e tradita e così via. Il baffuto benzinaio, a sua volta, pur campando facendo il ruffiano, in fondo è un filosofo che così afferma: “La vostra storia è importante. Dovete credete che lo sia. Lottate per raccontarla. Voi siete importanti. La vostra vita è importante. Uscite da casa e vivete la vostra vita a testa alta”.

“Hollywood” rappresenta una sorta di rivalsa per i “diversi” che siano donne, neri o omosessuali (ma gli ebrei Ryan Murphy li ha dimenticati?). Infatti, all’epoca vigeva il Production Code, un codice con una serie di linee guida morali che per molti decenni hanno governato e limitato le produzioni cinematografiche negli Stati Uniti. Specificava cosa fosse “moralmente accettabile” all’interno di un film, incluse le perversioni sessuali (leggi omosessualità) e relazioni interraziali.

Neanche dieci anni prima il film “Via col vento” veniva premiato nel 1940 con dieci Oscar tra cui quello dato a Hattie McDaniel, la Mamie di Rossella O’Hara, alla quale non era stato permesso di entrare in sala per le leggi razziali. Questo evento viene puntualmente ricordato nella nostra miniserie.

Nonostante la sua struttura è molto convenzionale e può ricordare molti altri film già visti, tra cui ad esempio “Ave Cesare!” dei fratelli Coen del 2016, è abbastanza divertente e diventa un feel-good-movie.

In un’intervista a “Variety” Laura Harrier - l’aspirante attrice nera - così ha detto : «Adoro pensare a come sarebbe stato il mondo se fossimo stati in grado di rappresentare donne, persone di colore, persone della comunità LGBTQ all’inizio di Hollywood. In che modo i film e la TV sarebbero diversi? Come sarebbe diverso il mondo?».

 

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