vanessa zarastro
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sabato 26 settembre 2015
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tutta colpa della neve
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Negli ultimi anni Wenders si era avventurato in generi diversi (Pina Bauch in 3D del 2011 e Il sale della terra del 2014) quasi più documentari ma in quest film sembrerebbe aver optato per una storia non-storia, scritta dal norvegese Bjørn Olaf Johannessen che abbraccia dodici anni di vita dello scrittore Tomas (James Franco), del suo successo letterario ma anche delle sue difficili relazioni umane.
Nel film sono rappresentate varie donne con figli del cui padre non si sa nulla, non si sa se le madri siano divorziate o vedove né se i padri siano consapevoli di avere dei figli…e nessuno se lo chiede.
Tomas ha un rapporto di convivenza prima con Sara (Rachel Mc Adams), che avrebbe voluto da lui dei figli poi con Ann (Marie-Josée Croze) già madre di una bimba, che lo accusa di scarsa emotività.
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Negli ultimi anni Wenders si era avventurato in generi diversi (Pina Bauch in 3D del 2011 e Il sale della terra del 2014) quasi più documentari ma in quest film sembrerebbe aver optato per una storia non-storia, scritta dal norvegese Bjørn Olaf Johannessen che abbraccia dodici anni di vita dello scrittore Tomas (James Franco), del suo successo letterario ma anche delle sue difficili relazioni umane.
Nel film sono rappresentate varie donne con figli del cui padre non si sa nulla, non si sa se le madri siano divorziate o vedove né se i padri siano consapevoli di avere dei figli…e nessuno se lo chiede.
Tomas ha un rapporto di convivenza prima con Sara (Rachel Mc Adams), che avrebbe voluto da lui dei figli poi con Ann (Marie-Josée Croze) già madre di una bimba, che lo accusa di scarsa emotività. Tomas ha un carattere chiuso enigmatico, lo si vede anche nella relazione con il padre che ogni tanto va a trovare più per senso di dovere che per vero affetto. Ma il bisogno di paternità è comunque molto presente sia nello scrittore, il quale sembrerebbe voler dedicare la vita solo alla scrittura e si inventa che non può avere figli a qualcuna che glielo chiede, sia nei bambini poi giovani adolescenti che chiedono a lui di svolgere un ruolo di padre.
Le partiture minimaliste del musicista Alexandre Desplat - autore tra l’altro delle musiche di The Grand Budapest Hotel con cui ha vinto l’Oscar nel 2014 - ci accompagnano in questa avventura emotiva che è la visione di Ritorno alla vita.
La storia ha inizio con Tomas in una fase di crisi di scrittura che cerca di superare isolandosi in una cabin immersa nelle sterminate nevi dell’Ontario canadese alla ricerca di un maggiore contatto con la natura. La crisi creativa sarà superata solo dopo un forte impatto emotivo: in un incidente d’auto Tomas uccide involontariamente uno dei due fratellini in slitta. Seguiranno mesi autodistruttivi pieni di sensi di colpa da cui però, dopo un tentato suicidio ne uscirà ritemprato e, avendo provato così forti emozioni, riuscirà a scrivere mescolando realtà, fantasia e memorie – come spiega lui stesso a Cristopher sedicenne. Il rapporto dello scrittore con la madre dei bambini Kate – un’intensa Gainsborogh che interpreta un’illustratrice che vive isolata sul lago di Ontario – ha quasi un sapore mistico. Dopo due anni dalla disgrazia, la donna sembra essere riuscita a superare la perdita del figlio grazie alla religione che cerca di trasmettere a Tomas il quale, all’epoca, non si dava ancora pace. Insieme bruciano un libro di Falkner colpevole di aver distratto con i suoi romanzi Kate dai suoi doveri materni.
