riffraff
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sabato 6 maggio 2017
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un "io daniel blake" italiano, al femminile
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L'"io Daniel Blake" italiano, al femminile. E potrebbe essere spagnolo, portoghese, greco, persino francese, perché è in questo perimetro ossessivo di orari di lavoro assurdi e odissee di ore su mezzi pubblici malconci, che si muove, senza evasione, la nuova povertà internazionale contemporanea.
Grande assente, la vita.
Eli vede i figli solo addormentati, non ha la forza di amare il marito, per parlare con un'amica deve condividere con lei il tragitto in corriera, però ha un lavoro e se lo deve tenere, perché il marito, invece non ce l'ha. La vita è sospesa a tempo indeterminato, anche se il contratto, a tempo indeterminato, non lo sarà mai.
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L'"io Daniel Blake" italiano, al femminile. E potrebbe essere spagnolo, portoghese, greco, persino francese, perché è in questo perimetro ossessivo di orari di lavoro assurdi e odissee di ore su mezzi pubblici malconci, che si muove, senza evasione, la nuova povertà internazionale contemporanea.
Grande assente, la vita.
Eli vede i figli solo addormentati, non ha la forza di amare il marito, per parlare con un'amica deve condividere con lei il tragitto in corriera, però ha un lavoro e se lo deve tenere, perché il marito, invece non ce l'ha. La vita è sospesa a tempo indeterminato, anche se il contratto, a tempo indeterminato, non lo sarà mai.
Eli lavora nel mio quartiere e a un certo punto dice a un cliente "voi borghesucci in questo quartiere danaroso non lasciate neanche le mance" e si', mi sa che è vero, una volta era un quartiere popolare ma in confronto a Ostia e Nettuno e' Bel Air.
Così il film fa sfilare i luoghi del neorealismo che da sempre mi circondano, Don Bosco, piazza dei Consoli, piazza dei tribuni, non più di popolo ma di padroni, commercianti spietati e accumulatori, che pagano in nero e offrono impieghi sette giorni su sette a ottocento euro.
La bella fotografia li trasfigura, la metropolitana e' un'angoscia psichedelica di luci, velocità e graffiti sfocati, il dramma si consuma nella due fermate da cui raggiungo casa mia. Stomaco stretto e voglia di una sigaretta per tutto il secondo tempo, un pugno nello stomaco.
E l'insolita bellezza di un contrappunto fatto da coreografie di danza contemporanea, con un'attrice/danzatrice incredibilmente somigliante a PINA Bausch, un corpo filiforme e drammatico, che taglia lo spazio con dolore , metatragedia nella tragedia, culminante
nei vestiti rosso sangue che danzano il preludio per clavicembalo di Bach.
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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sole cuore amore nel buio della metro
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Isabella Ragonese – l’attrice che interpreta questa anonima vicenda della periferia urbana e umana contemporanea – da donna riesce a dare una grande, sensibilissima forza drammatica a un’altra donna che come tante è oggi negata alla radice nella sua esistenza, voce, sogni, speranze, possibilità di vita. L’autore e regista uomo di Sole Cuore Amore, Daniele Vicari, lascia che la Ragonese si prenda tutto lo spazio e il respiro necessari per “scrivere” – con la sua recitazione – le immagini che restituiscono il senso più autentico dell’opera.
Eli è una soltanto tra i milioni di donne dall’esistenza ignorate, cancellate, che muovono l’immane, diffuso motore delle immense aree urbane, ma sono da esso quotidianamente divorate.
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Isabella Ragonese – l’attrice che interpreta questa anonima vicenda della periferia urbana e umana contemporanea – da donna riesce a dare una grande, sensibilissima forza drammatica a un’altra donna che come tante è oggi negata alla radice nella sua esistenza, voce, sogni, speranze, possibilità di vita. L’autore e regista uomo di Sole Cuore Amore, Daniele Vicari, lascia che la Ragonese si prenda tutto lo spazio e il respiro necessari per “scrivere” – con la sua recitazione – le immagini che restituiscono il senso più autentico dell’opera.
