Ladri di biciclette

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Un film di Vittorio De Sica. Con Lamberto Maggiorani, Lianella Carell, Elena Altieri, Enzo Staiola, Vittorio Antonucci.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, b/n durata 92 min. - Italia 1948. - Cineteca di Bologna uscita lunedì 4 febbraio 2019. MYMONETRO Ladri di biciclette * * * * 1/2 valutazione media: 4,89 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L'attacchino alla ricerca della dovuta salvezza. Valutazione 5 stelle su cinque

di Great Steven


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domenica 24 febbraio 2019

LADRI DI BICICLETTE (IT, 1948) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da LAMBERTO MAGGIORANI, ENZO STAIOLA
Nella Roma dell’immediato dopoguerra, al disoccupato Antonio Ricci, sposato con Maria da cui ha avuto il figlio Bruno, viene offerto un impiego di attacchino, per il quale è però necessario possedere una bicicletta, e lui non l’ha. Dunque la moglie impegna le lenzuola del loro letto e dal banco dei pegni ottiene il denaro occorrente affinché Antonio compri il velocipede. Purtroppo, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli viene rubata da un losco individuo di cui fa in tempo a scorgere il volto, ma il suo palo depista volontariamente lo sfortunato derubato e perciò Antonio, privato del mezzo, non può lavorare. Fa una denuncia contro ignoti nonostante il parere poco convinto del questore e si trascina dietro Bruno in una spasmodica ricerca per ritrovarla. Ma ogni cosa va per il verso sbagliato: sospettando che il ladro possa averla smontata per poi rivenderla a pezzi al mercato rionale, dapprima padre, figlio e brigadiere della polizia si recano là per fare un tentativo, ma è tutto un buco nell’acqua; dopodiché, a Porta Portese, vedono da lontano un vecchio mendicante che intrallazza con colui che ha sottratto ad Antonio la bicicletta, lo inseguono fin dentro una chiesa mentre è in corso un’Eucaristia e una distribuzione dei pasti e riescono a strappargli l’indirizzo del giovane malvivente; in seguito, Antonio e Bruno, mangiata una mozzarella in carrozza dentro un’osteria, provano a ricevere un responso da una medium cui si era rivolta anche la moglie di lui, la quale non fa altro che fornirgli una risposta che sa di malaugurio («O la trovi subito o non la trovi più»). Sempre più disperato, Antonio, recatosi col pargolo nella via in cui abita il ladro, lo riconosce e lo strattona, finché quello non ha un violento attacco epilettico. Circondato dai beceri famigliari del giovane, Antonio chiede aiuto ad un poliziotto e lo mette al corrente del fatto che ha denunciato il furto, ma il gendarme gli risponde che, in mancanza di testimoni, non s’ha nulla da fare. Infine il pover’uomo tenta maldestramente di rubare una bicicletta, ma in molti lo colgono in flagrante, lo fanno scendere, lo malmenano e sono pronti a portarlo alla centrale di polizia, senonché interviene Bruno in lacrime a evitare che quegli uomini lo separino dal padre. Esausti e definitivamente sconfitti, padre e figlio si incamminano verso casa. Considerato il capolavoro del neorealismo italiano, racconta la realtà sociale della Roma del 1948 tramutandola in autentica, superba e sublime poesia del quotidiano. La capitale non si accontenta di fare da mero sfondo alla vicenda, bensì ne diventa la protagonista assieme all’uomo e al frugoletto che si muovono al suo interno come viandanti man mano più scoraggiati e avviliti, ma che non han intenzione di arrendersi finché un obiettivo importante come quello di restituire il lavoro all’attacchino non sia stato conseguito. Un bianconero di notevole intensità, una fotografia tenuamente sobria, una colonna sonora che sottolinea al pari dei movimenti di una sinfonia i passaggi e il climax ascendente della drammaticità di codesta storia semplice che tuttavia narra, con gradevolissima precisione, una testa che si rialza a fatica dopo i bombardamenti bellici e recupera poco a poco la sua dignità parimenti al benessere di un tempo. La coppia De Sica-Zavattini, col primo alla regia (mai data una prova così egregia!) e il secondo alla sceneggiatura (un copione da incorniciare, non c’è che dire), consegna al pubblico un documento sociologico di una comunità dove i delinquenti riescono puntualmente a trionfare a discapito delle forze dell’ordine, le brave persone vengono calpestate, ridotte al silenzio e messe all’angolo a furia di botte massacranti sul piano emotivo e la verità, seppur incontestabile, rimane assopita sotto uno strato di impudica omertà giacché non sussistono i capi d’accusa per incriminare chi la tiene nascosta con spudorata vigliaccheria. Un perfetto e assai equilibrato rapporto adulto-bambino fra Maggiorani e Staiola (memorabili le battute talora filosofanti e talaltra auto-commiseranti del primo, ad esempio: «Ma chi c’o fa’ fa’ de star a tribolà!», «Mica la ritrovamo co’ li santi…»). Il ruolo di Maggiorani, in origine, era stato proposto a Gary Cooper. Tra i film più premiati di tutte le epoche, compreso un riconoscimento come miglior film straniero (l’Oscar della categoria in questione ancora non esisteva) agli Academy Awards 1949. Due camei da sottolineare: Alberto Sordi che dà la voce a un tinteggiatore di telai al mercato rionale e un 19enne Sergio Leone vestito da seminarista nell’andito della chiesa. Uno dei frammenti di storia del cinema più consistenti e fondamentali che ha toccato una vetta oramai irraggiungibile per i film di oggigiorno, tanto è realistico, commovente e lancinante. L’abilità di De Sica nello stendere i tratti di un’opera clamorosa per estetica e significato travalica i limiti della perizia registica per addentrarsi nei meandri del poeta professionista della settima arte, lanciato a rotta di collo su un tema per lui carissimo e, a quei tempi, ancora piuttosto caldo.

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