Il finale della storia mi ha ricordato – in una scala completamente diversa - l’obiettivo che da vari anni si prefigge l’Associazione One by One per superare gli orrori dei campi di concentramento nazisti: fa incontrare la vittima, o il suo discendente, con il carnefice o il suo discendente. La condivisione tra i rancori e i sensi di colpa spesso ha un effetto catartico.
Pur non avendo visto il film in 3D la sensazione di essere totalmente immersi nella natura è molto forte, e la splendida fotografia ci trasmette la bellezza ma anche l’angoscia dell’abitare in un così vasto territorio naturale.
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[+] l’ultima interessante fatica in 3d di wim wenders.
(di antonio montefalcone)
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zoom e controzoom
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lunedì 28 settembre 2015
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una bolla d'inespressività
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Se non si conoscesse la firma della regia di questo film, difficilmente si troverebbero motivazioni per considerarlo più che "corretto tecnicamente". E' un film esasperante nella sua pesantezza che spinge in avanti con faticosa leggerezza una tematica molto impegnativa, e la risolve creando per i personaggi, un universo parallelo dentro al quale si muovono nell'inesorabile scorrere degli anni. Tutto è di una lentezza che forse vorrebbe andare controcorrente - visto il tema che potrebbe volere manifestazioni forti - ma non ottiene per nulla la gelida sensazione di una chiusura al mondo - per chi subisce un tale dolore è una scelta possibile come possibili sono altre che nello scorrere del tempo subiscono variazioni ed espressioni varie - un'esclusione dalla vita in un personale individualissimo ambito impenetrabile, no: l'accaduto porta i personaggi coinvolti, nel preciso medesimo universo parallelo, dove essi non si esprimono se non con la medesima precisa inespressività.
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Se non si conoscesse la firma della regia di questo film, difficilmente si troverebbero motivazioni per considerarlo più che "corretto tecnicamente". E' un film esasperante nella sua pesantezza che spinge in avanti con faticosa leggerezza una tematica molto impegnativa, e la risolve creando per i personaggi, un universo parallelo dentro al quale si muovono nell'inesorabile scorrere degli anni. Tutto è di una lentezza che forse vorrebbe andare controcorrente - visto il tema che potrebbe volere manifestazioni forti - ma non ottiene per nulla la gelida sensazione di una chiusura al mondo - per chi subisce un tale dolore è una scelta possibile come possibili sono altre che nello scorrere del tempo subiscono variazioni ed espressioni varie - un'esclusione dalla vita in un personale individualissimo ambito impenetrabile, no: l'accaduto porta i personaggi coinvolti, nel preciso medesimo universo parallelo, dove essi non si esprimono se non con la medesima precisa inespressività. Tutto questo avviene in "una bolla" dove i movimenti di macchina e la colonna sonora, sono di una lentezza ottocentesca. La figura del ragazzo che si sentiva colpevole della morte del fratello, poteva essere interessante, lo spunto del suo desiderio di diventare scrittore, pareva l'inizio di un intreccio forte, ricco di contraddittori con lo scrittore famoso..invece è rimasto sospeso in attesa di quella banale soluzione finale, che diventa stucchevole come la più più becera delle telenovelas: un sorrisetto che indica che la purificazione è avvenuta mentre il sole lo bacia e i capelli si scompongono mentre pedala e pedala e pedala.. E così dicasi dell'altro sorrisetto che vuole comunicare questo "ritorno ala vita" del grande scrittore che perdipiù, in un abbraccio molliccio nella scelta tecnica, viene incontro a noi spettatori sfocandosi e finalmente mettendo fine ad un racconto che non racconta nulla. E' un mondo parallelo, ma è un mondo senza poesia, ne struggente ne doloroso, è solo lì in attesa che si concluda, ma si conclude sprecando un'occasione ed anche un'attrice, brutta sì, ma molto interessante come la Gainsburg, della quale peraltro non sappiamo nulla per tutto il film, solo che è la più sfigata in questa storia.