Eli è una soltanto tra i milioni di donne dall’esistenza ignorate, cancellate, che muovono l’immane, diffuso motore delle immense aree urbane, ma sono da esso quotidianamente divorate. Eli si alza tutto il giorno con il buio e torna a casa con il buio. Parte da Nettuno per essere alle sette di mattina in un bar sulla Tuscolana a Roma, nel quale lavora dietro il banco, adorata dagli avventori ma sottopagata e privata di ogni garanzia dal suo proprietario.
È davvero un esercito di giovani – soprattutto donne – quello che sbarca ogni giorno nella capitale e si sparpaglia nella miriade di meandri lavorativi, nudi di diritti e redditi dignitosi. Un delta di sfruttamento fluviale, nel quale la stessa parola “democrazia” l’è morta e sepolta nel fango e nei vermi da un pezzo. Accanto alla vicenda di Eli scorre quella di Vale, la sua amica del cuore fin dall’infanzia. Vale è una ballerina, performer, artista di spettacoli di danza contemporanea, che per sopravvivere è costretta a esibirsi fino all’alba nelle discoteche e nei luoghi del divertimento notturno. Anche Vale, sottopagata, derubata, lavora insieme a un’altra ragazza, la quale si assoggetta a vivere sotto le stesse lenzuola del gentiluomo che procura loro lavoro nei locali, in mancanza di un suo tetto sotto cui ritirarsi la notte. Quando Vale rientra prima dell’alba a casa, Eli sta uscendo per prendere l’autobus. S’incontrano lungo le scale della stessa palazzina in cui vivono.
La fase speculativo-finanziaria del capitalismo ha trasformato giovani persone con diplomi, lauree, livelli d’istruzione diffusi in un esercito di cameriere, inservienti, bariste, cubiste, shampiste, addette alle pulizie dei cessi, private di ogni parvenza di dignità umana. Tutto questo nella più assoluta, quotidiana “banalità del male”. Lo dimostra il proprietario del bar in cui lavora Eli. In fondo una persona non umanamente spregevole in sé: eppure tranquillamente spietata quando si tratta di cedere un solo respiro di umanità.
Qualcuno, però, ha obiettato che Vicari ha voluto caricare troppo sui toni del neorealismo, soprattutto nella situazione familiare di Eli, con un marito disoccupato e quattro figli da mantenere. Strana osservazione quest’ultima, soprattutto se poi a farla è chi è sempre pronto a scagliarsi contro la crescente presenza degli immigrati nella nostra realtà, come se questa fosse indipendente dal continuo calante andamento demografico del nostro Paese. Non è certo su questo che fa solido perno il film di Vicari, perché anziché i figli potrebbe essere un genitore, un altro congiunto malato. Il dramma vero è che tale apice del capitalismo si è impossessato completamente della vita umana, fin nelle sue sfere psicofisiche, biologiche più profonde. È un bio-potere. Così, il titolo del film non può che suonare tragico contrappunto canzonettistico a ciò di cui la nostra biologia vitale avrebbe bisogno per non essere spezzata alla radice.
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vanessa zarastro
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domenica 7 maggio 2017
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la ripetitività di una vita faticosa
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Suole, cuore, amore è il refrain di una canzone degli anni ’80. La ripetitività di una vita faticosa. Eli (la bravissima Isabella Ragonese) da Torvaianica, tutte le mattine impiega due ore per raggiungere il luogo di lavoro. Prende il pullman dell’Acotral, poi la Metro fino ad arrivare alla fermata della Lucio Sestio sulla Tuscolana per andare a lavorare in un bar-caffè del Quadraro.
Ha un marito muratore disoccupato che si chiama Mario (Francesco Montanari) e ben quattro figli. La sera non torna mai a casa prima delle 10 di sera ed è impegnata 7 giorni su 7 per 800 euro al mese, in nero. È orfana ed ha un’unica amica Vale (Eva Grieco) che le guarda ogni tanto i figli, aiutando la più grande a fare i compiti (specialmente quelli di matematica).
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Suole, cuore, amore è il refrain di una canzone degli anni ’80. La ripetitività di una vita faticosa. Eli (la bravissima Isabella Ragonese) da Torvaianica, tutte le mattine impiega due ore per raggiungere il luogo di lavoro. Prende il pullman dell’Acotral, poi la Metro fino ad arrivare alla fermata della Lucio Sestio sulla Tuscolana per andare a lavorare in un bar-caffè del Quadraro.
