Negli ultimi anni Wenders si era avventurato in generi diversi (Pina Bauch in 3D del 2011 e Il sale della terra del 2014) quasi più documentari ma in quest film sembrerebbe aver optato per una storia non-storia, scritta dal norvegese Bjørn Olaf Johannessen che abbraccia dodici anni di vita dello scrittore Tomas (James Franco), del suo successo letterario ma anche delle sue difficili relazioni umane.
Nel film sono rappresentate varie donne con figli del cui padre non si sa nulla, non si sa se le madri siano divorziate o vedove né se i padri siano consapevoli di avere dei figli…e nessuno se lo chiede.
Tomas ha un rapporto di convivenza prima con Sara (Rachel Mc Adams), che avrebbe voluto da lui dei figli poi con Ann (Marie-Josée Croze) già madre di una bimba, che lo accusa di scarsa emotività. Tomas ha un carattere chiuso enigmatico, lo si vede anche nella relazione con il padre che ogni tanto va a trovare più per senso di dovere che per vero affetto. Ma il bisogno di paternità è comunque molto presente sia nello scrittore, il quale sembrerebbe voler dedicare la vita solo alla scrittura e si inventa che non può avere figli a qualcuna che glielo chiede, sia nei bambini poi giovani adolescenti che chiedono a lui di svolgere un ruolo di padre.
Le partiture minimaliste del musicista Alexandre Desplat - autore tra l’altro delle musiche di The Grand Budapest Hotel con cui ha vinto l’Oscar nel 2014 - ci accompagnano in questa avventura emotiva che è la visione di Ritorno alla vita.
La storia ha inizio con Tomas in una fase di crisi di scrittura che cerca di superare isolandosi in una cabin immersa nelle sterminate nevi dell’Ontario canadese alla ricerca di un maggiore contatto con la natura. La crisi creativa sarà superata solo dopo un forte impatto emotivo: in un incidente d’auto Tomas uccide involontariamente uno dei due fratellini in slitta. Seguiranno mesi autodistruttivi pieni di sensi di colpa da cui però, dopo un tentato suicidio ne uscirà ritemprato e, avendo provato così forti emozioni, riuscirà a scrivere mescolando realtà, fantasia e memorie – come spiega lui stesso a Cristopher sedicenne. Il rapporto dello scrittore con la madre dei bambini Kate – un’intensa Gainsborogh che interpreta un’illustratrice che vive isolata sul lago di Ontario – ha quasi un sapore mistico. Dopo due anni dalla disgrazia, la donna sembra essere riuscita a superare la perdita del figlio grazie alla religione che cerca di trasmettere a Tomas il quale, all’epoca, non si dava ancora pace. Insieme bruciano un libro di Falkner colpevole di aver distratto con i suoi romanzi Kate dai suoi doveri materni.
Il finale della storia mi ha ricordato – in una scala completamente diversa - l’obiettivo che da vari anni si prefigge l’Associazione One by One per superare gli orrori dei campi di concentramento nazisti: fa incontrare la vittima, o il suo discendente, con il carnefice o il suo discendente. La condivisione tra i rancori e i sensi di colpa spesso ha un effetto catartico.
Pur non avendo visto il film in 3D la sensazione di essere totalmente immersi nella natura è molto forte, e la splendida fotografia ci trasmette la bellezza ma anche l’angoscia dell’abitare in un così vasto territorio naturale.
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antonio montefalcone
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giovedì 1 ottobre 2015
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l’ultima interessante fatica in 3d di wim wenders.
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“Ritorno alla vita” di Wenders, è il ritorno al cinema di finzione del maestro tedesco. Un film intimistico e intimo allo stesso tempo, una pellicola sulla scrittura e l’arte in generale che diventa un’arma per sfuggire a una triste condizione interiore caratterizzata da torpori e tormenti. La sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen esamina il tema della colpa: non tanto quella che colpisce il protagonista a seguito dell'incidente, quanto soprattutto i sensi di colpa che investono lo scrittore per aver utilizzato la tragedia per superare la sua crisi creativa. Efficace in tal senso è stato lo stile di regia nel lavorare su musiche e montaggio, fotografia e location, su atmosfere e spazi claustrofobici: riflessi metaforici di psicologie e relazioni dei personaggi, sospesi tra paure e desideri.
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“Ritorno alla vita” di Wenders, è il ritorno al cinema di finzione del maestro tedesco. Un film intimistico e intimo allo stesso tempo, una pellicola sulla scrittura e l’arte in generale che diventa un’arma per sfuggire a una triste condizione interiore caratterizzata da torpori e tormenti. La sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen esamina il tema della colpa: non tanto quella che colpisce il protagonista a seguito dell'incidente, quanto soprattutto i sensi di colpa che investono lo scrittore per aver utilizzato la tragedia per superare la sua crisi creativa. Efficace in tal senso è stato lo stile di regia nel lavorare su musiche e montaggio, fotografia e location, su atmosfere e spazi claustrofobici: riflessi metaforici di psicologie e relazioni dei personaggi, sospesi tra paure e desideri. L’opera, procedendo per progressive ellissi, allegorie e immagini cariche di emozioni, porta a riflettere su ciò che illumina l’esistenza di ogni cosa e persona. E alla fine ci invita a vivere…
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