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kimkiduk
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domenica 27 settembre 2015
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non come gli inizi ma sempre grande cnema
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Era bello rivedere Wenders dopo Il sale della Terra. Rivederlo in un film "normale" non un documentario e dopo aver visto di lui Palermo Shooting certo non esaltante. Ritorno alla vita non è un capolavoro ma certo è Cinema. Wenders cura maestosamente la fotografia con dei passaggi di colore bellissimi e soprattutto significativi ed importanti nel film .... è stato molto tempo con Salgado ormai è esperto. Cura intensamente l'aspetto interiore dei personaggi, rendendo freddo e monoespressivo Tomas (sperando che non sia solo per una pessima prova attoriale di Franco) ed intensa Kate (e qui siamo sicuri anche della bravura della Gainsbourg). Wenders parla ache della necessità della religione quando sei solo (forse un segno di ateismo oppure di giustificazione della religione) parla dell'importanza della famiglia e degli affetti (incontro di Kate e Tomas memorabile sul divano).
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Era bello rivedere Wenders dopo Il sale della Terra. Rivederlo in un film "normale" non un documentario e dopo aver visto di lui Palermo Shooting certo non esaltante. Ritorno alla vita non è un capolavoro ma certo è Cinema. Wenders cura maestosamente la fotografia con dei passaggi di colore bellissimi e soprattutto significativi ed importanti nel film .... è stato molto tempo con Salgado ormai è esperto. Cura intensamente l'aspetto interiore dei personaggi, rendendo freddo e monoespressivo Tomas (sperando che non sia solo per una pessima prova attoriale di Franco) ed intensa Kate (e qui siamo sicuri anche della bravura della Gainsbourg). Wenders parla ache della necessità della religione quando sei solo (forse un segno di ateismo oppure di giustificazione della religione) parla dell'importanza della famiglia e degli affetti (incontro di Kate e Tomas memorabile sul divano). Parla di famiglie non famiglie, Kate non ha marito, i figli non hanno il padre padre, Tomas ha genitori che non si sono mai amati, la donna con cui starà ha già una figlia. Il tema centrale è la ricerca di se stessi attraverso queste difficoltà ed attraverso un ricerca dentro di noi data da quello in cui ognuno di noi ha bisogno di credere, che sia Dio o il lavoro o l'amore. Inoltre da segnalare il finale, anticipato da Wenders durante il film, ammettendone la difficoltà e la non potenza, ma ammettendo che era la soluzione più logica. Mi ha dato l'impressione che Wenders si sia divertito in questo film, giocando al regista, facendo un film senza nessuno sforzo, come se ormai girare per lui fosse solo quello che per Tomas nel film è scrivere .... la vita.
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nunziettì
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mercoledì 30 settembre 2015
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...la polvere,i colori,quel suo modo di sorridere
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Wenders é sempre Wenders.
La tecnica del 3d risalta lo spessore dei personaggi che fanno parte della storia. I colori si esaltano e sembra riuscire a palpare la polvere di neve che entra fin dalla prima scena del film nella baracca di Tomas come in noi stessi. Wenders non ci vuole dare una storia credibile o una sceneggiatura cerebrale, come non ci vuole dare dei dialoghi impeccabili né dei personaggi perfetti. Wenders va oltre perché il cinema come la fotografia per lui sono altro che semplici immagini in movimento o ferme. Wenders ci permette semmai attraverso quelle percezioni visive di contattare una nostra parte interiore più profonda ed emozionale. Non riesce a percepire questo scopo chi ha una aridità emozionale come Tomas quando parla con la sua compagna seduto al tavolo vicino alla scacchiera: .
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Wenders é sempre Wenders.