Ha un marito muratore disoccupato che si chiama Mario (Francesco Montanari) e ben quattro figli. La sera non torna mai a casa prima delle 10 di sera ed è impegnata 7 giorni su 7 per 800 euro al mese, in nero. È orfana ed ha un’unica amica Vale (Eva Grieco) che le guarda ogni tanto i figli, aiutando la più grande a fare i compiti (specialmente quelli di matematica). L’amica è una ballerina-performer che, in coppia con una partner (Giulia Anchisi), danza prevalentemente la notte in alcuni luoghi improbabili creando immagini suggestive con la complicità delle luci artificiali.
È proprio nel paragone tra queste due vite di donne così diverse che possiamo trovare il fascino del film. Una non si ribella, continua a privilegiare il suo senso della famiglia, il suo amore per i figli e per il marito che cerca di proteggerla, ma è pieno di sensi di colpa. Lei si trascura anche la salute per riuscire a portare a casa i soldi con cui riescono a sopravvivere tutti. Vale, al contrario, viene da una famiglia benestante che ha abbandonato per ricercare una sua strada, una sua identità, anche sessuale, che non ha ancora individuato chiaramente.
Il film è stato presentato in anteprima lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma, ma è uscito solo in questi giorni nelle sale.
Daniele Vicari così dice in un’intervista «Il paesaggio che ho descritto è quello che io definisco “interzona”, non la periferia sfigata governata da spacciatori e tossici e neppure il centro borghese: piuttosto è quella situazione ambientale media, “normale” in cui vive la maggioranza delle persone. Il vero problema è che questo luogo è diventato sintomatico di un mondo che abbiamo reso inadatto agli esseri umani. E questo è un paradosso».
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vincenzoambriola
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domenica 14 maggio 2017
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due vite a incastro
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Due grandi amiche, quasi due sorelle. Una ha quattro figli, un marito, un lavoro, ma deve correre tutto il giorno per sopravvivere. L'altra ha smesso di studiare all'università, è single, non ha un lavoro e la notte si esibisce come performer, la sua famiglia borghese la aiuta nei momenti difficili. Le loro vite sono allacciate, perché mentre lei lavora, l'altra le guarda i figli, li aiuta a studiare, li porta al parco. Due vite a incastro. Poi la tragedia. Un film a moltissimi strati, da analizzare con calma per capire dove sta andando la nostra società. Non quella dei talk show, dei SUV, delle vacanze alle Canarie ma quella del nuovo proletariato, di chi non trova lavoro.
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Due grandi amiche, quasi due sorelle. Una ha quattro figli, un marito, un lavoro, ma deve correre tutto il giorno per sopravvivere. L'altra ha smesso di studiare all'università, è single, non ha un lavoro e la notte si esibisce come performer, la sua famiglia borghese la aiuta nei momenti difficili. Le loro vite sono allacciate, perché mentre lei lavora, l'altra le guarda i figli, li aiuta a studiare, li porta al parco. Due vite a incastro. Poi la tragedia. Un film a moltissimi strati, da analizzare con calma per capire dove sta andando la nostra società. Non quella dei talk show, dei SUV, delle vacanze alle Canarie ma quella del nuovo proletariato, di chi non trova lavoro. Un film che indaga nel profondo dei rapporti di coppia, di amori che reggono nonostante le difficoltà economiche, nonostante le botte, e di altri che non decollano per un vuoto interiore, una sofferenza mai capita e mai risolta. E poi la musica, forte, intensa, che ipnotizza come il ritmo ininterrotto dei pullman che vanno e vengono dalla periferia, delle metropolitane che non si fermano mai, come la vita di tutti coloro che, moderni Charlot, sono legati agli ingranaggi di una nuova schiavitù.
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mauriziomeres
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giovedì 11 maggio 2017
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eli è il suo cappottino rosso
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Sole perché lei è bella e solare,cuore perché vuole bene a tutti e aiuta tutti,amore perché ama la sua famiglia,e ama la vita,film triste ma tremendamente vero,questa è la storia di una donna,semplice,umile non si stacca mai dal suo cappottino rosso anni settanta,molto rimarcato dal regista,e con tutto il peso sulle spalle della sua famiglia ,si entra nei più intimi pensieri,attraverso una quotidianità massacrante e di non rispetto alla persona,un lavoro umile mal pagato con umiliazioni da parte del datore di lavoro,personaggio ambiguo e inutile alla vita sociale,recepite quotidianamente ma sopportate con grandissima dignità.
