great steven
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domenica 24 febbraio 2019
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l'attacchino alla ricerca della dovuta salvezza.
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LADRI DI BICICLETTE (IT, 1948) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da LAMBERTO MAGGIORANI, ENZO STAIOLA
Nella Roma dell’immediato dopoguerra, al disoccupato Antonio Ricci, sposato con Maria da cui ha avuto il figlio Bruno, viene offerto un impiego di attacchino, per il quale è però necessario possedere una bicicletta, e lui non l’ha. Dunque la moglie impegna le lenzuola del loro letto e dal banco dei pegni ottiene il denaro occorrente affinché Antonio compri il velocipede. Purtroppo, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli viene rubata da un losco individuo di cui fa in tempo a scorgere il volto, ma il suo palo depista volontariamente lo sfortunato derubato e perciò Antonio, privato del mezzo, non può lavorare.
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LADRI DI BICICLETTE (IT, 1948) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da LAMBERTO MAGGIORANI, ENZO STAIOLA
Nella Roma dell’immediato dopoguerra, al disoccupato Antonio Ricci, sposato con Maria da cui ha avuto il figlio Bruno, viene offerto un impiego di attacchino, per il quale è però necessario possedere una bicicletta, e lui non l’ha. Dunque la moglie impegna le lenzuola del loro letto e dal banco dei pegni ottiene il denaro occorrente affinché Antonio compri il velocipede. Purtroppo, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli viene rubata da un losco individuo di cui fa in tempo a scorgere il volto, ma il suo palo depista volontariamente lo sfortunato derubato e perciò Antonio, privato del mezzo, non può lavorare. Fa una denuncia contro ignoti nonostante il parere poco convinto del questore e si trascina dietro Bruno in una spasmodica ricerca per ritrovarla. Ma ogni cosa va per il verso sbagliato: sospettando che il ladro possa averla smontata per poi rivenderla a pezzi al mercato rionale, dapprima padre, figlio e brigadiere della polizia si recano là per fare un tentativo, ma è tutto un buco nell’acqua; dopodiché, a Porta Portese, vedono da lontano un vecchio mendicante che intrallazza con colui che ha sottratto ad Antonio la bicicletta, lo inseguono fin dentro una chiesa mentre è in corso un’Eucaristia e una distribuzione dei pasti e riescono a strappargli l’indirizzo del giovane malvivente; in seguito, Antonio e Bruno, mangiata una mozzarella in carrozza dentro un’osteria, provano a ricevere un responso da una medium cui si era rivolta anche la moglie di lui, la quale non fa altro che fornirgli una risposta che sa di malaugurio («O la trovi subito o non la trovi più»). Sempre più disperato, Antonio, recatosi col pargolo nella via in cui abita il ladro, lo riconosce e lo strattona, finché quello non ha un violento attacco epilettico. Circondato dai beceri famigliari del giovane, Antonio chiede aiuto ad un poliziotto e lo mette al corrente del fatto che ha denunciato il furto, ma il gendarme gli risponde che, in mancanza di testimoni, non s’ha nulla da fare. Infine il pover’uomo tenta maldestramente di rubare una bicicletta, ma in molti lo colgono in flagrante, lo fanno scendere, lo malmenano e sono pronti a portarlo alla centrale di polizia, senonché interviene Bruno in lacrime a evitare che quegli uomini lo separino dal padre. Esausti e definitivamente sconfitti, padre e figlio si incamminano verso casa. Considerato il capolavoro del neorealismo italiano, racconta la realtà sociale della Roma del 1948 tramutandola in autentica, superba e sublime poesia del quotidiano. La capitale non si accontenta di fare da mero sfondo alla vicenda, bensì ne diventa la protagonista assieme all’uomo e al frugoletto che si muovono al suo interno come viandanti man mano più scoraggiati e avviliti, ma che non han intenzione di arrendersi finché un obiettivo importante come quello di restituire il lavoro all’attacchino non sia stato conseguito. Un bianconero di notevole intensità, una fotografia tenuamente sobria, una colonna sonora che sottolinea al pari dei movimenti di una sinfonia i passaggi e il climax ascendente della drammaticità di codesta storia semplice che tuttavia narra, con gradevolissima precisione, una testa che si rialza a fatica dopo i bombardamenti bellici e recupera poco a poco la sua dignità parimenti al benessere