La tecnica del 3d risalta lo spessore dei personaggi che fanno parte della storia. I colori si esaltano e sembra riuscire a palpare la polvere di neve che entra fin dalla prima scena del film nella baracca di Tomas come in noi stessi. Wenders non ci vuole dare una storia credibile o una sceneggiatura cerebrale, come non ci vuole dare dei dialoghi impeccabili né dei personaggi perfetti. Wenders va oltre perché il cinema come la fotografia per lui sono altro che semplici immagini in movimento o ferme. Wenders ci permette semmai attraverso quelle percezioni visive di contattare una nostra parte interiore più profonda ed emozionale. Non riesce a percepire questo scopo chi ha una aridità emozionale come Tomas quando parla con la sua compagna seduto al tavolo vicino alla scacchiera: . Wenders non biasima chi non riesce a coinvolgersi sentimentalmente ma ne rappresenta la complessa poliedricità attraverso inquadrature dettagliate e singolari punti di osservazione.
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fabiofeli
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lunedì 28 settembre 2015
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"ma non ha detto che ci vuole aiutare?"
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Ritorno alla vita
Tomas (James Franco), destato dal sole obliquo di una gelida alba invernale canadese, riemerge dal sonno in una baracca; scarabocchia un abbozzo di frase su un taccuino e poi la cancella contrariato. Non è un barbone: è uno scrittore in cerca delle parole giuste per continuare un romanzo dopo essersi arenato; trovarle è difficile come pescare i persici da un buco nel ghiaccio del fiume gelato davanti alla baracca. Meglio tornare a casa dalla sua compagna. Al ritorno investe col suo fuoristrada uno slittino che gli sfreccia davanti. Il sollievo di vedere illeso e inebetito il bimbo di 5 anni, Chistopher, dura poco: lo sospinge verso la porta di casa e se lo issa sulle spalle; la madre del bimbo, Kate (Charlotte Gainsbourg), stramazza nella neve accanto all'auto vedendo cosa ne è di Nicholas, il fratello minore del bimbo.
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Ritorno alla vita
Tomas (James Franco), destato dal sole obliquo di una gelida alba invernale canadese, riemerge dal sonno in una baracca; scarabocchia un abbozzo di frase su un taccuino e poi la cancella contrariato. Non è un barbone: è uno scrittore in cerca delle parole giuste per continuare un romanzo dopo essersi arenato; trovarle è difficile come pescare i persici da un buco nel ghiaccio del fiume gelato davanti alla baracca. Meglio tornare a casa dalla sua compagna. Al ritorno investe col suo fuoristrada uno slittino che gli sfreccia davanti. Il sollievo di vedere illeso e inebetito il bimbo di 5 anni, Chistopher, dura poco: lo sospinge verso la porta di casa e se lo issa sulle spalle; la madre del bimbo, Kate (Charlotte Gainsbourg), stramazza nella neve accanto all'auto vedendo cosa ne è di Nicholas, il fratello minore del bimbo. L'incidente precipita Tomas, in uno stato disperato: qualcosa si è rotto dentro di lui, sebbene non abbia colpa. Dopo aver tentato il suicidio, lo scrittore torna sul posto per promettere aiuto alla famiglia di Christopher. Paradossalmente l'afasia alessitimica di Tomas si sblocca: arrivano le parole giuste del suo romanzo, Inverno, che avrà successo editoriale. Dopo 10 anni Christopher, adolescente, cerca lo scrittore per chiedergli l'aiuto promesso...
La circolarità della storia e le sue concatenazioni simboliche ricordano il circolo virtuoso della provvidenza de "La leggenda del santo bevitore" di Ermanno Olmi. Il sole del mattino della baracca assediata dalla galaverna può splendere di nuovo. Il messaggio è lodevole e condivisibile: aiuta il prossimo, perché il prossimo e Dio ti aiutano. In fondo San Cristoforo non era stato aiutato da Chi si era messo sulle spalle per attraversare il fiume? Ma la ricerca esasperata di una rappresentazione di questa storia edificante e della massima conseguente sfiora il cerebralismo. L'ottima recitazione della Gainsbourg e del Christopher adolescente trovano una cornice di lusso negli splendidi paesaggi canadesi, fotografati in modo calligrafico, ma comunque notevole e non lezioso. Era difficile per Wim Wenders raggiungere le vette del recente capolavoro "Il sale della terra", filmato e scritto sotto la dettatura delle immagini di Salgado. Ma anche questo film, in parte mancato per il meccanicismo di cui si diceva sopra, è da vedere.