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Sole perché lei è bella e solare,cuore perché vuole bene a tutti e aiuta tutti,amore perché ama la sua famiglia,e ama la vita,film triste ma tremendamente vero,questa è la storia di una donna,semplice,umile non si stacca mai dal suo cappottino rosso anni settanta,molto rimarcato dal regista,e con tutto il peso sulle spalle della sua famiglia ,si entra nei più intimi pensieri,attraverso una quotidianità massacrante e di non rispetto alla persona,un lavoro umile mal pagato con umiliazioni da parte del datore di lavoro,personaggio ambiguo e inutile alla vita sociale,recepite quotidianamente ma sopportate con grandissima dignità.
Nel film storie che girano intorno al personaggio di Eli danno un senso di abbandono sociale e di emarginazione verso chi pur lavorando non trova la giusta dimensione colpa di tutto e di tutti quelli che attraverso queste storie di vita vere e ce ne sono tantissime riescono soltanto ad arricchirsi.
Bellissima interpretazione della bella Ragonese,entra nel personaggio facendolo suo,espressività inconfondibile in quanto già esperta in ruoli simili di autentico neorealismo.
Bravissimo il regista Daniele Vicari racconta il presente in una crisi sociale che non lascia scampo ai più deboli,sfiora il patetico ma lasciando ai personaggi la loro dignità.
Un finale dove il dramma annunciato nello scorrere del film,diventa tremendamente incompressibile e ingiustificabile nell'era in cui viviamo,un messaggio che il regista con abilità cinematografica denuncia nella più assoluta libertà.
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[+] due donne
(di vanessa zarastro)
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no_data
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giovedì 19 ottobre 2017
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un personaggio dei nostri tempi
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E’ uno di quei film italiani coraggiosi (un altro “Cuori puri”), che ogni tanto accade di vedere, che non vuole gratificarti, ma farti “partecipare” ad una mutazione sociologica che attraversa l’Italia: da un (relativo) benessere milioni di italiani sono o stanno progressivamente piombando in una crescente povertà. Come ormai sappiamo tutti, senza che chi ci ha governato ne abbia preso le adeguate misure.
Daniele Vicari rappresenta questa situazione d’impoverimento con un taglio cinematografico documentaristico e insieme narrativo sottile e dialettico, fino a farti sentire la poesia attraverso due storie parallele di donne, Eli e Vale, che hanno in comune, oltre l’amicizia, la volontà di non soccombere contro un orizzonte tanto difficile da diventare, per una di esse, inesorabilmente chiuso.
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E’ uno di quei film italiani coraggiosi (un altro “Cuori puri”), che ogni tanto accade di vedere, che non vuole gratificarti, ma farti “partecipare” ad una mutazione sociologica che attraversa l’Italia: da un (relativo) benessere milioni di italiani sono o stanno progressivamente piombando in una crescente povertà. Come ormai sappiamo tutti, senza che chi ci ha governato ne abbia preso le adeguate misure.
Daniele Vicari rappresenta questa situazione d’impoverimento con un taglio cinematografico documentaristico e insieme narrativo sottile e dialettico, fino a farti sentire la poesia attraverso due storie parallele di donne, Eli e Vale, che hanno in comune, oltre l’amicizia, la volontà di non soccombere contro un orizzonte tanto difficile da diventare, per una di esse, inesorabilmente chiuso.
La sottigliezza dialettica, ed anche forse l’originalità del film è, soprattutto, nel personaggio principale del film, Eli, e nel modo con cui Isabella Ragonese lo ha fatto vivere.
Eli, infatti, ogni mattina e sera deve attraversare Roma, due ore a bordo di pullman, metropolitane e autobus, per raggiungere il lavoro come barista malpagata e al nero, con in più avendo sulle spalle quattro figli e un marito, che cerca disperatamente lavoro, senza riuscirci.
