michele martelossi
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domenica 1 novembre 2015
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il cinema contro il cinema di altman
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Sono poco obiettivo quando si tratta di Robert Altman perché amo la sua forma filmica ancor prima di dover pazientare per i contenuti, ma qui non c'è distinguo. Nel raccontare quale sia il processo creativo di un film hollywoodiano, tra produttori inguainati nel loro cinismo in giacca e cravatta e segretarie che paiono i loro cani da guardia, il regista attua una mirabile destrutturazione delle regole sintattiche, superando il confine tra narrazione e rappresentazione. Lui, l'enfant prodige della macchina da presa, ci introduce tra "I Protagonisti" con un primo, interminabile piano sequenza e, con l'abile scusa dei titoli d'apertura, ci catapulta in un lunghissimo corridoio, stritolati tra gli ingranaggi del suo proiettore, testimoni di come l'arte e la vita non siano poi molto dissimili.
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Sono poco obiettivo quando si tratta di Robert Altman perché amo la sua forma filmica ancor prima di dover pazientare per i contenuti, ma qui non c'è distinguo. Nel raccontare quale sia il processo creativo di un film hollywoodiano, tra produttori inguainati nel loro cinismo in giacca e cravatta e segretarie che paiono i loro cani da guardia, il regista attua una mirabile destrutturazione delle regole sintattiche, superando il confine tra narrazione e rappresentazione. Lui, l'enfant prodige della macchina da presa, ci introduce tra "I Protagonisti" con un primo, interminabile piano sequenza e, con l'abile scusa dei titoli d'apertura, ci catapulta in un lunghissimo corridoio, stritolati tra gli ingranaggi del suo proiettore, testimoni di come l'arte e la vita non siano poi molto dissimili. La vita di Tim Robbins, per esempio, è proprio un film: perseguitato da uno sceneggiatore pazzo che si è visto rifiutare un soggetto, minacciato da un ambizioso giovinastro che potrebbe soffiargli il posto, accerchiato da attori che per lo più lo detestano e sospettato per l'omicidio del suo presunto persecutore. In questo giallo dal colpevole risaputo e contravventore di tutte le etichette del genere con interrogatori di polizia che finiscono tra le risate e con assurdi riconoscimenti di persona, trova nel frattempo spazio la realizzazione di un vero film che vedrà la partecipazione del Tenente Colombo. E' il paradosso. E' un film dentro il film. E' il cinema bellezza! Ed è quello di Altman, figlio tra i più bravi ma anche tra i più riottosi della fascinosa Hollywood. Perciò non c'è schematismo o legge che tenga nel dissacrante modo in cui i piccoli drammi delle major cinematografiche vengono riprodotti. Non c'è un minuto di stanchezza perché tutto procede senza soluzione di continuità. "Odio gli stacchi", dice in apertura uno dei comprimari. E la promessa viene mantenuta sino alla fine con una procedura a staffetta dove il film ne richiama altri, in una soluzione labirintica che sembra senza uscita ma con un messaggio evidente quanto un Minotauro. L'uccisione dello sceneggiatore che domina il centro può voler dire solo che, per fare cinema, non servono soggettisti e scrittori poiché basta la verità. La verità è una fonte di sufficiente ispirazione che si racconta da sola e non necessita di intermediari. (E' un assaggio di ciò che ci dirà poi anche Jim Carrey in "The Truman Show"). "Eliminiamo gli sceneggiatori" profetizza Peter Gallagher. "Eliminiamo anche gli attori ed il regista" replica Tim Robbins. Ecco. In fondo, che altro è il cinema se non la surreale e a volte superflua imitazione della realtà? Il cast è corale come nella migliore tradizione altmaniana. Strepitosa Whoopi Goldberg.