Valutazione ***
FabioFeli
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luca scialo
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mercoledì 24 giugno 2020
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quando un evento tragico sconvolge le vite
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Tomas si trova in una cittadina innevata e isolata, in cerca di ispirazione per tornare a scrivere. Lontano anche dalla fidanzata, che lo chiama spesso. Mentre guida l'auto, si accorge di aver impattato qualcosa. Dopo essersi accorto che fosse un bambino, si accerta che stia bene e lo riporta dalla madre. Tuttavia, non si è minimamente accorto di aver investito l'altro figlio. Un evento drammatico che sconvolgerà le vite di tutti. Ma, al contempo, la carriera di Tomas prenderà il decollo. Tuttavia, la ricerca della felicità sarà ancora in salita. Dopo 8 anni, Wim Wenders torna dietro la macchina da presa e riprende la tecnica 3D. Trasponendo una sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen. La verve degli anni '80, dove ha proposto pellicole come Il cielo sopra Berlino o Paris, Texas è ormai lontana da un po'.
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Tomas si trova in una cittadina innevata e isolata, in cerca di ispirazione per tornare a scrivere. Lontano anche dalla fidanzata, che lo chiama spesso. Mentre guida l'auto, si accorge di aver impattato qualcosa. Dopo essersi accorto che fosse un bambino, si accerta che stia bene e lo riporta dalla madre. Tuttavia, non si è minimamente accorto di aver investito l'altro figlio. Un evento drammatico che sconvolgerà le vite di tutti. Ma, al contempo, la carriera di Tomas prenderà il decollo. Tuttavia, la ricerca della felicità sarà ancora in salita. Dopo 8 anni, Wim Wenders torna dietro la macchina da presa e riprende la tecnica 3D. Trasponendo una sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen. La verve degli anni '80, dove ha proposto pellicole come Il cielo sopra Berlino o Paris, Texas è ormai lontana da un po'. Il film scorre lento, forse troppo. Su un filone deprimente, reso interessante comunque dagli attori protagonisti. Alcune scene lasciano comunque il segno, indice questo che Wenders ha ancora cartucce da sparare. Per esempio, quando il padre di Tomas preferisce contemplare il fiume antistante la casa di riposo dove ormai abita anziché seguirlo a teatro. O il meraviglioso scenario naturale che fa da sfondo a molte scene. Che egli esalta con la tecnologia 3D. Quando la tecnologia può colmare alcune lacune...
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flyanto
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giovedì 1 ottobre 2015
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la crisi esistenziale e creativa di uno scrittore
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Nella sua ultima opera Wim Wenders rappresenta la crisi artistica e personale di uno scrittore nell'arco di dodici anni ed il suo superamento, un tema, forse, un poco autobiografico, in ogni caso molto sentito dal regista tedesco.
Un famoso scrittore (James Franco) sta passando un periodo di profonda crisi artistica per la quale non riesce a terminare il suo tanto atteso romanzo. Una crisi che si acuisce in seguito ad un incidente automobilistico, da lui involontariamente provocato, in cui muore un bambino, lasciando però in vita il fratellino, e dall' amore orma finito nei confronti della sua compagna (Rachel Mc Adams). Dopo un tentativo fallito di suicidio egli riesce col tempo a finire il proprio romanzo e nel frattempo, sentendosi sempre profondamente "in debito" con la madre del bambino defunto (Charlotte Gainsbourg), si reca ogni tanto a trovarla scoprendo di volta in volta quanto si trovi in profonda sintonia con lei.