Di fronte a questo gravame esistenziale ( se ne aggiungono, nel corso della storia, altri) la grandezza di Daniele Vicari, regista e sceneggiatore, con la bravura interpretativa dell’attrice, consiste nell’avere creato un personaggio, che si contrappone a questa condizione. Eli, infatti, è, pur in assenza di un progetto politico, percettiva e vitale, creativa e sensuale, ironica e, quando occorre, anche determinata, infine irriducibile fino alla irrazionalità. In particolar modo interpreta il suo lavoro di barista con efficienza professionale e anche con una sorta di teatralità affettuosa e divertita.
Il finale, difficile a farsi, diventa un montaggio alternato sulle due protagoniste, diversamente rappresentate nella forma, ugualmente simili nella sostanza. Eli, seduta su una panchina immobile, con i metro che arrivano e partono, è vista con uno sguardo filtrato e gelido come corpo anonimo nell’anonimato asettico e artificiale della metropolitana. Vale è colta, ferita nei sentimenti, con il vestito rosso sangue, nel vortice febbrile di una performance danzante nelle luci intermittenti e convulse di una discoteca.
Due vite senza scampo, metafore di un’italietta spietatamente chiusa, nella quale Daniele Vicari non vede, né intravede alcuna luce dentro il tunnel.
Convincente la prova di tutti gli attori. La fotografia di Gherardo Gossi è molto curata e la colonna sonora originale di Stefano De Battista nel suo timbro jazzistico fa felicemente da contrappunto alla solitudine della protagonista.
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angeloumana
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lunedì 15 maggio 2017
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la precarietà
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Un film sul lavoro e anche in questo campo Daniele Vicari, il regista, non fa sconti quanto a crudezza (come in Diaz). Teso fin dall’inizio, tiene in ansia più di un thriller su come andrà alle protagoniste, una vita a sbarcare il lunario sempre sul filo del rasoio della precarietà. Due amiche e vicine di casa distillano il loro sudore ognuna nel proprio posto di lavoro: l’una alzandosi alle 4:30 di mattina per raggiungere il bar dove lavora, 7 giorni su 7, all’altro capo di Roma, autobus (che qualche volta o spesso si rompono), metropolitana e il titolare del bar che si lamenta per i ritardi, per tornare a casa alle 22, per 800€ al mese in nero; l’altra esercitandosi faticosamente per il suo balletto in un locale notturno.
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Un film sul lavoro e anche in questo campo Daniele Vicari, il regista, non fa sconti quanto a crudezza (come in Diaz). Teso fin dall’inizio, tiene in ansia più di un thriller su come andrà alle protagoniste, una vita a sbarcare il lunario sempre sul filo del rasoio della precarietà. Due amiche e vicine di casa distillano il loro sudore ognuna nel proprio posto di lavoro: l’una alzandosi alle 4:30 di mattina per raggiungere il bar dove lavora, 7 giorni su 7, all’altro capo di Roma, autobus (che qualche volta o spesso si rompono), metropolitana e il titolare del bar che si lamenta per i ritardi, per tornare a casa alle 22, per 800€ al mese in nero; l’altra esercitandosi faticosamente per il suo balletto in un locale notturno. La prima, Isabella Ragonese, è madre di 4 bambini e anche moglie … di un disoccupato, e questo pure è un aspetto del lavoro; l’altra, Eva Grieco, è single, un tipo più “alternativo” anche nell’abbigliamento, innamorata di una ragazza più giovane.
Entrambe portano avanti la loro croce con sacrificio ma svolgono coscienziosamente le loro “performance”, con le angherie o pretese dei “datori di lavoro”, del primo Isabella dirà che non è cattivo, è un derelitto, una miseria umana. In effetti tra datori e prestatori d’opera sembra in questo caso una guerra tra poveri, i primi sono un po’ più “ricchi” e contano miserabilmente le loro banconote. La bambina più grande della protagonista, 10 anni, alle sue prime mestruazioni chiederà alla madre Che succede quando si diventa donne? e a considerare la vita di sua madre – lontana dall’idillio del titolo Sole Cuore Amore - ha già la sconsolante risposta.