di un tempo. La coppia De Sica-Zavattini, col primo alla regia (mai data una prova così egregia!) e il secondo alla sceneggiatura (un copione da incorniciare, non c’è che dire), consegna al pubblico un documento sociologico di una comunità dove i delinquenti riescono puntualmente a trionfare a discapito delle forze dell’ordine, le brave persone vengono calpestate, ridotte al silenzio e messe all’angolo a furia di botte massacranti sul piano emotivo e la verità, seppur incontestabile, rimane assopita sotto uno strato di impudica omertà giacché non sussistono i capi d’accusa per incriminare chi la tiene nascosta con spudorata vigliaccheria. Un perfetto e assai equilibrato rapporto adulto-bambino fra Maggiorani e Staiola (memorabili le battute talora filosofanti e talaltra auto-commiseranti del primo, ad esempio: «Ma chi c’o fa’ fa’ de star a tribolà!», «Mica la ritrovamo co’ li santi…»). Il ruolo di Maggiorani, in origine, era stato proposto a Gary Cooper. Tra i film più premiati di tutte le epoche, compreso un riconoscimento come miglior film straniero (l’Oscar della categoria in questione ancora non esisteva) agli Academy Awards 1949. Due camei da sottolineare: Alberto Sordi che dà la voce a un tinteggiatore di telai al mercato rionale e un 19enne Sergio Leone vestito da seminarista nell’andito della chiesa. Uno dei frammenti di storia del cinema più consistenti e fondamentali che ha toccato una vetta oramai irraggiungibile per i film di oggigiorno, tanto è realistico, commovente e lancinante. L’abilità di De Sica nello stendere i tratti di un’opera clamorosa per estetica e significato travalica i limiti della perizia registica per addentrarsi nei meandri del poeta professionista della settima arte, lanciato a rotta di collo su un tema per lui carissimo e, a quei tempi, ancora piuttosto caldo.
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stefanocapasso
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martedì 3 aprile 2018
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un seme di speranza nelle difficoltà esistenziali
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Nella Roma affamata del primo dopoguerra, Antonio Ricci vive con la sua famiglia in una borgata dove tutti aspettano un lavoro. Quando viene chiamato per fare l’attacchino a condizione di possedere una bicicletta, Antonio si mette in moto con la moglie per disimpegnare la sua. Dopo aver impegnato lenzuola e coperte rientra in possesso del suo mezzo e può iniziare a lavorare. Ma il primo giorno un ladro ruba la sua bici e da quel momento per Antonio e il figlio Bruno comincia una lunga ricerca per la città.
Grande capolavoro del cinema realista ad opera di Vittorio De Sica, Ladri di Biciclette è un trattato sulle periferie romane. Il binomio padre figlio, diventa il nucleo narrativo che ci permette di entrare in contatto e conoscere tante diverse realtà che accadono quasi per caso ai due durante la ricerca, e che ci dicono molto della vita dei tempi.
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Nella Roma affamata del primo dopoguerra, Antonio Ricci vive con la sua famiglia in una borgata dove tutti aspettano un lavoro. Quando viene chiamato per fare l’attacchino a condizione di possedere una bicicletta, Antonio si mette in moto con la moglie per disimpegnare la sua. Dopo aver impegnato lenzuola e coperte rientra in possesso del suo mezzo e può iniziare a lavorare. Ma il primo giorno un ladro ruba la sua bici e da quel momento per Antonio e il figlio Bruno comincia una lunga ricerca per la città.
Grande capolavoro del cinema realista ad opera di Vittorio De Sica, Ladri di Biciclette è un trattato sulle periferie romane. Il binomio padre figlio, diventa il nucleo narrativo che ci permette di entrare in contatto e conoscere tante diverse realtà che accadono quasi per caso ai due durante la ricerca, e che ci dicono molto della vita dei tempi. Non si può rimanere indifferenti alle vicende questi due essere umani che sembrano non trovare pace, e che in particolar modo al bambino, la vita sembra aver negato ogni possibilità.
L’ultima cosa che ancora rimaneva loro, l’onestà, viene messa in discussione nel finale quando Antonio tenta di rubare a sua volta una biciletta. Rubare non è il suo mestiere viene subito preso e anche graziato dal proprietario che all’ultimo momento preferisce non consegnarlo alla polizia. Un gesto di solidarietà e di speranza in un mondo che sembra faticare a trovarne.