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Nella sua ultima opera Wim Wenders rappresenta la crisi artistica e personale di uno scrittore nell'arco di dodici anni ed il suo superamento, un tema, forse, un poco autobiografico, in ogni caso molto sentito dal regista tedesco.
Un famoso scrittore (James Franco) sta passando un periodo di profonda crisi artistica per la quale non riesce a terminare il suo tanto atteso romanzo. Una crisi che si acuisce in seguito ad un incidente automobilistico, da lui involontariamente provocato, in cui muore un bambino, lasciando però in vita il fratellino, e dall' amore orma finito nei confronti della sua compagna (Rachel Mc Adams). Dopo un tentativo fallito di suicidio egli riesce col tempo a finire il proprio romanzo e nel frattempo, sentendosi sempre profondamente "in debito" con la madre del bambino defunto (Charlotte Gainsbourg), si reca ogni tanto a trovarla scoprendo di volta in volta quanto si trovi in profonda sintonia con lei. Anni dopo, continuando nel frattempo a pubblicare romanzi, egli si lega alla sua editrice (Marie-Josée Croze) sembrando di aver trovato finalmente una sorte di pace interiore, sebbene gli si ripresenti il passato, nella figura dell'ormai cresciuto fratello superstite all' incidente. Ma questa volta saprà sapientemente affrontarlo e superare anche il suo grande senso di colpa.
Wim Wenders, con una regia, come sempre, lucida, lineare e ben lentamente scandita, descrive molto attentamente la crisi esistenziale ed ancor più personale che può cogliere un artista, tanto più dopo anche un episodio traumatico come quello di un grave incidente automobilistico dove perde la vita un bambino. Per la minuziosità con cui viene rappresentata questa situazione critica viene immediatamente da pensare che essa possa essere, sia pure per motivazioni diverse, quella di Wenders stesso, ma al di là dell'elemento autobiografico, che qui poco conta, quello che è più importante è la rappresentazione di questa condizione. Il regista tedesco riesce perfettamente a rendere l'idea e dunque a trasmettere un malessere interiore, sia pure poi superato, che attanaglia fortemente un individuo lasciandolo in uno stato di immobilismo totale, creativo e di azioni e reazioni, da cui risulta alquanto difficile uscirne. E vi riesce alla perfezione attraverso intensi primi piani, sequenze lente e dai colori quasi soffusi, dialoghi molto scarni e la descrizione di una quotidianità quasi piatta (a parte, ovviamente, l'episodio traumatico dell'incidente stradale): elementi tutti che richiamano un poco, a mio parere, anche la filmografia di Terrence Malick, quella di "To the Wonder" soprattutto.
In ogni caso e da ogni punto di vista Wenders è pienamente riuscito nel suo intento, consegnando una pellicola quanto mai esplicativa di cui, oltre alla regia, bisogna apprezzare e lodare l'ottima fotografia ritraente paesaggi sconfinati, innevati o meno, e l'azzeccato cast di attori che rivestono perfettamente i propri tormentati ruoli.
Interessante.
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luigi chierico
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lunedì 12 ottobre 2015
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deludente
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Robert Streedman con la sua fotografia eccellente è pronto a soddisfare sia coloro che amano la montagna con il candore della neve,sia coloro che amano il mare standosene seduti su una panchina a guardare le vele sospinte dal vento,sia coloro che amano il folklore del luna park,ed ancora tutti coloro che restano incantati ad ammirare i vasti pascoli,i grandi giardini dai mille colori,gli alberi ricchi di foglie che all’apparir del sole sono sgargianti come nei tramonti mozzafiato. Meritoprima della natura d’essere affascinante,del fotografo poi,a saperla riprendere.Nulla da obiettare quindi su una splendida fotografia che però non basta a compensare il resto di questo modesto e deludente film di Wim Wenders,da cui ci aspettava molto di meglio.
