La Casa di Jack |
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Un film di Lars von Trier.
Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan.
continua»
Titolo originale The House That Jack Built.
Thriller,
Ratings: Kids+13,
durata 155 min.
- Danimarca, Francia, Germania, Svezia 2018.
- Videa
uscita giovedì 28 febbraio 2019.
- VM 18 -
MYMONETRO
La Casa di Jack
valutazione media:
3,01
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La furia di un serial killer che somiglia al regista
di Emiliano Morreale La Repubblica
Presentato con l'abituale aura di provocazione, l'ultimo Von Trier uscirà addirittura in doppia versione nel nostro paese: una censurata doppiata, e una integrale con sottotitoli. Il brivido della violenza come ingrediente in più per i cinefili, come la lingua originale? In realtà, rispetto a molto horror contemporaneo (specie il filone torture porn) il regista danese non osa poi tanto. Il punto è che lo fa da "autore", dichiarandosi arte e parlando anzi d'arte. La storia del serial killer interpretato da Matt Dillon è infatti un autoritratto in veste di omicida, un'autogiustificazione del protagonista, ironicamente contraddetto da un misterioso interlocutore, che poi si rivelerà essere nientemeno che Virgilio. Una trama da thriller viene incistata di materiali vari e riflessioni, sempre con l'aria sorniona di chi gioca con lo spettatore, di chi gli strizza l'occhiolino facendolo sentire, insieme al regista, migliore dei personaggi. Tutta roba che il regista ha fatto altrove, e che ripete (ma i fan vi risponderanno con una di quelle frasi demenziali che si ascoltano all'uscita dalle anteprime stampa: "C'è tutto il suo cinema"). Certo, ci sono scene violente e sadiche: seni amputati che diventano portafogli, madri costrette a fare picnic davanti ai cadaveri dei propri figlioletti, crick in faccia, cataste di corpi semicongelati da uccidere con un colpo solo. Ma poiché è tutto un gioco, e l'umanità è bandita dalla prima inquadratura, non sconvolge più di quanto farebbero le violenze di un cartone animato. Il cinismo, la misoginia, la violenza sono ostentati ma il regista stesso sembra non crederci più, anzi si prende in giro (è questo l'aspetto più simpatico del film, a una seconda visione). Per questo forse alza il tiro e tira fuori numeri sicuri dal repertorio: il nazismo, la Shoah, la Divina Commedia in versione ironicamente superkitsch, tra Bill Viola e il videogame. Va detto che del vero artista Von Trier ha la profondità delle ossessioni. Ma a stemperarla c'è sempre un certo talento da pubblicitario, da lanciatore di trovate: prima il manifesto "Dogma", una specie di grande burla che in molti presero sul serio, poi il musical, poi il film senza scenografie, eccetera. Somiglia un po' a certi autori che colpiscono i contemporanei e invecchiano presto, tipo Maeterlinck o Thornton Wilder - o, direbbero i maligni, Oliviero Toscani. Il fatto è che la sua idea di arte è squinzia, tardoromantica, da liceale, e cita scolasticamente William Blake e Glenn Gould, purtroppo ormai icone midcult. Insomma, la crudeltà come l'hanno intesa i grandi (Artaud o Bene, Polanski o Bunuel) è una forma di rigore e di coraggio, una messa in discussione di sé e del pubblico. Von Trier è innocuo per sé e per gli altri, ed è il peggio che a uno come lui potesse accadere.
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