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antoniopagano
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venerdì 2 marzo 2018
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furto di speranza, regalo di poesia
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Antonio Ricci è un disoccupato come tanti nell’immediato dopoguerra in una periferia romana. Per ottenere un posto da attacchino comunale deve disporre di una bicicletta. La speranza di una vita dignitosa per sé e per la sua famiglia viene spezzata quando gli viene rubata la bicicletta faticosamente riscattata dal banco dei pegni. Nella ricerca della bicicletta rubata si sommano la disperazione di Antonio e il tenero rapporto con suo figlio, il piccolo Bruno, il vero protagonista della storia.
Date per intese le doverose chiavi di lettura cinematografica (il neorealismo, i lunghi piani sequenza in campo aperto, quel formicolio scomposto di popolo che più di tutto rende il senso dell’instabilità sociale nella seconda metà degli anni ’40 in Italia), il tema del film è il rapporto tra un padre e un figlio in una contingenza sfigurata dallo stato di necessità, dove il presente è incerto e proietta rabbia sul futuro.
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Antonio Ricci è un disoccupato come tanti nell’immediato dopoguerra in una periferia romana. Per ottenere un posto da attacchino comunale deve disporre di una bicicletta. La speranza di una vita dignitosa per sé e per la sua famiglia viene spezzata quando gli viene rubata la bicicletta faticosamente riscattata dal banco dei pegni. Nella ricerca della bicicletta rubata si sommano la disperazione di Antonio e il tenero rapporto con suo figlio, il piccolo Bruno, il vero protagonista della storia.
Date per intese le doverose chiavi di lettura cinematografica (il neorealismo, i lunghi piani sequenza in campo aperto, quel formicolio scomposto di popolo che più di tutto rende il senso dell’instabilità sociale nella seconda metà degli anni ’40 in Italia), il tema del film è il rapporto tra un padre e un figlio in una contingenza sfigurata dallo stato di necessità, dove il presente è incerto e proietta rabbia sul futuro. Un padre che la disperazione rende distratto, anche aggressivo, ed un figlio che lo rincorre sempre, sgambettando, cadendo, perdendosi, piangendo, avvertendo una responsabilità più grande di lui nell’aiutare il padre a ritrovare la bicicletta.
Sarà proprio la presenza composta e la muta commozione del piccolo Bruno a riscattare lo sfortunato attacchino dalla vergogna del fallimento. Nei dialoghi asciutti, nella scena in cui padre e figlio siedono a tavola in trattoria e si scambiano sguardi fiduciosi, nei passi di Antonio e Bruno che finalmente si tengono per mano confusi nella folla, sopra ogni cosa c’è la poesia.
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fedeleto
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domenica 3 aprile 2016
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neorealismo desichiano
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Nella Roma del dopoguerra,Antonio ha ricevuto un posto di lavoro come attacchino dei manifesti del cinema.Dopo aver comprato una bicicletta grazie al sacrifico della moglie,inizia felicemente il suo lavoro.Quando la bicicletta sarà rubata,per Antonio incomincia la paura di perdere il posto è si prodighera' insieme al figlio per ritrovarla.Ma senza esito positivo deciderà di rubare un'altra,ma non andrà come previsto.Vittorio De Sica (sciuscia',I bambini ci guardano) gira un capolavoro del neorealismo.Tratto dal romanzo di Luigi Bartolini e sceneggiato a più mani da Zavattini,Biancoli,D'amico,De Sica,Franci,Gherardi e Guerrieri,il film mostra la realtà del dopoguerra.
