Lazzaro Felice

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Peace and love (ma a senso unico)

di francesca meneghetti


Feedback: 7166 | altri commenti e recensioni di francesca meneghetti
venerdì 1 giugno 2018

Chi va a vedere Lazzaro Felice, è attirato non solo dal riconoscimento di Cannes, ma anche dalla dichiarazione della regista-sceneggiatrice Alice Rohrwacher. E’ un film, dichiara la Rorhrwacher (Alice), che racconta “la santità dello stare al mondo e di non pensare al male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani”.
Di questi tempi, il messaggio appare come una boccata di ossigeno: aria fresca, pura, sana. Si vorrebbe, inconsciamente, il trionfo della bontà sullo schifo, con dimostrazione che essa produce felicità, per uscirne confortati, più fiduciosi nell’umanità. Naturalmente, se nel proprio cuore si coltiva questo sentimento.
Ma la narrazione sorprende. In un microcosmo contadino fuori dal tempo, in una sperduta località di calanche dell’Appennino centrale, vivono dei mezzadri, al servizio della marchesa De Luna, che faticano restando sempre debitori. Tra di loro c’è il giovane Lazzaro, bestia da soma della comunità. Presto si insinuano dei segnali dissonanti, degli anacronismi verrebbe da credere: un telefono Motorola con l’antenna, un ragazzo, Tancredi, (figlio della marchesa) seguace di David Bowie. Il solo a diventare amico, anche se di un’amicizia superficiale, del povero Lazzaro, privo di genitori.
A un certi punto, Lazzaro, febbricitante e alla ricerca di Tancredi, precipita in un dirupo. Lo salva (?) un lupo, figura ricorrente nel film, per presenza diretta o peri suoi ululati. Lazzaro dorme, non 700 anni come il pastore Aligi della dannunziana opera teatrale La figlia di Jorio, ma abbastanza, circa trent’anni. Così da ritrovare, abbandonato, il suo microcosmo: che, una volta scovato dagli elicotteri dei carabinieri, è stato a suo tempo ricondotto alla "civiltà". In realtà, i protagonisti di quell’arcaica comunità, dopo aver scoperto di essere stati ingannati, essendo la mezzadria scomparsa, resteranno emarginati.
Si comprende allora che il film mescola con estrema libertà realismo (e temi sociali) con la fantasia o il simbolismo, su tutti i livelli. In particolare, è il lupo la figura-simbolo ricorrente, sino alla fine. Se si concede questa licenza, che per altro si ritrova nel cinema italiano (Fellini, più che Olmi), il giudizio sul film è positivo,tanto più che i due piani narrativi sono assecondati da una fotografia ed un registro coerente. Se si pretende rigore narrativo in senso classico, la sceneggiatura può risultare bislacca, come ha ammesso la stessa regista..
Ma, per concludere la storia, seguendo dei ladri giunti a saccheggiare la villa della marchesa, il risorto Lazzaro ritrova i compagni di infanzia, persino l’amico-quasi-fratello Tancredi. Gli scenari, ora urbani e degradati, sono nettamente cambiati. I vecchi amici sono invecchiati, ma lui no. E,nonostante, gli sgarbi e le violenze, persiste nella sua missione di innocenza accompagnato da uno sguardo limpido, diretto, buono. Perdente purtroppo. Per queste ragioni, Lazzaro, interpretato da uno splendido, nel suo candore, Adriano Tardiolo, richiama alla mente la vittima buona e sacrificale per eccellenza: Gesù Cristo.
Non è necessario condividere credo religiosi improntati a dogmatismo per riconoscere qualità umane come la bontà e l’amore per il prossimo.
Peace and Love, ma, quest’ultimo, a senso unico.

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mariaf. lunedì 4 giugno 2018
evviva i buoni film!
100%
No
0%

UN magnifico commento, profondo, azzeccatissimo, hai colpito nel centro complimenti. Maria f.

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