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Il regista neozelandese Ant Timpson e il suo sceneggiatore Toby Harvard hanno attinto a piene mani alla cinematografia di genere e non solo, per confezionare un film di difficile classificazione, forse collocabile a metà strada tra un thriller psicologico ed un horror atipico, proprio perché i riferimenti filmici sono i più svariati, dai dialoghi surreali e sempre in bilico tra comico e drammatico della classica black comedy alle scene di violenza alla Pulp fiction, alla stessa idea di fondo del soggetto, presa in prestito dal bellissimo The Visit di Shyamalan, e con un finale che addirittura si rifà, sorprendentemente, a quello di J'ai tué ma mère di Dolan.
L’originalità non è il punto forte del film, che rimane, tuttavia, interessante e godibile fino in fondo e nonostante la tensione tenda a calare più volte, soprattutto per la performance del cast ed in particolare del protagonista, Elijah Wood,perfettamente a suo agio nel ruolo dell’ingenuo figliolo, dallo sguardo sognante e indifeso del Frodo che interpretò nel Signore degli Anelli, che torna a casa dal padre, speranzoso di poter riallacciare un rapporto perduto fin dalla prima infanzia.
Suggestiva la location del film, quasi tutto girato in una casa palafitta affacciata a strapiombo sul mare, che di notte si illumina come un disco volante degli anni ’60, come commenta Norval alias Elijah Wood in una delle prime scene.
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