Lazzaro Felice

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Un film da metabolizzare per apprezzarlo appieno. Valutazione 3 stelle su cinque

di DoctorCinema


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martedì 26 giugno 2018

 "Lazzaro felice" è la terza opera cinematografica di Alice Rohrwacher e racconta la storia di un gruppo di contadini costretti a vivere in delle catapecchie fatiscenti adiacenti ad una vecchia villa padronale e obbligati a lavorare la terra per conto di una dispotica contessa, vivendo una vita povera, priva di ogni diritto lavorativo e nella totale incosapevolezza del fatto di essere sfruttati. Nella comunità spicca la presenza del giovane Lazzaro, un ragazzo talmente semplice e buono da apparire quasi stupido e del quale gli altri contadini sono soliti approfittarsi, affidandogli i compiti più gravosi. Lazzaro vedrà cambiare la propria vita nel momento in cui instaurerà un'amicizia, tanto profonda quanto anomala, con Tancredi, il figlio della contessa. I due sembrano quasi completarsi a vicenda: la fervida immaginazione di Tancredi, il quale vuole ribellarsi al mondo nel quale la famiglia lo obbliga a vivere, si miscela con l'ingenuità infantile e disarmante di Lazzaro, che invece nulla sa del mondo circostante. La vita riserverà poi a Lazzaro delle sorprese, che sono tali anche per lo spettatore, e che lo porteranno a vivere un'esistenza diversa dagli altri a causa del suo essere speciale.
Il film della Rohrwacher è una sorta di favola moderna, dai risvolti metaforici, e che può essere divisa in due grandi tronconi che corrispondono orientivamente alle due metà del film.
La prima parte offre uno spaccato della vita contadina che è stata uno dei punti cardine dell'Italia nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale. Veniamo immersi nel mondo di questa povera gente che vive in un mondo che non esiste più, un mondo che per loro rappresenta un'abominevole normalità. E a farci da guida inconsapevole in questo contesto, troviamo un ragazzo dagli occhi limpidi come Lazzaro, che sembra (è?) un angelo sceso lì tra quella povera gente come se il suo compito sia quello di prendersi carico delle loro sofferenze.
La seconda parte, della quale non voglio svelare nulla perchè rappresenta quella più intrigante per l'evoluzione che la storia attraversa, è di tenore solo apparentemente diverso, ma in realtà nasconde tra le pieghe dei personaggi e delle vicende un mondo che non è cambiato alcun modo.
L'opera della Rohrwacher riesce ad essere allo stesso tempo delicata, con la figura di Lazzaro che non può che instillare un senso di dolcezza nello spettatore, ma anche potente e con un senso incombente di fatalismo che la pervade sino al durissimo finale.
Bisogna ovviamente accettare alcune incongruenze narrative, necessarie affinchè il racconto possa andare avanti e prendere la piega desiderata, ma come già detto all'inizio siamo davanti ad una favola. Una favola che spazia dai canoni bucolici a quelli post-moderni e vagamente distopici, con un fulcro centrale rappresentato da Lazzaro.
Da un punto di vista tecnico il film è più che godibile, girato bene dalla Rohrwacher anche grazie alla presenza di veri contadini (reclutati dalla regista tra coloro che avevano la possibilità di lasciare le proprie terre per tutto il tempo delle riprese) e di un protagonista, Adriano Tardiolo, che bagna il proprio esordio al cinema con una prova convincente nei panni di Lazzaro.
La sceneggiatura è più che interessante, non a caso premiata al recente Festival di Cannes; la fotografia partecipa alla creazione di un'atmosfera dai tratti prevalentemente malinconici, grigi.
Nel complesso, un film che rende necessaria un'opera di riflessione per poter essere analizzato e apprezzato (e anche per questo ho voluto prendermi del tempo prima di recensirlo, avendolo già visto diverse settimane fa). A mio parere, è un film che offre diverse chiavi di lettura, il che lo rende di un certo spessore e per nulla banale.
Si va ad incastonare tra le pellicole più interessanti della recente stagione cinematografica italiana.

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