E’ un film sul lavoro visto “a livello strada”, realistico talmente da far pensare a Non essere cattivo di Claudio Caligari o a film che rappresentano realtà nude di microcosmi quasi ai margini della società. Nulla a che fare, per esempio, con un altro film recente sul lavoro, 7 Minuti, nulla dei tanti discorsi fumosi sui diritti dei lavoratori o sui “princìpi” a cui i sindacati si richiamano. Sulla locandina del film è riportato, tra i commenti apparsi su vari quotidiani, quello che recita “Un film necessario, urgente … su un’eroina del quotidiano”. Ma i sindacati in questo film sono insieme alla politica i grandi assenti, un’assenza assordante.
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flyanto
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martedì 9 maggio 2017
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l'odissea quotidiana di una giovane donna
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Che Daniele Vicari sia un regista "crudo" che, cioè, nelle sue opere cinematografiche affronti sempre temi "scottanti" e parecchio scomodi (vedi, per esempio, i suoi precedenti, per citarne solo due, "Velocità Massima" o "Diaz-Non Pulire Questo Sangue") lo si sa già ed anche questa volta con "Sole Cuore Amore" segue la propria tendenza a denunciare alcuni aspetti deplorevoli del nostro Paese e, più precisamente, quello della difficoltà a trovare un lavoro e del lavoro "in nero".
La protagonista del film è una giovane donna, sposata e madre di quattro bambini (uno ancora in fasce) la quale, poichè il marito ha difficoltà a trovare un'occupazione pur cercandola, è costretta a lavorare tutta l'intera settimana come barista non in regola presso un bar.
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Che Daniele Vicari sia un regista "crudo" che, cioè, nelle sue opere cinematografiche affronti sempre temi "scottanti" e parecchio scomodi (vedi, per esempio, i suoi precedenti, per citarne solo due, "Velocità Massima" o "Diaz-Non Pulire Questo Sangue") lo si sa già ed anche questa volta con "Sole Cuore Amore" segue la propria tendenza a denunciare alcuni aspetti deplorevoli del nostro Paese e, più precisamente, quello della difficoltà a trovare un lavoro e del lavoro "in nero".
La protagonista del film è una giovane donna, sposata e madre di quattro bambini (uno ancora in fasce) la quale, poichè il marito ha difficoltà a trovare un'occupazione pur cercandola, è costretta a lavorare tutta l'intera settimana come barista non in regola presso un bar. Abitando ad Ostia e lavorando a Roma, ella è costretta ogni mattina a svegliarsi all'alba, a lasciare i propri figli in custodia al padre, a prendere un'infinità di mezzi pubblici (pullman e metropolitana) per un tragitto di circa due ore, a lavorare sino alla sera e ritornare a casa praticamente alla notte con un altro viaggio di due ore. Ciò nonostante la donna ha un buon carattere e cerca di affrontare la propria dura esistenza con ottimismo e buon umore sostenuta anche dagli affetti che la circondano dei figli, del marito e di un'amica d'infanzia che balla saltuariamente nei locali notturni e che fa spesso da baby sitter a suoi bambini. Ma il finale tragico è dietro l'angolo....
Daniele Vicari, ripeto, in "Sole Cuore Amore" affronta il quanto mai deplorevole e purtroppo contemporaneo problema dell'occupazione nel nostro Paese, la difficoltà a trovarne una e, come in questo caso, a trovarla al limite non in regola e venendo notevolmente sfruttati, o saltuaria. La denuncia del regista è quanto mai esplicita e la sua visione quanto mai realistica sebbene con una visione parecchio pessimistica che sottolinea con il voluto ed estremo finale tragico al fine di rendere al meglio il concetto. Insomma, egli sembra voler dire che non bastano il "Sole, Cuore e Amore" che tempo fa si cantavano allegramente in una canzone ad affrontare la vita di tutti i giorni dove la lotta è durissima ed impari rispetto alle nostre misere forze. Lo spettatore non può rimanere insensibile a quanto rappresentato seppure anch'egli non possa fare altro che constatare, riflettere e deplorare tutto un sistema che è difficile rimuovere o, meglio, più facile non modificarlo.