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Robert Streedman con la sua fotografia eccellente è pronto a soddisfare sia coloro che amano la montagna con il candore della neve,sia coloro che amano il mare standosene seduti su una panchina a guardare le vele sospinte dal vento,sia coloro che amano il folklore del luna park,ed ancora tutti coloro che restano incantati ad ammirare i vasti pascoli,i grandi giardini dai mille colori,gli alberi ricchi di foglie che all’apparir del sole sono sgargianti come nei tramonti mozzafiato. Meritoprima della natura d’essere affascinante,del fotografo poi,a saperla riprendere.Nulla da obiettare quindi su una splendida fotografia che però non basta a compensare il resto di questo modesto e deludente film di Wim Wenders,da cui ci aspettava molto di meglio. Non bastano le bellissime immagini a riempire i vuoti dati dai lunghi silenzi,da una storia drammatica,se non proprio tragica, vissuta dai protagonisti ma non espressa dagli attori James Franco(Thomas)e Charlotte Gainsbourg(Kate). La trama del film la si può raccontare questa volta perché non toglie nulla allo spettatore.Uno scrittore,mentre è in auto per una strada innevata con un panorama dove si vede solo neve,investe uno slittino con un bambino che fortunatamente non si fa nulla,ma non risponde alle sue domande. Lo accompagna a casa e la madre corre via a cercare l’altro figlio. Non se ne sa più nulla,chi lo ha visto?. Nessuna lacrima,nessuna disperazione,nessuna parola,il silenzio copre tutto come la neve. Thomas,lo scrittore,ne rimane sconvolto,schioccato tanto da tentare il suicidio,forse per poter continuare a tacere..! Le due figure femminili: Sara (Rachel McAdams) e Ann( Marie-Josée Croze) non hanno un forte rilievo, direi quasi che sono un inutile riempitivo,se non ci fosse la piccola figlia di Ann a dare un vero contributo al ritorno alla vita. Apprezzabili i gesti,i momenti vissuti dalle parti che dovrebbero parlare e far comprendere il piacere ed il dolore, ma non bastano neanche loro a salvare il film dalla mediocrità. Un’occasione mancata al regista per entrare nell’intimo travaglio di chi si fa carico della responsabilità di un omicidio che solo chi lo compie ne conosce il peso. Uccidere un bambino! Thomas negli anni successivi si riprenderà continuando a pubblicare romanzi di successo senza però mai perdonarsi di aver,sebbene senza colpa,privato della vita un bambino.
Ne soffre molto più che la madre,forse perché siamo in una fredda pianura del Canada o in Norvegia od ancora in Svezia o in Germania,là non si piange perché fa così freddo che le lacrime non scendono lungo le guance!.Col passato un doppio legame: la madre dei due bambini ed il figlio sopravvissuto, sciocco o scioccato?, che cresciuto tornerà alla vita,lo farà tornare alla vita.Se non si volevano far parlare i protagonisti il regista poteva farci ascoltare da una voce esterna qualche pagina dei libri di successo scritti da Thomas, conservati dal bambino uscito indenne dall’ incidente mortale, oramai più grande di 2,4,e ancora 4 anni,per far conoscere i suoi sentimenti,le sue riflessioni,le descrizioni degli stati d’animo di ciascuno dei personaggi,compreso quello del povero padre dello scrittore, la cui presenza è rimasta insignificante nella trama di questa modestissima storia che nelle mani di Dreyer sarebbe stata tutt’altra cosa, vedi“Ordet”.Interpretazione modesta, inespressiva fredda come i luoghi in cui i fatti si sono svolti. E’ stato come sfogliare un libro senza leggerne una sola pagina.chibar22@libero.it
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stefano capasso
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venerdì 16 ottobre 2015
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il senso di colpa come pretesto
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Tornando a casa di sera tra le strade innevate della campagna canadese Tomas urta uno slittino con a bordo due bambini. Uno dei due perde la vita e per lui, scrittore alle prese con una crisi creativa, e Kate, la mamma dei due bambini comincia una lunga battaglia coi propri sensi di colpa. Ci vorranno anni prima che l’episodio possa essere messo da parte.