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Nella Roma del dopoguerra,Antonio ha ricevuto un posto di lavoro come attacchino dei manifesti del cinema.Dopo aver comprato una bicicletta grazie al sacrifico della moglie,inizia felicemente il suo lavoro.Quando la bicicletta sarà rubata,per Antonio incomincia la paura di perdere il posto è si prodighera' insieme al figlio per ritrovarla.Ma senza esito positivo deciderà di rubare un'altra,ma non andrà come previsto.Vittorio De Sica (sciuscia',I bambini ci guardano) gira un capolavoro del neorealismo.Tratto dal romanzo di Luigi Bartolini e sceneggiato a più mani da Zavattini,Biancoli,D'amico,De Sica,Franci,Gherardi e Guerrieri,il film mostra la realtà del dopoguerra.Molteplici sono gli aspetti doverosi di nota dove è necessario soffermarsi.Il personaggio principale di Antonio Ricci,attore non professionista,appare come un uomo lacerato da questa speranza del lavoro,che combatte in una Roma alveare del caos urbano che si è creato.Il peregrinare con suo figlio sembra apparire come il percorso della salvezza,alla ricerca del mezzo indispensabile.De Sica si sofferma dunque sulla descrizione di una classe proletaria allacciata ad una sofferenza inconsolabile carica di emozione e pathos,che senza dubbio trascina lo spettatore nella profondità.Ad ogni modo il personaggio di Antonio diventa un ladro poiché ha subito il furto,questo miasma maligno dilaga e distorce la personalità dell'uomo che si improvvisa ladro ma chiaramente non lo è.Antonio è una vittima,un predestinato,di una società povera senza speranza. Non manca anche un leggero simbolismo (la partita di calcio con le urla dei tifosi mentre Antonio ruba la bicicletta come fosse una partita con sé stesso).La grandezza del film sta nel rappresentare un documento della classe sociale disagiata vittima di una stratificazione sociale indifferente.Impossibile non ammirare la bravura tecnica del regista di Sora,che con i movimenti della mdp pedina l'attore e tenta di passare dal soggettivo all'oggettivo.Non trascurabile l'evidenza del contesto classista (a pranzo nel ristorante la famiglia borghese che ordina il dolce).Un capolavoro necessario al cinema,vincitore di premi ovunque,dai 6 nastri d argento all'oscar del 1949.Da vedere.
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attanasio
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giovedì 24 marzo 2016
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ladri di speranza
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Si ha l'impressione che la bicicletta rubata sia una metafora della speranza di una nuova vita, di una vita migliore. In un'Italia distrutta, in cerca di riscatto, Antonio e Bruno partono alla ricerca di una bicicletta rubata, una bicicletta che non vuol dire allegre escursioni in campagna bensì duro lavoro, pane, sopravvivenza, futuro. L'adulto in teoria è Antonio, ma pian piano si insinua il sospetto che la vera colonna portante della famiglia sia il piccolo Bruno, con i suoi sguardi, la sua tenacia, la sua costante attenzione agli stati d'animo del padre, un padre che dovrebbe prendersi cura di lui, che dovrebbe risolvere la situazione in qualche modo, ma che si rivela costantemente non all'altezza della situazione.
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Si ha l'impressione che la bicicletta rubata sia una metafora della speranza di una nuova vita, di una vita migliore. In un'Italia distrutta, in cerca di riscatto, Antonio e Bruno partono alla ricerca di una bicicletta rubata, una bicicletta che non vuol dire allegre escursioni in campagna bensì duro lavoro, pane, sopravvivenza, futuro. L'adulto in teoria è Antonio, ma pian piano si insinua il sospetto che la vera colonna portante della famiglia sia il piccolo Bruno, con i suoi sguardi, la sua tenacia, la sua costante attenzione agli stati d'animo del padre, un padre che dovrebbe prendersi cura di lui, che dovrebbe risolvere la situazione in qualche modo, ma che si rivela costantemente non all'altezza della situazione. Un film straordinario, che ci permette di non dimenticare la sofferenza di un'Italia umanamente e materialmente in macerie...
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teardrop
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martedì 2 giugno 2015
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gente comune rappresenta l'italia del dopoguerra
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Ladri di biciclette si sviluppa su quattro temi principali, la necessità di trovare un lavoro nell'Italia dell'immediato dopoguerra, la rappresentazione del nostro paese in quel periodo di transizione, la relazione tra genitore e figlio, e, il furto di una bicicletta. Antonio, buon padre di famiglia, non pretende molto dalla vita, un lavoro che gli consenta di dare ai suoi cari, persone semplici, oneste, quel poco che permetta loro di vivere decorosamente. La fortuna di aver trovato un impiego come attacchino, presto diventa tragedia, allorchè un ladro gli ruba ciò che é indispensabile per svolgere il suo incarico, la bicicletta. Così inizia la sua odissea nella Roma del dopoguerra.