Isabella Ragonese, che interpreta la protagonista del film, si rivela quanto mai l'ottima attrice che già ha manifestato di essere in altre sue pellicole precedenti, affiancata da un'emergente e brava Eva Griec,o nella parte della cara e fedele amica, anch'ella piuttosto perdente in una società indifferente,
Da non perdere ma ovviamente non allegro
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martinside
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giovedì 31 agosto 2017
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fa vivere la fatica di vivere,
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Trasmettere la sensazione fisica che la protagonista vive, mettere lo spettatore nelle condizioni di provare lui stesso il logoramento che il corpo di questa donna lavoratrice semplice onesta e grintosa giorno dopo giorno subisce lavorando e facendo la mamma. Il corpo, lo subisce, e anche l'animo perché é dentro che avviene il processo più silenziosamente distruttivo. Vita di tutti, vita di molti che si possono incrociare in strada, magari é quella davanti a noi in coda al supermercato o addirittura la nostra collega d'ufficio o la nostra barista, appunto, che sa pure scherzare ogni mattina porgendoci il caffè e una di quelle crostatine "che vanno a ruba".
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Trasmettere la sensazione fisica che la protagonista vive, mettere lo spettatore nelle condizioni di provare lui stesso il logoramento che il corpo di questa donna lavoratrice semplice onesta e grintosa giorno dopo giorno subisce lavorando e facendo la mamma. Il corpo, lo subisce, e anche l'animo perché é dentro che avviene il processo più silenziosamente distruttivo. Vita di tutti, vita di molti che si possono incrociare in strada, magari é quella davanti a noi in coda al supermercato o addirittura la nostra collega d'ufficio o la nostra barista, appunto, che sa pure scherzare ogni mattina porgendoci il caffè e una di quelle crostatine "che vanno a ruba". Vicari mette in scena proprio queste vite, non calca la mano per drammatizzarle, sono già dolorose solo ritratte nella loro interezza perché forse noi ne vediamo spesso solo una parte che non rende l'idea dell'insostenibile leggerezza del vivere cosí 24 ore su 24.
Ciò che aumenta il dolore e l'angoscia di chi guarda, mentre le scene sono scandite dal battito del cuore affaticato, è che non si può rimproverare nulla a questi protagonisti. Sono persone che cercano di cavarsela, onestamente, con grandi sforzi, nemmeno rinunciando a gesti di solidarietà e generosità. Inspiegabilmente reale, dolorosamente vicina
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camarillo75
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martedì 9 maggio 2017
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metropolis
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Finalmente un'indagine poetica sulla crisi che viviamo; crisi di lavoro e crisi da lavoro, che non rende liberi e stritola, che tiene svegli la notte e fa addormentare di giorno, che fa appassire e distrugge. Vicari svolge il suo discorso evitando le strade più semplici e la sociologia un tanto al chilo, e così riesce a farci sentire questi personaggi vicini; e vicina la lotta bellissima, tra buio e luce, che si consuma sul volto della protagonista. Le linee che tagliano le inquadrature (autobus e metro, movimenti di danza e volteggiare di cameriere dietro il bancone di un bar) sembrano alludere ad un tempo diviso, scisso, non più ricomposto dai collanti che l'uomo aveva inventato per non finire travolto dal tempo: così, il tempo di lavoro non é più distinguibile dal resto della vita, e tende a comprimere ogni spazio libero, in uno spettacolo da Tempi moderni chapliniano.
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Finalmente un'indagine poetica sulla crisi che viviamo; crisi di lavoro e crisi da lavoro, che non rende liberi e stritola, che tiene svegli la notte e fa addormentare di giorno, che fa appassire e distrugge. Vicari svolge il suo discorso evitando le strade più semplici e la sociologia un tanto al chilo, e così riesce a farci sentire questi personaggi vicini; e vicina la lotta bellissima, tra buio e luce, che si consuma sul volto della protagonista. Le linee che tagliano le inquadrature (autobus e metro, movimenti di danza e volteggiare di cameriere dietro il bancone di un bar) sembrano alludere ad un tempo diviso, scisso, non più ricomposto dai collanti che l'uomo aveva inventato per non finire travolto dal tempo: così, il tempo di lavoro non é più distinguibile dal resto della vita, e tende a comprimere ogni spazio libero, in uno spettacolo da Tempi moderni chapliniano. Film bellissimo e struggente.
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