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il befe
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lunedì 9 marzo 2015
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ce ne fossero
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francesco2
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sabato 16 luglio 2011
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ma non è il miglior altman
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Le prime scene di "The players" ci regalano una carrellata, sottile ma non troppo, pungente ma non troppo, sul mondo produttivo e creativo (?) di Hollywood, secondo lo stile corale caro al regista di "Short cuts". Emerge quell'atmosfera mista tra satira sociale e thriller che pervaderà l'intera pellicola, ma senza la drammaticità dell'opera appena citata e l'umorismo del tanto bistrattato "Pret-a-porter". "The players" oltre che "I protagonisti" sono anche i "Giocatori", termine che potrebbe essere inteso nel senso di scommettitori (E' questo del resto il ruolo di Robbins, quando sostiene magari esagerando un poco che deve scegliere dodici progetti su migliaia e migliaia che gli vengono proposti ogni anno).
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Le prime scene di "The players" ci regalano una carrellata, sottile ma non troppo, pungente ma non troppo, sul mondo produttivo e creativo (?) di Hollywood, secondo lo stile corale caro al regista di "Short cuts". Emerge quell'atmosfera mista tra satira sociale e thriller che pervaderà l'intera pellicola, ma senza la drammaticità dell'opera appena citata e l'umorismo del tanto bistrattato "Pret-a-porter". "The players" oltre che "I protagonisti" sono anche i "Giocatori", termine che potrebbe essere inteso nel senso di scommettitori (E' questo del resto il ruolo di Robbins, quando sostiene magari esagerando un poco che deve scegliere dodici progetti su migliaia e migliaia che gli vengono proposti ogni anno). Oppure, "Players"andrebbe inteso nel senso di "Attori", ruolo che ricopriamo un pò tutti (Anche in Francese e Tedesco "Giocare" e "ecitare" sono rappresentati dallo stesso verbo), ma in particolare chi deve promuovere l'industria della falsità (Il lieto fine, la mancanza di amarezza) pur di soddisfare i gusti (Soltanto?) del cosiddetto "Grande pubblico".
Una carta vincente del film è che ad Altman non interessa santificare Robbins, vuoi perché egli si macchia di un gesto esecrabile vuoi perché ne mette in luce, in certi momenti, il ruolo esplicito di "Affarista", stile Cicikov nelle "Anime morte" gogoliane. Così come intelligente, e per certi versi funzionale alla storiia, appare l'amore con la Scacchi. E'altrove, però, che "The players" non convince così tanto. Intanto la dimensione di "Giallo" (Chi voglia o non voglia colpirlo, e perché, "lo scopriremo solo vivendo"), secondo chi scrive, rischia di apparire una sorta di artificio (im)posto nel film, che non aggiunge nulla a parte un ben congegnato desiderio di suspense. Un pò artificioso, perdipiù in un film che si
autodefinisce "Fuori dagli schemi", anche se è a cusa di questi timori che Robbins compie il gesto che compie.
In più, i personaggi dei produttori che vogliono il "Fine tragico" appaiono due macchiette che si scontano con la società, impersonata dal protagonista, che pure nella sua ambiguità di fondo sarebbe tentato di dar loro retta, ma che alla fine segue la stessa involuzione cinica del personaggio di "Crimini e misfatti". La società, e questo si ricollega forse a d un'altra alla traduzione di "Players"=Protagonisti" finisce per seguire le stesse regole dello spettacolo e viceversa, ma a volte il regista ce l'aveva suggerito in termini meno moralistico-scontati. Restano poi trovate curiose a parte: la telefonata mentre lui si trova in una sauna, più brutto del protagonista di "Somewhere" nel momento del trucco, la "Testimonianza" che rischia di incastrare un poliziotto.
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themichtemp
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martedì 25 gennaio 2011
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ottimo film.
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paride86
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mercoledì 13 ottobre 2010
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perfido
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Altman gira un film su Hollywood e il cinema, e lo fa lucidamente e in maniera spietata.
Il cinema che racconta se stesso può sembrare poco interessante, o perlomeno autoreferenziale, invece quella che ci propone Altman è una storia valida e fuori dagli schemi ma, allo stesso tempo, fedele a tutti i requisiti di un blockbuster - requisiti che vengono elencati proprio durante il film.
Piacevole e cattivo.