Ho trovato insolito questo film di Wim Wenders che perde la sua poetica mantenendo comunque intatta l’abilita del regista.
Il soggetto sin troppo semplice e prevedibile viene svolto in un contesto quasi patinato ed è interessante il ricorso alla suspence che Wenders più volte ripropone come a sottolineare lo stato di continua allerta di chi ha subito un trauma e ne porta il senso di colpa sulla pelle.
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Tornando a casa di sera tra le strade innevate della campagna canadese Tomas urta uno slittino con a bordo due bambini. Uno dei due perde la vita e per lui, scrittore alle prese con una crisi creativa, e Kate, la mamma dei due bambini comincia una lunga battaglia coi propri sensi di colpa. Ci vorranno anni prima che l’episodio possa essere messo da parte.
Ho trovato insolito questo film di Wim Wenders che perde la sua poetica mantenendo comunque intatta l’abilita del regista.
Il soggetto sin troppo semplice e prevedibile viene svolto in un contesto quasi patinato ed è interessante il ricorso alla suspence che Wenders più volte ripropone come a sottolineare lo stato di continua allerta di chi ha subito un trauma e ne porta il senso di colpa sulla pelle. Durante il film ho avvertito una sensazione di disagio che probabilmente veniva da una mancanza di chiarezza sul motivo per cui questa storia così semplice venisse raccontata in un modo anche poco autentico. E allora immagino che l’idea che percepisco che si insinua sotto al tema esplicito è che quel senso di colpa sia una pretesto perché i protagonisti possano vivere appieno le loro inquietudini, già evidenti prima dell’incidente. E che questo conflitto interiore così potente sia prezioso perché utile a sviluppare in modo creativo le loro abilità. Fino al momento in cui tutto questo non serve più, e allora è possibile riappacificarsi.
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carlo02
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venerdì 2 ottobre 2015
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prederisco il documentarista
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Da sempre penso che il Wenders documentarista sia superiore al Wenders regista. Non mi limito alle ultime due prove ( Pina o il sale della terra) ma anche a quelle di inizio carriera ( Tokio Ga o appunti di moda...) che mi fecero innamorare del suo lavoro .
Non posso dire lo stesso dei sui lungometraggi : ritorno alla vita è un buon film , non eccelso ma neanche paragonabile al sale della terra .
... non è neppure paragonabile a Paris Texas o l'amico americano . Purtroppo dai maestri ti aspetti sempre l'operaeccelsa ma sono rari i registi che a fine carriera hanno diretto i loro capolavori ( Gli ultimi Fellini erano inguardabili , quelli di Allen attuali imbarazzanti ad esempio) .
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Da sempre penso che il Wenders documentarista sia superiore al Wenders regista. Non mi limito alle ultime due prove ( Pina o il sale della terra) ma anche a quelle di inizio carriera ( Tokio Ga o appunti di moda...) che mi fecero innamorare del suo lavoro .
Non posso dire lo stesso dei sui lungometraggi : ritorno alla vita è un buon film , non eccelso ma neanche paragonabile al sale della terra .
... non è neppure paragonabile a Paris Texas o l'amico americano . Purtroppo dai maestri ti aspetti sempre l'operaeccelsa ma sono rari i registi che a fine carriera hanno diretto i loro capolavori ( Gli ultimi Fellini erano inguardabili , quelli di Allen attuali imbarazzanti ad esempio) .
Il cast è curioso , l'ambientazione nevosa canadese è spesso soffocante ed il ricorso al 3d francamente inutile .
Piccola segnalazione: difficile trovare ruoli ( tutti , compreso il protaginista) così antipatici come in quuesto film
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