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Ladri di biciclette si sviluppa su quattro temi principali, la necessità di trovare un lavoro nell'Italia dell'immediato dopoguerra, la rappresentazione del nostro paese in quel periodo di transizione, la relazione tra genitore e figlio, e, il furto di una bicicletta. Antonio, buon padre di famiglia, non pretende molto dalla vita, un lavoro che gli consenta di dare ai suoi cari, persone semplici, oneste, quel poco che permetta loro di vivere decorosamente. La fortuna di aver trovato un impiego come attacchino, presto diventa tragedia, allorchè un ladro gli ruba ciò che é indispensabile per svolgere il suo incarico, la bicicletta. Così inizia la sua odissea nella Roma del dopoguerra. Accompagnato dal figlioletto Bruno vaga al limite della disperazione per le strade, tutto sembra essergli ostile. Perfino la città appare fredda, una Roma nella quale convivono miseria ed opulenza, gente onesta e piccoli criminali. Il destino d'Antonio si confonde con quello degli altri, gente che tira avanti pensando alle faccende quotidiane, occupati dai problemi personali, indifferenti alla tragedia che sta vivendo. Distaccata testimone la cinepresa guidata da De Sica fruga tra le strade della capitale, mostrando l'Italia del dopoguerra nella sua drammatica autenticità, senza inutili pietismi, così come la visse egli stesso, non espone il dramma di una sola persona ma quello di un'intera nazione, che ancora doveva riprendersi dalle ferite della guerra; un paese di grande contrasti, grandi speranze, e, grande povertà. Ladri di biciclette è diretto, spontaneo, autentico. La pellicola chiama in causa la nostra emotività, un'opera che commuove per realismo, umanità, impegno sociale. Si percepisce che il regista guarda alla gente con appassionata pietà, ma rimane fedele alla sua linea di oggettività e distacco, senza giudicare nessuno, anche Antonio non é mai rappresentato come un eroe. Aiutato dalle riprese in bianco e nero, De Sica inserisce nel film scene di commovente intensità, come quando padre e figlio stanno sfiduciati sotto la pioggia ai mercati generali, o, nel momento in cui Antonio vicino lo stadio valuta se rubare egli stesso una bicicletta. Ci commuove, ma il regista non mostra mai che per il protagonista possa esistere una via d'uscita. In questo contesto la bicicletta diventa l'incarnazione della salvezza; Antonio la cerca disperatamente poiché da essa dipende il suo lavoro, e la sopravivenza stessa della propria famiglia. De Sica girò il film sulle strade, facendo recitare gente comune, che altro non doveva fare che interpretare se stessa, non si occupa dei grandi problemi, racconta una storia semplice, nella quale c'è il dolore, la vita, rappresentata con una veridicità che era estranea alla fabbrica dei sogni hollywoodiana. Il film vive in gran parte del rapporto padre e figlio: Bruno é un bravo ragazzino che rispetta ed ammira il genitore, speranzoso lo segue nella sua caccia. Antonio se lo porta dietro, per non sentirsi solo nella sua sconsolata ricerca, è da lui che trae la forza di continuare, hanno momenti di scontro, ma il più delle volte il piccolo subisce tacendo. Il crescendo drammatico, si sviluppa in modo esemplare, dopo che Antonio si rende conto che non avrà indietro la sua bicicletta, e che la situazione appare senza via d'uscita. Allora é costretto egli stesso a diventare un ladro. Bruno lo guarda mentre sale in sella ad una bici e si da alla fuga, il film raggiunge il culmine della tensione emotiva, quando il piccolo vede il padre umiliato, preso a schiaffi, dalla folla inferocita che l'aveva inseguito e raggiunto. Antonio si rende conto di essere stato disonorato sotto gli occhi del figlio, di aver compromesso la propria dignità; saranno le lacrime del bambino a suscitare la compassione del proprietario della bici, che rinuncia a denunciarlo. Nella scena finale, quando il genitore prende per mano il ragazzino per tornare a casa, questi capisce la disperazione del padre, è cosciente del dramma passato e della vita che l'aspetta, per lui le traversie accadute sono state motive di crescita.
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torviliseingcanterbury
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domenica 15 marzo 2015
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l.d.b., sei già nel mito della storia.