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la mora '82
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lunedì 2 febbraio 2009
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salve a tutti
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Salve a tutti.. Complimenti per il sito.. è molto bello.. a presto.. baci
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carlo - 34anni
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domenica 25 gennaio 2009
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cocente delusione
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Personalmente non ho capito le qualita' di questo film. Unica cosa interessante e' il ritrovarsi nel mondo reale di Hollywood con attori che impersonano loro stessi. La trama e' penosa, non scuotendo alcun interesse o emozione nello spettatore. Rimanendo in tema col film: che scritturino scrittori con trame di film migliori....
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w le vacanze
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venerdì 14 marzo 2008
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www
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mem
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domenica 2 settembre 2007
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impara qui come nasce un film a hollywood
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Come nasce un film a Hollywood lo impari meglio qui che in cento libri sul cinema, in cui le intenzioni didascaliche o celebrative ti portano fuori strada. E' come se Altman ti portasse per mano dentro gli studios, fra le relazioni caotiche della gente del cinema, i motivi umani e l'interesse - sovrano- del business.
Altman, che ha sempre filmato la casualità a volte banale, a volte tragica della vita, sempre con un distacco ironico che può essere considerato il suo "tocco", qui nel suo elemento si esprime al meglio.
La vicenda del film, stavolta più che mai, è un pretesto per descrivere - e descriversi- in un mondo cinico,insieme fatuo e disincantato, lucido e spietato.
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giuseppe pastore
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martedì 28 marzo 2006
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i protagonisti
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Un produttore cinematografico, ossessionato dalle cartoline minatorie di uno sceneggiatore a cui ha bocciato un copione, lo incontra e per sbaglio lo uccide. La polizia sospetta di lui.
Fin troppo chiara e diretta la metafora: le grandi major soffocano il talento dei giovani sceneggiatori, imponendo assurdi copioni atti soltanto a far affluire nelle loro casse i dollaroni delle mandrie di spettatori che riempiono i cinema. Niente di nuovo sotto il sole di Hollywood, è dagli anni '30 che la più grande industria cinematografica del mondo porta avanti questa politica. Robert Altman non ha mai avuto voglia di cambiare le cose: egli è, questo sì, un mirabile fotografo di questa società bacata di cui lui fa parte, un eccelso ritrattista dei tipi del ventesimo secolo.
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Un produttore cinematografico, ossessionato dalle cartoline minatorie di uno sceneggiatore a cui ha bocciato un copione, lo incontra e per sbaglio lo uccide. La polizia sospetta di lui.
Fin troppo chiara e diretta la metafora: le grandi major soffocano il talento dei giovani sceneggiatori, imponendo assurdi copioni atti soltanto a far affluire nelle loro casse i dollaroni delle mandrie di spettatori che riempiono i cinema. Niente di nuovo sotto il sole di Hollywood, è dagli anni '30 che la più grande industria cinematografica del mondo porta avanti questa politica. Robert Altman non ha mai avuto voglia di cambiare le cose: egli è, questo sì, un mirabile fotografo di questa società bacata di cui lui fa parte, un eccelso ritrattista dei tipi del ventesimo secolo. Prende in disparte il mondo di cui fa parte e gli dice due o tre cosette, senza la pretesa di convertirlo all'Arte; poi lo lascia andare, senza l'illusione di avergli fatto cambiare idea. Attraversato da una sottile e impagabile ironia, che esplode nei dieci minuti finali, "I protagonisti" (meglio il titolo originale, "The Player". Il player, ovviamente, è Altman) è il più lucido e implacabile quadro mai confezionato sul cinema moderno, fondato sull'imperante logica del lieto fine e dei divi e che mai si piega al bello, preferendogli sempre l'utile. Ad un film così "contro", pieno di dialoghi crepitanti e sentenze memorabili, era onestamente difficile attribuire qualche Oscar. Tim Robbins perfetto nel ruolo del cinico figlio di puttana senza mai essere gigione; disseminati per tutto il film 70 camei di attori e registi as themselves. Provate a riconoscerne almeno 30.
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(di francesco2)
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