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un film del 48, ci racconta un'italia
non ancora evoluta (nel furto di biciclette s'intende), tratto dal romanzo
omonimo d B. Luigi, un disoccupato finisce col rubare biciclette, profittando
di un paese che gliel'ha permesso, il film di B. luigi caduto guardando la trama
nello stereotipo comune del delinquentello cittadino con le
movenze di un orango e il fare di paperino, idolo surreale di qualche
malsano sottostimato cittadino di palazzo e delle forze
dell'ordine inesistenti in tal caso al dovere, sicchè,
tentarono di rubargli la bicicletta riuscendoci, (?) li
inseguì senza prendere neppure il ladro, si dà così all'attività
illecita, e il titolo al plurale forse significa non solo,
un racconto dalle tinte fosche, di gente che non ha
niente da perdere rappresentando quell'italia bene,
che in realtà ruba, con persone straniere, a averlo ridotto a un classico,
col garino del chi è più furbo, in versone commedia nel
vedere che, tra le tante qualità ancora richieste, quelle delle abilità
devolute al furto nel fracasso di una città truffaldina, sembrano le più
remunerative, con buona pace per le morali a
perditempo dei vecchietti pseudo inquisitori, Vittorio ha così diretto un film .
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klimowitz
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sabato 8 novembre 2014
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quando il cinema si eleva a poesia
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Cos'altro dire di questo capolavoro assoluto del neoralismo italiano che non sia già dtato detto? E' il CINEMA, è arte allo stato puro, è emozione, è TUTTO! Non dimenticherò mai gli occhi rigati dalle lacrime del bambino, di fronte al quasi linciaggio del padre. In questi casi le parole non servono...
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il crepuscolo degli idioti
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mercoledì 14 maggio 2014
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una semplice vicenda universale
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In una realtà fenomenica dove tutto è relativo, questo film sembra cogliere l'assoluto. Quello che avviene non è un episodio specifico, una storia particolare, ma la storia del mondo, la tragedia della vita. Non è il ritratto realistico della Roma degli anni 50, non è la descrizione di questa particolarità, al contrario é Roma a fare da contesto alla più verosimile rappresentazione dell'universale. Ciò che si manifesta ai nostri occhi è Assoluto perchè valevole per ogni epoca, ogni luogo, ogni uomo o anzi ogni essere vivente. Non è un documentario sull'Italia di quel periodo, o perlomeno non è solo quello, ma un documentario sulla vita, sugli uomini, gli animali, le piante, la Francia, la Germania e la Cina, il passato, il presente e il futuro.
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In una realtà fenomenica dove tutto è relativo, questo film sembra cogliere l'assoluto. Quello che avviene non è un episodio specifico, una storia particolare, ma la storia del mondo, la tragedia della vita. Non è il ritratto realistico della Roma degli anni 50, non è la descrizione di questa particolarità, al contrario é Roma a fare da contesto alla più verosimile rappresentazione dell'universale. Ciò che si manifesta ai nostri occhi è Assoluto perchè valevole per ogni epoca, ogni luogo, ogni uomo o anzi ogni essere vivente. Non è un documentario sull'Italia di quel periodo, o perlomeno non è solo quello, ma un documentario sulla vita, sugli uomini, gli animali, le piante, la Francia, la Germania e la Cina, il passato, il presente e il futuro. E' un film che, con la sua ciclicità, raggiunge il significato solo se considerato nella sua completezza. Il finale indissolubilmente collegato all'inizio ci mostra la trasformazione della vittima in colpevole, e del colpevole in vittima. La parabola dell'onestà dell'uno e dell'immoralità dell'altro giunge al punto zero, non c'è più colpa, non c'è più peccato, soltanto fredda necessità, si consuma la morte del libero arbitrio: il lupo che mangia l'agnello, la tenia che infetta l'intestino, l'erbaccia che uccide la rosa, il dirigente che ottiene una promozione a discapito di qualcun altro, la squadra che vince la finale, l'operaio che viene assunto e il paese che fonda la propria economia sull'esportazione, queste cose dimostrano che siamo tutti ladri di biciclette, al di là del bene e del male.
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moviesaddicted
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martedì 30 aprile 2013
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la lezione di cinema di de sica al mondo
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Fossi il Ministro dell'Istruzione metterei nei piani di studio la visione di questo film. Qui c'è una storia perfetta, palpitante, una regia sublime attori brillanti e quella fotografia di un'Italia in ginocchio ma instancabile. Un padre, un figlio una bicicletta e De Sica realizza la sua personale Cappella Sistina. E'un meraviglioso esercizio di regia e nella sua bellezza ti costa guardarlo. Perchè il neorealismo è così, ti lascia una ferita. Io non so come il cinema Italiano sia passato da questo gioiello a quello a cui stiamo assistendo oggi, ma prima dei vari polpettoni americani o panettoni italiani, prendete questo film, sedetevi e guardatelo senza interruzioni. Avrete appena imparato il vocabolario del cinema.
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